Raid fascisci ed elezioni: Trasformiamo i giorni che verranno in un’autocritica continua

Circa tre settimane fa, mi hanno chiesto se avessi voglia di scrivere qualche riga riguardo la sparatoria avvenuta a MacerataLa storia è molto breve: c’è un uomo che spara ad una folla.
No, anzi, riprovo.C’è un uomo bianco che spara ad una folla. C’è un uomo bianco che urla “L’Italia agli italiani” e spara su una folla. C’è un uomo bianco che fa il saluto romano, urla “Italia agli italiani” e spara su una folla.

C’è un uomo bianco, un nazista e terrorista che utilizzando il saluto romano, spara su una folla di persone straniere, legittimando il gesto con la sua italianità e il tricolore che orgogliosamente porta sulle spalle.

L’uomo (se questo è un uomo) si chiama Luca Traini, ha 28 anni e la mattina del 3 febbraio è uscito di casa, ha sparato oltre venti colpi di pistola da un’auto in corsa contro i cittadini di Macerata con la sola intenzione di uccidere tutti i migranti di colore che vedeva, come vendetta dell’atroce stupro e omicidio di una ragazza di Macerata, Pamela, che ha come principale sospettato un uomo nigeriano.
Ha ferito sei persone, cinque uomini e una donna, tutti originari dell’Africa subsahariana.

È passato tempo da quell’avvenimento, da molti ormai anche dimenticato o forse sarebbe meglio dire nemmeno troppo considerato. D’altronde era campagna elettorale per tutti e si sa che ormai nel “Bel Paese” condannare un atto di violenza se fatto su una persona che non sia bianca e caucasica fa parte del buonismo da condannare. Il buonismo che ha portato a questa crisi, agli immigrati clandestini, all’invasione.

Non starò qui a parlare di come siano state beceramente utilizzati questi argomenti da alcuni esponenti politici (Egregio Salvini, potrai anche diventare Premier, ma forse prima finire quella Laurea in Storia ti avrebbe fatto bene. E insieme a te tanti altri compagni). Non starò qui a parlare della pochezza della capitalizzazione dell’emotività di una popolazione già fin troppo polarizzata. Non starò nemmeno qui a parlare dell’antiscientificità comprovata della questione della razza (figuratevi, è antiscientifico il concetto di razza, quanto potrà essere una cagata quella della razza superiore?).

Vorrei invece soffermarmi per un attimo su come molti non abbiano avuto neanche il coraggio di chiamare questo evento con il suo nome: un atto di terrorismo puro.
Lo faccio oggi, 6 marzo 2018, dopo tre settimane dall’accaduto, dopo i raid fascisti di Pavia da parte di Casa Pound e Forza Nuova (anche loro, chiamiamoli con il loro nome, che tanto non si offendono se li chiamate fascisti, anzi probabilmente vi ringrazieranno per il complimento).

Ieri è stata una giornata di sconforto per molti e una giornata di vittoria per molti altri ma indipendentemente dall’ideologia politica io proporrei, da oggi, di trasformare i giorni che verranno in un’autocritica continua, in un buonismo interminabile, nella resistenza all’odio che non può essere fermata e deve trovare il coraggio di impegnarsi ogni giorno. Siamo nel 2018, i partiti fascisti in queste elezioni hanno raggiunto una percentuale irrisoria e questo non può che far piacere. Deve far piacere.
Ma il fascismo, così come ogni forma di estremizzazione politica, non è l’unica cosa da cui dobbiamo stare attenti. Dobbiamo stare attenti a controllare tutti gli Eichmann che ci sono là fuori. Alla superficialità con cui trattiamo il male e con cui esso si diffonde.

Il terrorismo – è bene ricordarlo – trova terreno in situazioni di forti tensioni sociali, a prescindere dalla provenienza dei membri di quella società. Alleviare tali tensioni risulta quindi necessario se si vuole stabilità politica e sociale, senza ostinarsi a demonizzare una determinata categoria di individui, per quanto possa essere comodo o immediato.

Qualche giorno fa mi è stato chiesto chi fosse il mio eroe. Io sono una persona fortunata (e spesso irriconoscente o inconsapevole di questa fortuna) e di eroi ne ho avuti e ne ho abbastanza, ma un nome mi è uscito in maniera più spontanea.
Il mio eroe è John Lewis che alla mia età marciava verso Selma di fianco a Martin Luther King e 60 anni dopo non si è ancora stancato di lottare faticosamente per i diritti umani di tutti, per non dimenticare quegli anni in cui i cittadini di serie B non erano solo additati, ma avevano anche un rubinetto diverso per non passare malattie strane ai cittadini di serie A. E io ho la fortuna di essere una cittadina di serie A, nata in un Paese Democratico e con la libertà di parola. Come quei venticinque lettori (uno in meno di Manzoni, come minimo) che forse apriranno questo articolo. La fortuna però consegue altrettanta responsabilità.

In un film si diceva che ogni tanto il coraggio salta una generazione.
Riportiamo in auge le cose giuste.

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