Lila, una vita da zebra, canta l’ottimismo “di natura, vocazione e mestiere”

Una cittadina del mondo, sognatrice, con due pilastri nella vita: amore e amicizia (a pari merito). “Senza uno di questi due io mi sbilancio e non riesco più a essere quella che sono”. Si presenta così Lila Madrigali, quarantenne residente a Gallarate (Varese) ma di origini pisane, “un’ottimista di natura, vocazione e mestiere”.

E poi, ammette lei – voce e chitarra dei Polverfolk – senza musica non vivo, è la mia vita. Suono da quando avevo 12 anni. Ho iniziato a cantare e scrivere canzoni quando sono riuscita ad acchiappare la chitarra di mio padre, cantavo sempre ma non avevo mai pensato di comporre qualcosa. Invece, con la chitarra in mano, è nata subito l’idea di buttare fuori quello che avevo in testa sotto forma di canzoni”.

Oltre alla Lila che suona e scrive canzoni, si accompagna da qualche anno un segno particolare…

“Mutano i miei segni particolari, muta quello che io sono. Sono affetta da una malattia invalidante che, purtroppo, piano piano discende una certa china e mi caratterizza, nel senso che caratterizza il mio modo di camminare, di essere. Spesso sono in giro con vari ausili dalla stampella alla carrozzina che, nei miei pensieri, è il mio carica batterie. Mi ci siedo perché sono stanca, non voglio rischiare di cadere e cose di questo genere”.

Quando l’hai scoperta e come viene chiamata questa malattia?

“L’ho scoperto a giugno 2014. Si chiama sindrome di EhlersDanlos, sottotipo particolare di un crossover fra due sottotipi, il cui simbolo è la zebra. È una malattia che prende tutti gli organi e i campi ma ogni malato è diverso e si ammala in maniera differente. Nel mio caso sta prendendo di tutto: occhio, stomaco e varie problematiche e deambulazione con la deviazione spontanea delle anche, caviglia, ginocchio… non so più quante elencarne”.

Hai scoperto recentemente il nome della sindrome ma i sintomi erano iniziati da diversi anni…

“In realtà ci sono dalla nascita solo che, ogni medico, purtroppo chiude il suo pezzettino e non va avanti, non va oltre perché rischia le denunce. Quindi va sul sicuro e non esce dalla zona di sicurezza. Il dermatologo cura la pelle e poi per il resto…”.

Cioè non approfondisce ciò che vede?

“No. Quindi, non essendoci una diagnosi globale, ognuno fa il suo pezzo e nessuno parla con l’altro medico oppure risulta che il malato è particolarmente sfigato e ce le ha tutte lui oppure c’è davvero una sindrome sotto. In questo caso c’era una sindrome e, una volta arrivati alla conclusione, siamo riusciti a capire che c’è qualcosa che accomuna tutto”.

Ma prima di arrivare alla diagnosi?

“È stata dura perché, innanzitutto, ti senti dare del malato immaginario. Sei un ipocondriaco, nulla è vero ed è tutto nella tua testa. Poi vai a fare le analisi approfondite e nella tua testa non sono e allora non si sa più dove andare a parare, non si sa cosa fare. Intanto tu non capisci cosa ti succede e bene non stai. Quindi c’è anche il fatto di sentirsi dire che è tutto nella tua testa e nella tua testa non è”.

Te l’hanno detto sia i medici che le persone?

“Le persone regolarmente. Tuttora accade. Ci sono sempre i tuttologi: ‘Ma se tu mangiassi sano e facessi sport, va che cambierebbe tutto’ (imita cadenza milanese ndr.). Però ci sono anche i medici che, non arrivando a capire che cos’è, tirano fuori il bisogno di attenzioni come se uno avesse dieci anni, o lo stress, il sovrappeso o il sottopeso, il fumo e l’alcool. Tutte queste grandi sottocategorie che, una volta escluse, bisognerebbe andare un pochino più a fondo… cosa che non viene fatta. Non c’è verso”.

