Addio Luis Sepùlveda. L’instancabile impegno di dare voce a chi non ha voce

È di oggi l’ennesima notizia tragica arrivata insieme all’ondata di coronavirus. Questa volta a esserne toccato è il mondo della letteratura che piange la morte dello scrittore Luis Sepùlveda. A darne la notizia questa mattina è El País. L’autore cileno aveva avvertito i primi sintomi lo scorso febbraio al rientro in Spagna da un festival letterario tenutosi nel nord del Portogallo. Ricoverato a Oviedo, nelle Asturie, regione di residenza dello scrittore, Sepùlveda ha purtroppo perso la vita all’età di 70 anni.

Avevo sette anni quando lessi per la prima volta la sua celebre favola Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Ricordo che fu il primo libro che scelsi da sola e, per dare un’idea dell’impatto che ebbe su di me, posso solo dire che fu il primo dei molti, moltissimi libri che mi hanno portata a laurearmi in Letteratura Comparata e a diventare un’insegnante, che mi hanno formata come persona e hanno instillato in me i valori in cui credo fermamente nella vita. In questo momento di lutto e di tristezza, quindi, ritengo doveroso dedicare un pensiero a uno degli scrittori che ha contribuito alla mia formazione per celebrare la sua “vita di formidabili passioni” e ricordare ancora una volta alcuni dei preziosi insegnamenti che ci ha lasciato in eredità.

“…i sogni felici fatti a pezzi, la giovinezza strappata con il piombo e con il carcere”

Fu lo scrittore stesso a definire la propria vita come “molto movimentata, un viaggio continuo” e, in effetti, la sua esistenza è stata così particolare e, a tratti, così romanzesca da non aver bisogno di introduzioni. L’autore, infatti, si trova a dover fuggire già a partire dal momento della propria nascita, minacciato da una denuncia contro l’operato politico del padre, a sua volta figlio di un anarchico andaluso fuggito in America latina.

Sepùlveda cresce in Cile, a Valparaíso e, dopo essersi formato, entra a far parte del partito socialista e della guardia personale del presidente cileno Salvador Allende. Le cose cambiano improvvisamente nel 1973, a seguito del Colpo di Stato di Augusto Pinochet. Trovandosi nel palazzo presidenziale in cui Allende perse la vita, Sepùlveda fu arrestato e torturato per mesi. Fu scarcerato grazie all’intervento di Amnesty International ma, poiché non rinunciò mai a usare la penna come uno strumento di denuncia, tornò in carcere e vi trascorse in totale due anni e mezzo per poi essere liberato, ancora una volta in seguito all’intervento di Amnesty International, ma condannato a otto anni di esilio.

“Essere del Sud segna la vita…”

Il rapporto dello scrittore cileno con il suo paese di origine fu messo duramente alla prova dalle esperienze traumatiche vissute in gioventù e rimase per sempre un nodo inestricabile nell’esistenza di Sepùlveda, un dilemma che si complicò ulteriormente nell’incontro con le contraddizioni del Cile del dopo Pinochet.

Quando finalmente fu libero di tornare in Cile, infatti, lo autore fu tormentato “dal timore di trovare un paese che tradisse quello che avevo nella memoria. Il bel paese nobile e buono del primo amore, il territorio indimenticabile dell’infanzia”. I timori di Sepùlveda si rivelarono tristemente fondati e la questione delle origini divenne un problema irrisolvibile.

Fu egli stesso ad esprimere il sentimento ambivalente verso la patria chiedendosi “… sono cileno? Vedendo l’insistenza con cui le multinazionali vogliono costruire dighe, usurpando la sacra terra dei mapuche con la piena complicità dei governi cileni, mi sento sempre più lontano da un Cile pretenzioso e prepotente di cui non voglio far parte. Ogni volta che vedo applicare nei confronti del popolo mapuche una legislazione antiterrorismo come unica risposta alle giuste richieste di restituzione di un territorio usurpato, provo vergogna davanti all’evenienza di essere cileno. Ogni volta che osservo fotografie o ricevo messaggi nei quali mi dicono i nomi di bambini mapuche feriti da pallottole di latifondisti armati con il pieno consenso dell’autorità, mi fa schifo essere cileno. Ma allo stesso tempo sento che la resistenza mapuche è anche la mia resistenza” e aggiungendo un pensiero per il Cile descritto come una terra che “profuma sempre di solidarietà, di fratellanza e della volontà di costruire un paese migliore”.

“…dare voce a chi non ha voce”

In un angolo di Bergen-Belsen, vicino ai forni crematori, qualcuno […] ha scritto delle parole che sono le fondamenta del mio essere scrittore, l’origine di tutto ciò che scrivo. Quelle parole dicevano […] ‘io sono stato qui e nessuno racconterà la mia storia’. Mi sono inginocchiato davanti a quelle parole e ho giurato che, chiunque le avesse scritte, io avrei raccontato la sua storia, gli avrei dato la mia voce […] Per questo scrivo.

Sepùlveda concepiva il rapporto dell’individuo con la propria vita in qualità di vincolo etico. Riteneva, invece, di essere legato alla letteratura da un vincolo estetico. Tuttavia, la sua aspirazione fu sempre quella di arricchire la letteratura di un senso etico e la vita di un senso estetico. L’autore, infatti, riteneva impensabile una letteratura puramente estetica, priva di conflitto e di memoria. La sua penna fu sempre uno strumento di denuncia e un modo per dare voce a chi purtroppo non ha una voce. Da qui, l’interesse per le cause che perseguì nella vita e, parallelamente, lo sviluppo dei temi più ricorrenti nella sua produzione: la resistenza in ogni sua forma politica, economica ed esistenziale, la lotta contro l’oblio, l’attenzione per le comunità indigene, per gli animali e per l’ambiente.

