Filosofia come antidolorifico contro la violenza nelle scuole?

Avola, Caserta, Foggia, Piacenza: cosa sta accadendo nelle ultime settimane nel mondo della scuola? Bullismo tra adolescenti, violenza di studenti verso insegnanti, genitori contro dirigenti e docenti. Che cosa sta succedendo nella nostra società? Di chi è la colpa? Gli insegnanti come possono prevenire l’insorgere di questi comportamenti? Lo studio della filosofia può essere d’aiuto?

I primi mesi del 2018 sono stati caratterizzati da una preoccupante escalation di casi di violenza a scuola; per quanto il fenomeno del bullismo sia già da tempo noto, a colpirmi maggiormente sono stati i ripetuti casi di violenza gratuita verso quelle figure che affiancano i genitori nel difficile compito di accompagnare nella crescita i bambini e guidare gli adolescenti in quel complicato passaggio verso la giovinezza e l’età adulta.

Da qualche anno si sente sempre più spesso di  genitori contrariati verso il mondo della scuola quando i figli prendono brutti voti o vengono ripresi dai loro insegnanti, ma il fatto avvenuto a Foggia di un genitore che ha dato un pugno al vicepreside del figlio che si era permesso di rimproverare il ragazzino, mi ha lasciato senza parole. Ci sono state varie manifestazioni di solidarietà e dopo alcuni giorni il genitore si è scusato pubblicamente per il suo gesto, ma la vicenda resta un fatto grave e al limite del credibile.

«I genitori sono succubi dei ragazzi; sono pronti a difenderli sempre e comunque ed incapaci di dire loro di no. La scuola serve per avere il diploma e per lavorare – non certo per formare mente e spirito – per cui tutto ciò che non facilita allo studente il raggiungimento del diploma è un ostacolo per la famiglia, in particolare l’insegnante che si permette di dare l’insufficienza a un giovane “genio incompreso” o addirittura di dargli una nota per indisciplina. Non c’è rispetto per gli insegnanti né a livello delle famiglie (non tutte, ovviamente) né a livello sociale generale» mi spiega Matteo, docente trentenne in una scuola di secondo grado. Gli fa eco Chiara neoinsegnante in una scuola superiore: «È sicuramente vero che a molte famiglie non interessa affatto che i figli imparino qualcosa, vogliono solo che abbiano un buon titolo con la minor fatica possibile e a volte ce lo dicono proprio esplicitamente».

Non sono solo due voci fuori dal coro perché già da tempo l’universo scolastico denuncia una preoccupante deriva del rapporto tra genitori, docenti e studenti; in particolare sembra che le famiglie pretendano che sia la scuola ad adattarsi a tutte le esigenze degli alunni. Ovviamente non auspico un ritorno a quando era l’alunno a doversi adattare in toto alle rigide regole delle scuole, ma mi chiedo dove sia finito quel sano “venirsi incontro” che, a mio parere, fino a una decina di anni fa caratterizzava gli istituti scolastici italiani.

Cronologicamente i primi casi del 2018 si sono registrati ad Avola in due scuole diverse da parte di genitori verso un insegnante di educazione fisica e un dirigente scolastico, poi in provincia di Caserta dove un diciassettenne ha sfregiato con un coltello il volto di un’insegnante, poi Foggia, poi due casi nella provincia piacentina: questi sono gli episodi denunciati e riportati dai notiziari, ma si teme che fatti simili siano di più. Infatti, più frequentemente le aggressioni si fermano a insulti o minacce verbali senza arrivare alla denuncia vera e propria, ma non per questo sono da considerarsi meno  gravi o da non tradursi in un segnale di allarme che qualcosa non va.

Adolescenti vs altri adolescenti, adolescenti vs insegnanti, genitori vs insegnanti…

Ma cosa sta succedendo nella nostra società? Di chi è la colpa di questi comportamenti? Personalmente faccio  molta fatica a comprendere da dove nasca anche solo il pensiero di questi gesti violenti e irrispettosi non tanto per la figura professionale che la persona ricopre, ma proprio perché si ha di fronte altre persone come noi… sono passati tredici anni da quando mi trovavo al di là della cattedra ma mai mi sarei immaginata che a distanza di pochi anni ci sarebbe stata questo tipo di emergenza. Sono gli stessi studenti a sostenere per primi che il ruolo e l’autorità degli insegnanti abbia perso valore e, soprattutto, che non sia più riconosciuto come doveroso di rispetto. Matteo e Chiara, miei coetanei, provano a rispondere a queste mie domande dal loro punto di vista di giovani insegnanti al di qua della cattedra.