Quindi come hanno fatto ad arrivarci i medici?

“Ho passato tantissimi medici. Poi, fortunatamente, ho incontrato un dottore di Roma che è riuscito ad inquadrare un pochino la malattia, poi una dottoressa di Milano che mi ha presa in carico e ora sono seguita dall’ospedale di Milano, nel reparto delle malattie rare. Tutto grazie (purtroppo) ad una mia amica che si è ammalata: parlando con lei io facevo la spunta, la maggior parte dei sintomi combaciavano e la sua malattia era stata diagnosticata da quel medico di Roma che poi sono andata ad incontrare”.

Allora per 38 anni sei stata mezza malata immaginaria…

“…e mezza perdere pezzi. Dalla parte dello stomaco e cistifellea ad esempio ho avuto un grande disgregamento, una stanchezza cronica inspiegabile né per impegno fisico che per età. Allora ti senti dare della pigra. Però tutto ha una spiegazione”.

Nonostante tutti questi anni, nonostante la scoperta della malattia, Lila è ottimista

“E direi che mi è andata anche bene rispetto a come possono andare certe cose della vita…. Fino a che ti dicono ‘si può fare questo’, siamo apposto. Basta che ci sia qualcosa da poter fare, qualcosa da poter attuare, da poter provare perché non è detto che funzioni. Ho provato un tutore posturale per la caviglia per sei mesi e non è servito a nulla. Fa niente, ci abbiamo provato. Il prossimo magari funziona”.

Quindi usi un po’ stampella e un po’ carrozzina…

“Dipende da come sto. Quando sono più stanca uso il mio simpatico carica batterie a 4 ruote, altrimenti stampelle o deambulatore. Evito così di cadere, spaccarmi o spendere un ammontare di energia per poi non riuscire a fare quello che voglio. Questa è la cosa più brutta, magari fai una camminata per arrivare in centro per qualcosa che vuoi fare e non puoi farla perché ti esaurisci, ti spegni, ti scarichi. Vedi, c’è il carica batterie”.

E allora trovi in ogni situazione della tua vita degli strumenti positivi…

“Sì, quello penso sia natura. Sono sempre stata portata a cercare e trovare qualcosa per cui valga la pena sbattersi e lottare, andare avanti, un obiettivo da raggiungere, anche piccolo… però qualcosa che ti porti a pensare a un traguardo, una motivazione”.

Lila ok

Ci sono limiti o no?

“Ce ne sono una marea ma… è una cosa che dico spesso ma non è una frase mia, è una frase di Alex Zanardi: ‘Non è tanto l’idea di non poter più fare quello che facevi ieri ma è di scoprire cosa puoi fare oggi e come puoi farlo’. Quindi trovare strade alternative. Se non riesco ad arrivare per linea retta magari ci arrivo facendo 70 curve però ci arrivo lo stesso. Talvolta no, accettiamo il fatto di non saperci arrivare proprio sempre però almeno provarci si può. Per quello dico che sono fortunata, perché io ci posso provare”.

Insomma, non ti abbatti…

“Mi abbatto quando cado ma nel senso proprio fisico della parola che mi sbatto per terra. Però non è sempre così eh. A volte ti svegli con lividi in faccia, lividi addosso che nascono così autoprodotti e pensare che, se ti si rompe una vena dentro, sei allegramente passato dall’altra parte. Insomma pensieri negativi ce ne sono tanti. Però c’è anche da dire che ho un team di fan agguerrito a partire dal mio simpatico marito (che in realtà si accolla parecchio di quanto mi succede) a un team di amici, supporter di tutte le razze, colori e religione che mi stanno aiutando tantissimo tutti i giorni”.

E ti sorreggono….

“Mi sorreggono, mi mandano avanti, mi spingono, mi fanno il culo. Ogni tanto ci vuole anche quello. Oppure mi danno un obiettivo diverso, mi fanno vedere un orizzonte differente o mi rassicurano. Sono circondata da persone belle, questo fa l’ottanta per cento della terapia, poi ci sono i farmaci”.

