Statia, centro accoglienza migranti: «Ascoltate le loro storie»

Cosa significa gestire una cooperativa che ospita immigrati? Come si può realizzare una reale integrazione? Lo abbiamo chiesto a Statia Papadimitra, psicologa psicoterapeuta per i centri accoglienza e responsabile gruppo Appartamento Salute Mentale impegnata nella Cooperativa Sociale Apeiron di Pignataro Maggiore (Caserta). A rispondere, anche Ilaria Chiericozzi, mediatrice culturale della cooperativa.

La cooperativa Apeiron è nata quasi 10 anni fa con l’obiettivo di contribuire alla costruzione di un nuovo welfare di comunità. Seguendo quest’ottica ha da sempre lavorato nel settore della salute mentale tramite i budget di salute in Ptri (Progetto terapeutico riabilitativo individuale), modalità di lavoro all’avanguardia in regione Campania che mira all’autonomia delle persone prese in carico e si pone come principale obiettivo l’inserimento lavorativo. «Avendo avuto negli anni riscontri positivi – spiega Statia – abbiamo potuto partecipare all’affidamento di beni confiscati presenti sul territorio, ciò ci ha spinti a sperimentare il servizio di accoglienza in quanto abbiamo sempre vissuto sulla nostra pelle questa grande emergenza e le mille difficoltà che gli immigranti riscontrano all’arrivo. Abbiamo così deciso di provare a dare un contributo nel nostro piccolo».

Cosa comporta gestire ragazzi immigrati? Pregi e difetti. Difficoltà e soddisfazioni.

«Gestire centri di accoglienza è sempre una bella sfida. È un lavoro che può dare tante soddisfazioni ma porta con sé anche tante difficoltà da dover affrontare. Si lavora sempre in situazioni molto delicate, in bilico, si parla sempre di persone che scappano dal loro paese, costretti e rimettono in gioco tutta la loro vita, a volte la loro stessa identità. D’altra parte, però, essere a contatto con culture così diverse tra di loro porta un grande arricchimento professionale, personale e al Paese tutto. Inoltre, ascoltare le loro storie, il loro vissuto e il loro viaggio per l’Italia ti fa rivalutare tante piccole cose che noi diamo scontate. Vederli sorridere e gioire per qualcosa fatta da te è una grande soddisfazione. A ciò si associano molte difficoltà dovute spesso, inizialmente all’individuazione di strumenti comunicativi non parlando la stessa lingua, dovuti alle loro paure nell’affidarsi e nel tentare di costruire un rapporto di fiducia. A volte ci possono essere molte incomprensioni causate dalla differenza culturale, come può essere ad esempio il cibo oppure i percorsi legali per l’ottenimento del permesso di soggiorno. Costruire un percorso di integrazione che riguarda proprio riuscire a creare integrazione tra culture così differenti è la parte più delicata del nostro lavoro».

Cooperativa immigrati

Quando si parla di cooperative che ospitano i ragazzi immigrati in Italia, si sente ogni tipo di parere e pregiudizio, a cominciare dalla volontà di voler approfittarsi della situazione per rubare soldi, fino alla vera e propria tratta di migranti. Un tuo commento a riguardo…

«Come in tutti i campi, vi sono persone che amano questo tipo di lavoro e lo fanno con il cuore e altre che vogliono solo sfruttare la situazione. Questa è stata la motivazione più forte che ci ha spinti ad offrire questo servizio. Provare a dimostrare che volendo, anche in casi di emergenza, le cose si possono fare bene, con passione e si possono costruire importanti percorsi progettuali. Situazioni fortemente sgradevoli se ne incontrano spesso e la speculazione può essere veramente tanta, vanno condannate e denunciate, ma questo tocca soprattutto alla società civile».

In merito invece ai migranti, molti associano a loro “pretese” o “proteste” di mancanza di wi-fi o cibi non graditi… Sono avvenuti episodi simili nella tua cooperativa? Puoi raccontarli e commentarli?

«Sì, spesso è capitato, ma sono discussioni che durano poco. All’inizio, quando i ragazzi non ci conoscevano, cercavano spesso di creare disagi di questo tipo se però si lavora sulla costruzione di un buon rapporto con loro tali episodi si riducono notevolmente. La relazione che si costruisce con loro è fondamentale. Devono fidarsi di te e da quel momento in poi il tutto va da se».

