Addio David Bowie, la “Blackstar” che brillerà in eterno

Il duca bianco ci ha lasciato. David Bowie si è spento nella notte del 10 gennaio dopo una lunga battaglia contro il cancro che, purtroppo, non è riuscito a vincere. Con Bowie se ne va una delle figure più rilevanti e influenti della musica dell’ultimo secolo.

Il camaleonte del rock, maestro nell’arte di reinventarsi, era da poco tornato nel panorama musicale con Blackstar, album presentato al grande pubblico l’otto gennaio scorso in occasione del suo 69esimo compleanno. Tra le sue hit più conosciute Space Oddity (1969), The Man Who Sold The World (1970), Changes (1972), Life on Mars? (1973) Starman (1974), Rebel Rebel (1974) e Heroes (1977). Bowie collaborò anche con altre rockstar e gruppi, come i Queen per la celeberrima Under Pressure e Mick Jagger, con cui cantò Dancing in the Street. Bowie non fu camaleontico soltanto per quanto riguarda il genere musicale, ma seppe reinventarsi anche come produttore discografico, pittore, doppiatore e attore: recitò, infatti, in alcuni film come Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino del 1981 in cui recita la parte di se stesso e Basquiat del 1996 (nella parte di Andy Warhol).

David Bowie e l’annuncio della sua fine in Blackstar

Blackstar ultima fatica di Bowie e ultimo regalo discografico che il duca bianco ha voluto fare al mondo, è un capolavoro intriso di jazz e di musica sperimentale che riesce a spiazzare anche gli ascoltatori più scettici. Lo strumento principale, protagonista della maggior parte delle canzoni, è il sassofono, che si trova spesso negli assoli e che dà quel timbro jazz che ricorda i lavori di Bowie della metà degli anni ‘70.

David Bowie
Foto: © Creative Commons – Flickr: Jérôme Coppée

Blackstar, canzone da cui prende nome il disco e uscita in anteprima lo scorso 25 novembre, è stata una sorpresa anche per quanto riguarda il videoclip. Diretto da Johan Renck, il filmato è abbastanza eclettico e dai toni inquietanti. Ad accompagnare le immagini, la musica sperimentale dei primi minuti che riesce a trasformarsi in una ballata, tipica di David Bowie, per poi cadere nuovamente nell’inquietudine. Molto simile a Blackstar è Lazarus, videoclip promozionale della terza traccia, che accompagna l’uscita dell’album, e rivede Bowie nelle stesse inquietanti vesti, ma nei panni di un paziente di un manicomio. Proprio nell’incipit di “Lazarus” Bowie sembra annunciare la sua morte ormai vicina:

Look up here, I’m in heaven/I’ve got scars that can’t be seen/I’ve got drama, can’t be stolen/Everybody knows me now”.

“We can be Heroes,  for ever and ever” (David Bowie, Heroes, 1977)

Le restanti cinque tracce: ‘Tis a Pity She Was a Whore, Sue (Or in a Season of Crime), Girl Loves Me, Dollar Days e I Can’t Give Everything Away, si collegano benissimo l’una all’altra e rendono Blackstar un lavoro veramente interessante, anche grazie all’ausilio della musica elettronica. Ascoltando questo disco ad occhi chiusi si può provare la sensazione di trovarsi su una navicella spaziale, in compagnia dello stesso Bowie, l’uomo delle stelle (Starman) o Ziggy Startdust (suo alter ego), per un viaggio dal sapore un po’ nostalgico, e per una meta sconosciuta, ma allo stesso tempo intrigante e forse un po’ inquietante, come quella sensazione di solitudine che provava il Maggiore Tom in Space Oddity.

Foto: © Creative Commons – Flickr: Thierry Ehrmann

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