So che quando ti escono i lividi in faccia, andando in giro in carrozzina, guardano male tuo marito che ti accompagna perché pensano sia stato lui…

 “Sì. Vedere una persona con i lividi in faccia non è facile. Mi metto nei panni delle persone che mi vedono, anche perché mi vengono lividi mostruosi, tipo occhiaie da Kung Fu Panda che sono visibili, non puoi girare nel mondo con gli occhiali da sole. E purtroppo guardano male la persona che ti accompagna, specialmente se di sesso maschile, tanto per parlare di categorie ed etichette. ‘Ah, lui è il violento che la mena e la picchia’. Certo, ti salta all’occhio e ti fa chiedere cosa siano questi lividi. Io mi arrabbio come una pazza perché è un’offesa a lui che è colui che mi protegge tutti i sacrosanti giorni nel bene e nel male. Si porta addosso lo zaino della mia malattia, ce l’ha lui addosso. Lui sarebbe sano ma è malato quanto me”.

Risponde Duilio, marito di Lila: “Non sono malato però cerco di sollevarle qualche peso semplicemente standole vicino”.

La notizia del nome della sua malattia ti ha sollevato o ti ha impaurito?

Duilio: “Al primo momento non sapevo cos’era. Vederla fare fatica camminare mi aveva sconcertato. Arrivati a Roma ancora non aveva neppure bisogno di stampelle, ho dovuta sorreggerla io per tutto il tempo. Lì abbiamo scoperto le cose ed è entrato in gioco il discorso dell’accettazione. Tante volte faccio ancora fatica ad accettare certe cose. Però vedo lei, il suo spirito e anche io ci metto del mio. Si combatte insieme e stiamo bene”.

Gli occhi che ti guardano male, li fai passare?

Duilio: “Non li vedo neppure”.

Lila: “Lui non li vede io mi arrabbio come una matta. Sia perché non sono affari delle persone, sia perché è offeso. Sebbene sia comprensibile, è sicuramente una violenza nei suoi confronti, proprio il contrario netto di lui”.

Cos’è la vita Lila?

“Te la spiego con un passaggio all’indietro. Ieri ero a casa di un amico dove spesso si concentra la presenza di tanti amici ed è arrivata questa ragazza felice di annunciare di essere stata presa per uno stage, radiosa… abbiamo festeggiato. Neanche mezz’ora dopo il mio amico ha ricevuto una telefonata ed è stato ingaggiato per un lavoro di animazione. E lì, nel silenzio del dopo festeggiamento sono esplosa con una quantità… di… quant’è bella la vita. La vita è bella, basta. Penso che sia questo, del vedere le cose belle che ci succedono attorno. Che poi alla fine ci contagiano. Un regalo. Ogni giorno, ogni giorno è un secondo regalato”.

Duilio: “C’è chi lo ha avuto a 50 anni… (riferendosi all’età dell’incontro con Lila)”.

Lila e Duilio

Lila e Duilio, insieme durante un concerto dei Polverfolk

Da quanto siete sposati?

“50 anni, cento, una vita… nel 2006”.

Insomma siete legati da sempre?

“Sì, io sapevo che lui esisteva nel mondo. E cercavo lui. Non avevo idea di che faccia avesse, di come fosse fatto, del suono della sua voce, però c’era, e alla fine l’ho trovato”.

E quando vi siete conosciuti avete capito subito…

“Forse siamo stati una delle primissime esperienze di amori nati online. Ho scaricato il suo mp3 e gli ho scritto una mail per fargli i complimenti. Lui mi ha risposto e così ci siamo conosciuti. Poi, sono stata invitata a fare la guest star in un concerto dei Polver Folk, ci andata dicendomi ‘ora me lo levo dalla testa perché è un uomo che ha vent’anni in più di me’… avevo preso la classica fiammata come si dice a Pisa. Non mi è riuscito molto bene a levarmelo dalla testa, sono piuttosto soddisfatta dello sbaglio. Insomma, la vita è un regalo che gli altri ti fanno, vedere chi è felice attorno a te, rende felice anche te. La ricerca della felicità la trovi nelle piccole cose”.

