Cosa accade se la musica zigana incontra un cantautore italiano con origini praghesi? Un mix di integrazione culturale, tra musica e società. Lo dimostra bene Roberto Durkovic, da 18 anni insieme a “Fantasisti del Metrò”. Ovvero un gruppo di musicisti rom incontrati per caso nella metro di Milano e mai più abbandonati.
Da allora il cammino è stato in continua ascesa, tra 2 premi nazionali (di Amnesty international e Musica sulle Aie) e un concerto di fronte a Papa Woytjla.
L’attuale gruppo è composto, oltre a Durkovic stesso (chitarra, voce), da Ion Bosnea (clarinetto), Massimiliano Alloisio (chitarra), Adrian Dumitru (chitarra), Florian Albert Mihai (fisarmonica), Davide Marzagalli (batteria e percussioni), George Bosnea (violoncello), Minel Lupu (contrabbasso), Ugo Begliomini (basso elettrico) ed Emilio Rossi (tastiere). Da Eduard e Stefan Dumitru (violino), Florin Marinel (cymbalon), Luigi Scuri (batteria) e Romeo Tarabana (percussioni).
“È difficile autodefinirsi – dice di se stesso – Roberto è una persona come tante che ha avuto due grandi passioni, lo sport e la musica. Dopo aver fatto tutte le esperienze possibili e immaginabili, tra politica e lavoro, queste sono rimaste sempre ferme. Sono una valvola di sfogo per tante cose”.
La musica ora è la tua professione ufficiale?
“Lo è sempre stata. Anche quando facevo altro, in realtà, mi sentivo musicista. Adesso faccio solo quello. Bisogna cercare di seguire la propria passione. Bisogna essere sognatori determinati”.
Raccontami l’incontro con i musicisti Rom
“Ho un padre cecoslovacco e madre italiana. Mio padre non poteva venire in Italia a causa del comunismo. Essendo cittadino cecoslovacco non poteva uscire, era un regime come il fascismo. A un certo punto della mia vita l’ho raggiunto. Così l’ho conosciuto, come descritto da mia madre, come una bella persona che ha subito la mancanza di libertà, essendo stato privato degli affetti più importanti, ovvero mia madre e me.
Andando in Cecoslovacchia durante il comunismo, nelle sere passate con mio padre al ristorante, ho scoperto la musica zigana. Continuavo a dar loro mance per farli suonare e prendevo le loro cassette, ero colpito dalla loro musica.
Sono passati anni. Nel 1989 è caduto il muro e, nel 1993, dopo aver fatto due dischi in qualità di cantautore ho partecipato a Sanremo Nuovi Talenti conquistando il Premio della Critica.
Nel 1998, ero a Milano per caso, presi la metropolitana e c’erano questi rom che suonavano. Loro scalavano di vagone in vagone da Piazza Europa a Garibaldi. Suonavano e prendevano le mance, poi scalavano di carrozze. Per me è stato un déjà-vu, conoscevo bene quella musica. Li ho seguiti e hanno visto che li guardavo. Uno di loro si è avvicinato e mi ha chiesto cosa volessi. ‘Sono un disgraziato come voi – ho risposto – però ho fatto due dischi. Se volete ci mettiamo assieme’.
Tra l’altro, in un mio disco avevo un brano dedicato a Praga che aveva un po’ quelle sonorità balcaniche. Ci siamo lasciati dicendoci che ci saremmo sentiti. Non è stato semplice, è stato difficilissimo. Mi hanno poi chiamato dicendomi che erano contenti. Ci siamo incontrati: abitavano in zona Garibaldi vicino un parcheggio abusivo. Di fronte c’era una fattoria abbandonata, lì sotto c’erano loro. Il primo incontro è stato di notte. Per me era come un film, una magia. Per loro era un disagio, vivevano sotto quel portico con cartoni, insieme ai figli. Era un incanto anche perché – pensandoci bene – dall’altra parte di questo muro c’era la movida milanese (Hollywood etc). Quindi c’era questa magia.
Una volta arrivato lì, il gruppo incontrato in metrò mi ha fatto sentire il mio brano dedicato a Praga, ma realizzato in una nuova versione, migliore della mia. Da lì partiamo. Ho detto ‘va bene, però dobbiamo fare le prove’. Quindi gli ho proposto di andare in metro, offrendo loro qualcosa da mangiare e facevamo le prove. Abbiamo costruito il repertorio.
Ne ho parlato a un amico giornalista che ha raccontato la storia in un articolo che conservo ancora. Il mio discografico, visto l’articolo, mi chiede quindi di far lui sentire un demo. Ho detto lui che era pronto il demo ma non era vero, mi sono presentato in ufficio con gli altri musicisti e abbiamo iniziato a suonare. È piaciuto. Così, nel 2000 è uscito il primo disco ‘Inciampo nel Mare’.
Questa è stata insomma la partenza. Poi c’è da dire anche dei continui sequestri degli strumenti perché non potevamo suonare in metropolitana, quindi loro, ingenuamente, le prime volte, vedevano sequestrati regali importanti come il violino ricevuto dal nonno, perché non sapevano come funzionava in Italia. E per recuperarli dovevano pagare 500mila lire. Quindi per loro sono diventato anche un punto di riferimento, andavo in Comune a Milano a recuperare gli strumenti”.