“Antonio José Bolívar si occupava di tenerli a freno, mentre i coloni rovinavano la foresta costruendo il capolavoro dell’uomo civilizzato: il deserto”

Negli anni del suo esilio, Sepùlveda ebbe la possibilità di partecipare ad una spedizione dell’UNESCO e di trascorrere sette mesi in Amazzonia in una comunità di indios shuar per valutare l’impatto dell’occidente su questa popolazione.

A partire da questa esperienza, l’autore mostrò sempre un grande impegno per la tutela dei diritti delle comunità indigene che, è importante ricordarlo, sono spesso vittima dell’espropriazione delle loro terre, di uccisioni, della distruzione degli ecosistemi nei loro territori e della deforestazione per gli interessi economici derivanti dall’allevamento e dall’estrazione di materie prime.

Le comunità indigene costituiscono il 5% della popolazione mondiale ma si battono, spesso da soli, per la protezione dell’80% della biodiversità terrestre. Anche a queste persone Sepùlveda offrì la sua penna e la sua voce in romanzi indimenticabili, dei quali il più celebre è sicuramente Il vecchio che leggeva romanzi d’amore. Personaggi shuar così come alakaluf, mapuche e lafkenche compaiono spesso nelle opere dell’autore.

“Balene e delfini hanno sentito le voci preoccupate dei lafkenche per la presenza sempre maggiore di uomini che arrivano da luoghi lontani, forestieri che prendono tutto quello che vogliono dal bosco, dalla terra e dal mare, senza prima chiederlo e senza poi manifestare la minima riconoscenza. I balenieri appartengono a questa specie di uomini venuti dal mondo dell’ingratitudine e dell’avidità”

A partire dal 1982, Sepùlveda iniziò a collaborare con Greenpeace prima imbarcandosi personalmente sulle loro navi e, in seguito, ricoprendo diversi altri ruoli. La sua volontà di “dare voce a chi non ha voce” trovò, così, la sua massima espressione nel suo impegno a favore dei diritti degli animali e dell’ambiente. In particolare, le balene sono protagoniste di diversi romanzi e favole dello scrittore tra i quali Il mondo alla fine del mondo e Storia di una balena raccontata da lei stessa, entrambi dichiaratamente ispirati dalla lettura di Moby Dick in giovane età e della successiva esperienza personale nella lotta alla caccia della balena.

La visione delle balene come “animali che non sanno difendersi” ma che “sono gli unici animali capaci di compassione” ha portato Sepùlveda a una giusta e spietata condanna dell’avidità umana nello sfruttamento di questi animali e nella loro uccisione illegale e motivata solo dall’interesse economico.

La comprensione dello straziante dolore degli animali e la battaglia per il loro diritto alla vita tornano spesso nella produzione dell’autore e si uniscono a una forte consapevolezza ecologica e ambientale. La penna dello scrittore cileno si è mostrata particolarmente affilata nell’esprimere “la necessità di proteggere l’Antartico trasformandolo in un grande parco naturale di patrimonio comune, invece di farlo diventare un immondezzaio nucleare o chimico come già propongono alcune nazioni sature di veleni”, così come “il Mediterraneo, frenando gli scarichi di sostanze tossiche nelle sue acque già più che vessate, per evitare che il mare padre di tutte le culture finisca trasformato nella grande fogna del pianeta”.

Nella sua battaglia per il mare, così come in quella per l’Amazzonia, Sepùlveda non dimenticò mai l’importanza di una linea d’azione fondata sull’equità ribadendo che “quando una nazione ricca installa una discarica di rifiuti chimici o nucleari in un paese povero sta saccheggiando il futuro di quell’agglomerato umano” e osservando che “…se i rifiuti sono, come dicono, ‘inoffensivi’, per quale ragione non hanno installato la discarica sul proprio territorio?”.

L’instancabile impegno personale e letterario a favore dei più indifesi e di chi non ha voce fa di Sepùlveda uno dei più grandi scrittori del nostro tempo e la perdita della sua voce forte, intransigente eppure gentile è inestimabile per il mondo e per il panorama letterario.

Le sue battaglie fisiche, politiche e letterarie, così come la sua incrollabile fiducia nei valori della fratellanza e dell’amicizia (ben rappresentati, ad esempio, nelle sue favole) non si concludono, però, in un ospedale delle Asturie e non sono vinte dal nemico invisibile che lo ha costretto a una resa solitaria e senza possibilità di combattimento.

I suoi insegnamenti vengono oggi consegnati a noi, i suoi lettori. Sta a noi ricordare che “la tenerezza bisogna proteggerla con la durezza e che il dolore non può paralizzarci”. Sta a noi continuare a rifiutarci di stare in silenzio di fronte alle ingiustizie, ai soprusi e a qualunque azione vada contro ai valori fondamentali di equità, giustizia, rispetto e libertà. Sta a noi continuare a parlare, a scrivere, ad agire in qualsiasi modo senza mai stancarci e senza mai scoraggiarci, facendo sempre del nostro meglio, non rinunciando a dare il nostro contributo per quanto piccolo possa sembrarci e ricordando che ogni battaglia eticanon richiede né eroi né messia” ma inizia con la resistenza e con la difesa dei diritti fondamentali di ogni entità vivente.

Copyright © 2016 Sguardi di Confine è un marchio di Beatmark Communication di Valentina Colombo – All rights Reserved – p. iva 03404200127

redazione@sguardidiconfine.com – Testata registrata presso il Tribunale di Busto Arsizio n. 447/2016 – Direttore Responsabile: Valentina Colombo