Tua nonna aveva una sindrome simile vero?

“Si sospetta avesse la stessa sindrome. Con un sottotipo differente ma se n’è andata alla veneranda età di quasi 99 anni. Si parla di due sottotipi diversi e due fisici diversi. Sembra comunque che sia ereditaria, non mi sbilancio troppo perché non c’è ancora la certezza. Anche perché i malati di questa malattia sono tutti diversi, ho amiche in Inghilterra che fanno sollevamento pesi ma magari riscontrano fatica cronica o dislocazioni meno evidenti. Sicuramente sono state fatte diagnosi molto prima delle mie, anche a 4 anni. Lì si mette in tavola tutta una terapia conservativa che è fondamentale, visto che una terapia vera e propria non c’è. Però quando si arriva a 40anni quando hai un fisico bucherellato ci fai un po’ poco, tante cose sono andate, devi conservare quello che c’è ma fino a che si può fare qualcosa, si fa”.

Come funziona la fisioterapia?

“Ciò che sto facendo ora è piovuto dal cielo e incastrato in vari modi. Se non sei ricoverato, non viene passata dalla regione e quindi è a pagamento privato, esattamente come prestazioni ginecologiche, e si paga fior di quattrini, dell’arco di 50/60 euro a seduta. Per uno che ci deve campare inizia a diventare problematico, specialmente per una persona che non lavora. Io ero operatore socio sanitario e ora non sono più in grado di esercitare la mia professione da ormai due anni. Sono a casa, ferma, senza reddito da due anni”.

E lo Stato cosa fa?

“Si gratta. Sta aspettando. Per avere tutte le carte da presentare all’ALS c’è voluto un anno. La Regione Lombardia non accettava alcune carte della Regione Lazio pur essendoci scritte esattamente la stessa identica cosa, il Lazio emette un foglio giallo, ad esempio, e la Regione Lombardia vuole un foglio rosso. Però c’è scritta la stessa cosa. In quest’anno intanto ho fatto la discesa, ho dovuto comprarmi gli ausili per conto mio perché fin dalle stampelle, al deambulatore, alla carrozzina sono tutte a carico mio, non mi è stato passato nulla e adesso sono in attesa della visita dell’ASL che speriamo avvenga quanto prima. Dicono dai 4 ai 5 mesi di attesa perché, giustamente, i pazienti oncologici hanno precedenza. Non è però il tempo la cosa grave ma il fatto che le regioni, a parità di informazioni, abbiano bisogno di un foglio differente che viene vidimato dall’ospedale di Milano che ha bisogno di sette mesi di lista di attesa perché, oltretutto, ho dovuto fare due volte la stessa visita con una lista di attesa di sei, sette mesi. In sei mesi mi è cambiata la vita. Nell’attesa ho dovuto prendermi una carrozzina partendo da una stampella. Si tende a considerarci malati di serie Z, non conoscendo la patologia. Spesso le patologie sono già schedulate, a seconda di queste si sa cosa spetta dallo Stato. Essendo questa malattia strana e disomogenea, intanto aspettiamo, aspettiamo e aspettiamo… e la cosa degenera”.

Diving in your soul, scritta, suonata e cantata da Lila…

UN SORRISO PER TUTTI: NASCE DISABILI SOLARI

Ma nel suo presente vivo, intanto, Lila ha fondato Disabili Solari, una pagina Facebook che si definisce “una piccola comunità dove ci si offre supporto col sorriso, si collezionano cose belle, si moltiplica la positività e si trasmette entusiasmo”. Non vi resta che scoprirla…

disabili solari

Foto apertura: © Chiara Gagliardi

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