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C’è chi dice che “non scappano da nessuna guerra”, altri ancora che dovrebbero essere ospitati solo coloro che scappano da guerre mentre tutti gli altri ritornino al loro paese. Cosa ne pensi? 

«Io credo semplicemente che nessuno intraprenderebbe mai un viaggio del genere in mare, rischiando la vita, investendo tutti i propri risparmi, lasciando la famiglia, gli amici, la loro quotidianità, attraversando a piedi un intero continente, se non avesse realmente un motivo valido che li spinga a lasciare tutto senza sapere se torneranno un giorno. È troppo comodo parlare per luoghi comuni».

Come si può creare una reale integrazione e quanto è importante il ruolo di operatori realmente preparati a riguardo?

«Integrazione per noi vuol dire raccontare ai ragazzi le tradizioni locali, gli usi e i costumi del paese ospitante, unendoli con le loro tradizioni. Vuol dire rispettare le due culture, unirle e arricchirsi reciprocamente. Il ruolo degli operatori, ma soprattutto dei mediatori culturali e la loro preparazione e sensibilità risulta indispensabile al raggiungimento dell’obiettivo».

Quali sono le vostre attività nel centro? come coinvolgete i ragazzi?

«Principalmente nel nostro centro organizziamo lezioni di italiano, di educazione alla cittadinanza. Di formazione al lavoro. Inoltre, ogni estate, gli ospiti hanno modo di confrontarsi con alcuni ragazzi provenienti da tutta Italia ai campi estivi organizzati dall’associazione “Libera. In queste occasioni i ragazzi hanno avuto modo di raccontare le loro storie e di conoscere altre persone. In questo modo si lavora sull’integrazione e in particolare sul pregiudizio».

cooperativa immigrati

Come ha reagito la popolazione locale all’arrivo dei primi migranti?

«All’inizio la popolazione del luogo si è mostrata un po’ diffidente ma credo che sia l’atteggiamento normale che ognuno di noi assumerebbe quando ci si confronta con una novità, è la paura dell’altro. Dopo poco, però tutti i timori e le perplessità iniziali sono sparite e ormai i ragazzi sono parte integrante della comunità, alcuni di loro lavorano per il Comune come operatori ecologici e altri, a volte, danno una mano durante gli allestimenti delle feste locali. Ciò ha concesso ai cittadini di viverli come persone e non più come “l’uomo nero” che ci toglie qualcosa».

Come si può aiutare la popolazione locale più diffidente ad accettare i nuovi arrivati?

«È importante conoscersi, parlare, spiegare le proprie motivazioni e i progetti, ma essenziale è importante “fare” insieme. Solo tramite la chiarezza e la trasparenza si può arrivare al dialogo, all’accettazione e all’integrazione dei nuovi arrivati».

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Quali sono le speranze e le aspettative dei ragazzi che passano dal vostro centro?

«Molti di loro sperano di restare qui in Italia e di trovare lavoro. Ovviamente la più grande speranza è l’ottenimento della protezione internazionale in modo da poter poi fare richiesta del titolo di viaggio e del ricongiungimento familiare».

Credi che l’Europa debba avere un ruolo maggiore in tema immigrazione o pensi che lo Stato italiano, da solo, sia già autosufficiente?

«Il problema di questa delicata emergenza non è solo italiano, dovrebbe essere comunitario. L’Europa dovrebbe prendere posizioni più serie e nette rispetto all’accoglienza, dovrebbe costruire più ponti e meno barriere. Ma riguardo a questo ce ne sarebbero di cose da dire. Noi non siamo per nulla un’Europa accogliente, siamo impegnati a globalizzare solo i mercati economici e non le persone».

Vuoi aggiungere altro?

«Nonostante le difficoltà iniziali, consiglierei a tutti di toccare con mano queste storie e di ascoltare quanto questi ragazzi hanno da dire. Vederle in televisione e sentirle direttamente dalla loro voce sono due cose ben diverse. Finché non tocchi con mano queste realtà non riesci a capire fino in fondo quanto sia delicata e complicata la questione dell’immigrazione, quante le tragedie, quante le paure che portano con sé e questo nonostante il loro bisogno di riscattarsi. A volte è straziante accogliere i loro bisogni, non siamo abituati a tale disperazione, vivendo in un mondo abbastanza ovattato cerchiamo di difenderci da tutto il resto, calpestando diritti e dignità. Noi crediamo in un altro mondo possibile e in “Un’altra Europa Possibile” quindi il nostro cammino non si fermerà qui».

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