Matteo mi dice che «la figura professionale dell’insegnante è attualmente delegittimata dalla società, che vede in noi praticamente dei falliti o delle figure oziose e lamentose. In una società che premia l’ignoranza e in cui ognuno può dire ciò che gli passa per la testa, l’istruzione non può essere considerata una “virtù” e l’insegnante, colui che dà al giovane la cultura, l’istruzione, è ormai una figura sociale senza considerazione né autorevolezza. La violenza contro i docenti si inserisce nel quadro di una società italiana sempre più becera, ottusa ed ignorante, una società violenta ad ogni livello (politica, televisione, social network, etc.)».

Meno drastica appare Chiara: «È vero che gli insegnanti e la scuola sono svalutati, dai genitori prima ancora che dai ragazzi, ma credo che il problema di non riconoscere “l’autorità” e non accettare mai la fatica o la frustrazione siano mali della società visibili in tutti i campi…la scuola è solo uno dei tanti» e continua raccontandomi un episodio che l’ha colpita: «Settimana scorsa, in piedi su un treno piuttosto affollato, ho assistito a una conversazione che mi ha molto colpito. Una signora, rimasta come me senza posto a sedere, molto educatamente ma con un sorriso un po’ sarcastico si è rivolta al controllore lamentando il sovraffollamento del treno: “Basterebbe aggiungere un vagone”, ha detto. Il controllore, gentilmente, ha spiegato che non è possibile aggiungere una carrozza a un treno di cinque: i treni funzionano a moduli di cinque vagoni, per cui possono avere o cinque o dieci vagoni, e il numero di passeggeri in piedi sul treno in questione non avrebbe giustificato la scelta di raddoppiare le carrozze.

Questa conversazione mi ha colpito da una parte per l’educazione e i modi garbati con cui sia la signora che il controllore hanno discusso – accade davvero di rado di assistere a confronti in cui “la parte lesa” non gridi e lanci insulti a destra e a manca – e dall’altra parte perché non sapevo questa storia dei cinque vagoni; neanche la signora lo sapeva, ma prima di ascoltare la risposta del controllore, ne sono certa, era assolutamente convinta che il problema del sovraffollamento fosse facilissimo da risolvere, e di conoscere perfettamente la soluzione.

Questo è un esempio concreto di quello che succede continuamente: crediamo di sapere tutto, crediamo che ogni problema sia immediatamente risolvibile e di sapere sempre perfettamente come si possa risolvere. Quante volte, se una cura per qualche malattia non funziona all’istante, ce la prendiamo coi medici, alla faccia degli anni di studio ed esperienza che hanno? Deve essere così semplice, perché quell’incompetente non ha saputo curarmi? E come non tolleriamo un mal di testa per più di cinque minuti e con una bustina di antidolorifico lo facciamo sparire, non ci capacitiamo del fatto che possano esistere frustrazioni, fatiche, piccoli disagi, che semplicemente vanno tollerati, accettati. Se, invece di osservare il nostro solo sedere che non poggia su un sedile, guardassimo infatti alle migliaia di persone che riescono a spostarsi in treno e a come nell’insieme il sistema (complesso) del trasporto ferroviario funzioni, ringrazieremmo di avere a disposizione un sistema relativamente efficiente e capiremmo che il piccolo disagio che ci è toccato è in fondo un male sopportabile.

Considerando le dinamiche relazionali interne alla scuola, i rapporti fra genitori e docenti e, a volte, quelli fra docenti e alunni, non vedo grosse differenze rispetto a quello che posso osservare fuori dalla scuola. L’educazione e l’apprendimento sono processi entusiasmanti ma che richiedono qualche fatica, grande o piccola. Di fronte a queste fatiche si vorrebbe una bustina di antidolorifico a effetto immediato: deve esistere, è sicuro! Sembra dire il mio alunno a cui chiedo di provare a leggere un testo letterario, anche se è difficile: “Faccio fatica, dov’è la mia bustina di antidolorifico?” Sembra dire la mamma delusa dal comportamento del figlio o dai brutti voti: “Perché nessuno risolve il mio problema, qui, ora, subito?” La soluzione deve essere così semplice!

