Neonazismo e odio razziale: dal web alle istituzioni

È una delle cavità più oscure della mente quella in cui ha origine il male. Ci sono trattati di psicologia e studi di varia natura i quali affermano che nei casi più gravi queste ombre esistono già dalla nascita. Fanno parte del dna di una persona oppure sono la diretta conseguenza di drammi vissuti in tenera età, quando un soggetto ancora non è in grado di assimilare la sofferenza, di innalzare autonomamente barriere difensive per tenerla alla larga.

Ci sono poi quei casi, solo apparentemente meno gravi, in cui i trascorsi personali non sempre sono determinanti. Arriva per chiunque, in modo più o meno marcato, il momento in cui si inizia a sviluppare un’idea di mondo, di società. È un punto di contatto nuovo con tutto quello che ci circonda, quel punto in cui inizia a muoversi un meccanismo chiamato consapevolezza. Gli ingranaggi di questo sistema lavorano con il loro movimento alla costruzione dell’identità. Sono tenuti in attività dalle letture, dalle esperienze e dalle relazioni. In ognuno di questi casi è tanto essenziale quanto inevitabile il confronto con il passato: aiuta a riflettere su quello che c’era prima, consente di interpretare in modo più efficiente il presente e di aprire spiragli più o meno ampi e definiti sul futuro. È qui che può ripresentarsi l’oscurità di cui sopra, celando un deficit di carattere interpretativo, una falla nel processo di decodifica del contenuto che gioca con la consapevolezza, rallenta il meccanismo, talvolta lo ferma del tutto. Il male compare vestendo i panni della sua nemesi, corrode la negatività che lo ha contraddistinto in precedenza e cerca un nuovo canale di diffusione.

Il Nazismo attraverso la persecuzione degli ebrei ha incarnato la forma di male più sconvolgente e terribile dell’intero Novecento. Le radici di quell’odio trovano oggi un nuovo terreno da cui evolversi, scavalcando il tentativo compiuto dalla storia di riflettere, analizzare e denunciare allo scopo che certe efferatezze rimanessero confinate nei libri e in qualsiasi altra forma di documentazione.  

A partire dal secondo dopoguerra il terreno fertile e utile all’odio per il nuovo assemblaggio, viene preparato da gruppi di invasati che si identificano come neonazisti. Riportano in auge il concetto di razza in tutta la sua rigidità e si muovono per stabilire, in via definita, il dominio assoluto dei bianchi su qualsiasi tipo di minoranza, ostacolo da abbattere e sradicare sulla strada del progresso.

Già negli anni ’60 costituiscono una realtà forte negli Stati Uniti e ovviamente in Germania, dove il progetto assume dei connotati politici attraverso il partito di estrema destra NPD. Sono focolaio fin dal principio di tensioni, violenze e atti di guerriglia che oggi si moltiplicano grazie alla forza di un nuovo e inatteso alleato: il web.

Sfruttando la capacità di diffusione della rete, in grado di superare con velocità qualsiasi tipo di confine, il fenomeno del neonazismo sbarca ovunque e tesse legami con i più svariati gruppi di sostenitori e fanatici dell’odio razziale. Le affinità ideologiche non sono più limitate dalla distanza, i social network hanno un elevato potenziale organizzativo e strategico: i gruppi stabiliscono data, orario e luogo per poi riunirsi come nel più comune degli appuntamenti. L’ultima volta, poco più di un mese fa, la periferia milanese è stata teatro di uno sconcertante e immenso raduno, in grado di raccogliere gruppi di neonazisti provenienti da mezza Europa.

Ma cosa succede quando l’ideologia partita dal basso, e diffusasi a macchia d’olio grazie ad internet, raggiunge il vertice più alto del mondo politico e istituzionale?

Quanto si alza l’indice del pericolo se l’odio razziale trova il sostegno di chi può cambiare le sorti del mondo intero?

A tale proposito è giusto riflettere sul ruolo ricoperto da alcune personalità nella campagna presidenziale di Donald Trump, per considerare l’entità del rischio contenuto nei quesiti appena posti.

Stephen Bannon è un sessantenne repubblicano da poco eletto consigliere speciale e chief strategist di Trump. Il ruolo che andrà a ricoprire si apre ad un ventaglio di interpretazioni dal punto di vista formale ma è certo che a partire dal 20 gennaio, giorno di insediamento alla Casa Bianca, sarà l’ombra del tycoon, nonché un faro continuamente proiettato sulle sue numerose lacune in ambito politico.

Bannon è inoltre presidente esecutivo del portale Breitbart News, sito di estrema destra responsabile della diffusione su scala nazionale dell’Alt Right, il verbo dei suprematisti bianchi.

“Alt Right” sta per Alternative Right, lo slogan della nuova estrema destra a stelle e strisce che ha ricevuto il suo battesimo politico proprio dal sito di Bannon, megafono per le attività propagandistiche del movimento.

L’Alt Right è inaugurato nel 2008 da Richard Spencer che si qualifica professionalmente come un editore: la Washington Summit Publishers infatti promuove saggi politici sul tema del cosiddetto white nationalism. Spencer parla di “figli del sole” per rivolgersi alla razza bianca, la quale ha ricevuto il compito, non si sa bene da chi, di riportare la società americana allo splendore attraverso una pulizia etnica da perpetrare ciò nonostante con metodi “pacifici”. 

Detto questo risulta complicato stupirsi se in una delle sue ultime apparizioni in pubblico ha festeggiato la vittoria del magnate alle presidenziali con un “Hail Trump!”, ripetuto a gran voce da tutti i presenti in sala.

Sembra piuttosto chiaro, a questo punto, che l’alternativa proposta dall’estrema destra americana è totalmente inadatta a individuare un punto di congiunzione con i valori democratici che il nuovo presidente USA dovrà impegnarsi a difendere. 

È tuttavia innegabile che i trascorsi e gli ideali di persone che accompagneranno Trump fino alla sua poltrona nello studio ovale, godono di troppe analogie con quel fortunato “Make America great again” che spaventa sempre di più.

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