Quindi andavate per le metro a suonare e anche a fare spettacoli?
“Regolarmente loro suonavano per le metro, poi venivano con me quando trovato le date. I primi concerti sono stati da subito. Abbiamo suonato alla stazione, con il palco. Poi c’è stato ‘Concerto nel Mare’, che ha avuto un bel consenso di critica. Siamo molto stimati dalla critica.
Quella con loro è l’esperienza più bella della mia vita. Non solo artistica ma soprattutto dal punto di vista sociale: l’integrazione l’ho vissuta sulla mia pelle, guadagnando esperienze bellissime e anche loro, grazie all’incontro con me, hanno potuto inserirsi in certe dinamiche e sensazioni. Loro hanno passato momenti difficilissimi tra case popolari abusive etc. All’inizio, quando la Romania non era dell’Europa, erano clandestini. Quindi dormivano in posti di fortuna.
Poi abbiamo iniziato questi concerti. Tramite l’associazione Papillon, suonavamo nelle loro serate. Abbiamo suonato anche a ‘Le Scimmie’ sempre a Milano, così come in tanti altri locali. Per noi è cominciata un’attività concertistica importante, per tre volte siamo stati alla festa dell’Unità a Milano nello storico Pala Trussardi. Abbiamo suonato anche alla montagnetta di Sansiro e in piazze importanti come quelle di Torino, Mantova, Pavia, Viterbo, Venezia e naturalmente Piazza San Pietro. Ci siamo esibiti anche in diversi teatri e circoli culturali.
In occasione dell’uscita del nostro secondo disco andammo a fare il tour a Roma. Ci hanno proposto di suonare davanti a Papa Giovanni Paolo II durante un suo incontro per i giovani, il primo aprile del 2004. Ci siamo così trovati a suonare di fronte a 100mila persone con un brano nostro, ‘Il Mago di Colori’. Lo stesso brano poi è andato anche su Radio 2.
Abbiamo quindi girato in tutta Italia, sempre con il gruppo storico: i musicisti del metrò più dei ragazzi che hanno sposato il mio progetto”.
Cosa significano, per te, questi 18 anni di esperienza?
“Grazie a loro ho conosciuto il loro mondo. Grazie alla loro musica ho ricordi belli ma anche brutti. Tra questi, ad esempio, casi in cui bambini malati stavano male e li accompagnavano in ospedale oppure i loro matrimoni che erano feste di una bellezza incredibile dal punto di vista artistico e della festività. Bello anche il loro modo di pensare: non hanno un progetto futuro ma vivono molto alla giornata. Il loro vivere alla giornata, è un non piangersi addosso… alla difficoltà, piuttosto, pensano a un giorno di sole. Ma è anche un limite quello di non avere un progetto.
Ovviamente mi hanno lasciato anche l’amicizia e la dimostrazione che ogni essere umano è uguale. Siamo tutti uguali. Loro sono particolarmente ‘svegli’, con il pregio di esser sicuramente il popolo più vicino alla musica. Per loro la musica è fondamentale, lo si vede anche nei loro matrimoni. Pensa che ora con noi suona anche la seconda generazione di musicisti, nel 98’ erano bambini.
Ecco, ci sono delle difficoltà… ma ormai li conosco e so ‘gestirli’. Come noi abbiamo pregiudizi verso di loro, anche loro hanno pregiudizi verso di noi. Il primo concerto che abbiamo fatto, mezz’ora prima, mi hanno detto: ‘Vogliamo il doppio’. Ho detto loro: ‘Allora andate pure via’. Hanno preso un autobus, sono andati via, e poi sono ritornati a suonare. Insomma, ci sono stati degli ostacoli: non sono permaloso ma penso di aver dato loro una ‘lezione’ in questo senso. Sul palcoscenico sono straordinari, suonano da paura. Quando si tratta di parlare di soldi, c’è sempre da discutere… in qualche modo cercano sempre di contrattare qualcosa in più. Ecco, i limiti loro sono i soldi e il senso del progetto di vita”.
Ora, oltre i soliti concerti, avete in programma un nuovo tipo di spettacolo, dove raccontate la vostra storia…
“Sì. Ci stiamo lavorando. Partirà in estate. Racconteremo, tramite una regia e una voce narrante, la nostra storia. Il 70% del repertorio sono brani miei con loro improvvisazioni e sonorità. Poi ci sono degli omaggi, uno a Guccini e uno a De André, poi la parte loro, quella scatenata balcanica finale, con brani di loro composizione e altri famosi. Ma, visto che nel gruppo c’è anche uno straordinario chitarrista italiano ed è bravo nel flamenco, aggiungiamo anche il flamenco”.
Vuoi aggiungere qualcosa?
“Diciamo che posso dire che l’italiano di natura non è razzista. Parlo dell’italiano semplice. Poi ci sono strumentalizzazioni mediatiche, che cavalcano certe cose. Possiamo solo dire che parlare di ‘musica zigana’ fa pensare a bravi musicisti. Noi non abbiamo mai subito un episodio di razzismo nonostante abbiamo suonato in tutta Italia. All’estero, invece, a quanto loro mi riferiscono, si trovano situazioni differenti. Dicono che in Italia si sono trovati meglio, con la gente più di cuore”.