La bustina di antidolorifico la chiedono gentilmente, se sono educati come la mia compagna di viaggio. La pretendono con un pugno, se sono così arrabbiati da non riuscire a contenersi, come è recentemente successo ad  Avola o a Foggia. La causa della violenza nella scuola non credo sia in una scuola che non funziona, o nella scarsa autorevolezza degli insegnanti, o nella maleducazione dei ragazzi. È così che funziona, ovunque: dal medico, in fila alla cassa del supermercato, sul treno… il nostro problema viene sempre al primo posto, deve essere risolto immediatamente e, se così non accade, attribuiamo ogni colpa all’incompetenza di chi abbiamo intorno.

E quindi? Che cosa può fare un’insegnante? Non molto, forse. Ma almeno qualcosa, sì. Dare un esempio differente. Provare ad abolire le lamentele, le rivendicazioni, i toni arrabbiati. Mostrare continuamente come solo la fatica possa far raggiungere alcuni risultati. Dare e avere fiducia, distinguersi dalla tendenza comune a sentirsi superiori alla “massa di incompetenti”, non lamentarsi sempre e tollerare la fatica quando serve, guardare all’insieme anziché al mio problema personale. Credo sia più importante che io insegni queste cose rispetto all’analisi del periodo o alla Divina Commedia».

Più deciso e concreto è il pensiero di Matteo che sottolinea come l’insegnante debba perseverare nel suo obiettivo di educare: «Quello che noi docenti possiamo fare è continuare, nonostante tutto, ad amare il nostro mestiere, ad insegnare per amore della cultura e dei ragazzi, a educare i giovani al rispetto reciproco, alla tolleranza e ai grandi valori civili della convivenza pacifica e della giustizia: una società non istruita è una società violenta e iniqua. L’educazione è la prima arma contro la violenza e noi insegnanti dobbiamo non soltanto insegnare con passione le nostre materie ma, soprattutto, formare e coltivare l’umanità delle nuove generazioni».

Come risolvere la violenza nelle scuole? Intanto, “dare il buon esempio

Le due opinioni si possono tradurre nel “dare l’esempio”, il buon esempio, trasmettendo quell’amore al sapere che i greci identificavano con il termine arcaico φιλοσοφια , ovvero “filosofia” (dal greco “philo-sofia”, dove philo deriva dal verbo philein (amare), mentre sofia significa sapienza). Secondo alcune correnti di pensiero, il verbo philein deve essere inteso non come amore, nel senso di eros, ma come sentimento dell’amicizia; ecco che quindi il saggio filosofo, il maestro dell’antichità, diventerebbe l’amico che istruisce e spiega la dottrina e la vita circostante. Mi sembra che questa definizione si possa affiancare ai pensieri di Chiara e Matteo che hanno manifestato la necessità di perseverare con l’insegnamento e col buon esempio. Sono d’accordo con la loro visione ed sono favorevole all’idea avanzata il 23 gennaio 2018 dal gruppo tecnico-scientifico di filosofia del Miur di proporre corsi facoltativi in ore extracurriculari per lo studio della filosofia anche agli studenti degli istituti tecnici.

Tre validi motivi per studiare filosofia

Mi ricordo che al liceo la mia insegnante di filosofia ci ripeteva spesso che ci sono tre validi motivi per studiare filosofia: ci fa riflettere su argomenti a cui non abbiamo mai pensato mettendo in discussione argomenti che ci sembrano scontati, ci permette di cogliere la vera identità della cultura occidentale, ci permette di capire gli altri punti di vista e di immedesimarci in essi. Ecco perché sono d’accordo con chi motiva la correttezza di questa proposta col fatto che lo studio della filosofia contribuisca a sviluppare il pensiero critico di tutti gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado con il dichiarato obiettivo esposto nel “sillabo di filosofia per competenze”, che il suddetto gruppo filosofico ha presentato unitamente agli orientamenti per l’apprendimento della filosofia, di “far sì che lo studio della filosofia e l’abitudine al pensiero critico rendano ragazze e ragazzi capaci di comprendere e interpretare ciò che li circonda e di avere sempre una visione d’insieme”.

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