L’allarme Sudan continua: appello dei Medici Sudanesi per arrestare massacri civili

A fronte degli ultimi giorni di massacri compiuti dalle milizie ai danni dei civili per le strade di Khartoum, dell’appello umanitario lanciato oggi dal Comitato Centrale dei Medici Sudanesi, e della quasi totale indifferenza dell’opinione pubblica occidentale, cerchiamo di ricapitolare quanto accaduto in Sudan negli ultimi due mesi.

L’11 aprile scorso quello che appariva come un colpo di stato militare ha destituito il presidente Omar al Bashir, da trent’anni alla guida dittatoriale del Paese e già oggetto di mandati d’arresto del Tribunale Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità. Tuttavia, le speranze dei numerosi manifestanti nella possibilità di un governo sudanese democraticamente eletto si sono infrante con l’annuncio, da parte degli autori del presunto colpo di stato, dell’istituzione di un “Consiglio Militare di Transizione” (Transitional Military Council, TMC), guidato da niente di meno che un luogotenente dello stesso Bashir, Ahmed Awad Ibn Auf.

Le costanti pressioni affinché l’ex capo di Stato venisse consegnato dal “nuovo” governo al Tribunale Internazionale – richiesta peraltro mai accolta dal TMC, tra le polemiche e le ipotesi di stallo intenzionale antidemocratico – hanno nei giorni seguenti costretto anche Ibn Auf alle dimissioni. Il 12 aprile è salito quindi al comando del TMC il generale Abdel Fattah al Burham.

I manifestanti civili hanno continuato le proteste e i sit-in pacifici nelle aree centrali di Khartoum, sempre vessati dai diversi gruppi di milizie vicine al Consiglio o ancora a Bashir, mentre il TMC e le forze di opposizione hanno cercato trattative per governare il Paese in tandem durante un’ipotetica transizione di tre anni, fino a elezioni democraticamente indette. I due schieramenti, però, non sono mai riusciti in questi mesi a trovare un accordo su chi dovesse governare de facto, i militari o i civili.

Il fallimento delle trattative e la fantomatica promessa di elezioni in nove mesi sono stati annunciati dal Consiglio Militare martedì 4 giugno scorso, a poche ore dall’inizio del più sanguinoso massacro dalla deposizione di Bashir; a compierlo, su civili disarmati e donne, bambini, professionisti sanitari, le Rapid Support Forces, un gruppo paramilitare originato da ciò che rimaneva dei famigerati Janjaweed (la milizia del Darfour, per intenderci).

È nota a livello internazionale l’alleanza fra questo gruppo miliziano e l’asse anti-rivoluzionario rappresentato da Emirati Arabi, Egitto e Arabia Saudita, tutt’altro che interessati all’istituzione di un governo democratico in Sudan: ciò lascia intendere quanto radicato sia il sistema di corruzione, interesse e terrorismo militare costruito in trent’anni da Bashir.

La stampa internazionale, oltre a nostre fonti locali, parla di un monte vittime che si aggira a oggi tra i 100 e i 200, senza contare i feriti, i dispersi – alcuni gettati dai miliziani nel Nilo – le vittime di stupri e intimidazioni, l’oscuramento delle reti internet e telefoniche. In particolar modo, il Comitato Centrale dei Medici Sudanesi (Central Committee of Sudanese Doctors, CCSD) denuncia da giorni assedio e attacchi mirati a curanti, infermieri, personale ospedaliero e presidi, con lo scopo di ridurre le possibilità di accesso alle strutture da parte dei manifestanti civili in gravi condizioni.

Il Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres si è detto “allarmato” dalla notizia che forze armate avessero aperto il fuoco all’interno di un ospedale a Khartoum e ha sollecitato le autorità sudanesi a facilitare un’investigazione indipendente sulle morti e ad assicurarsi che i responsabili rispondano delle loro azioni. Ha anche rinnovato la sua chiamata a negoziare una transizione pacifica a un governo ad autorità civile.

L’ambasciatore britannico in Sudan, Irfan Siddiq, ha twittato come gli attacchi agli ospedali e alle cliniche “sfidino il credibile”: «I feriti nei terribili attachi di oggi necessitano di accesso a trattamento medico senza impedimenti – ha detto – I centri sanitari devono essere zona franca».

Dal canto suo, il TMC ha negato gli attacchi agli ospedali, con il portavoce Shams El Din Kabbashi che ha riferito come le forze di sicurezza sarebbero state all’inseguimento di “elementi pericolosi” che avrebbero lasciato il sito di protesta causando caos: «Il Consiglio Militare di Transizione si rincresce della situazione, riafferma il suo impegno alla sicurezza dei cittadini e rinnova la sua chiamata ai negoziati il più presto possibile», è stata la dichiarazione del TMC.

Poche ore fa, l’Unione Africana ha sospeso ufficialmente,
a sorpresa, il Sudan dalla partecipazione alle sue attività «fino all’effettiva istituzione di un’autorità di transizione guidata da civili». Ed è di oggi, come accennato in apertura, la pubblicazione via Twitter da parte del CCSD di un appello umanitario rivolto a ONU, Organizzazione Mondiale della Sanità e Organizzazioni Sanitarie Regionali e Internazionali. Lo riportiamo nella sua interezza:

Appello Comitato Centrale dei Medici Sudanesi

Central Committee of Sudan Doctors (CCSD) – Comitato Centrale dei Medici Sudanesi

7 giugno 2019

a

Nazioni Unite

Organizzazione Mondiale della Sanità

e Organizzazioni Internazionali e Regionali Sanitarie

Appello Umanitario Urgente

Dal massacro del 3 giugno 2019, il Consiglio Militare e le milizie Janjaweed hanno continuato a uccidere e terrorizzare cittadini disarmati in Sudan. Hanno usato i mezzi più brutali, quali stupri, pestaggi e sparatorie su cittadini disarmati con l’intento di uccidere.

Ciò è risultato nella perdita di più di cento vite innocenti. E’ difficile quantificare il reale numero delle vittime. Questo, in parte, è a causa dell’intenzionale oscuramento dei servizi internet nel Paese da parte del Consiglio Militare, cosa che ha reso estremamente difficili le comunicazioni per verificare e documentare le perdite.

Mentre questo appello è stato scritto, 113 persone sono state uccise dalla giunta militare. Tutte questi decessi sono stati documentati da medici sotto la diretta supervisione del Comitato Centrale dei Medici Sudanesi.

I nostri ospedali sono sovraffollati da feriti. Presidi essenziali di emergenza e attrezzatura medica (come analgesici e soluzioni intravenose) scarseggiano. C’è grande carenza di personale medico, causata in larga parte dalla milizia che ha preso di mira i medici, impedendo loro di raggiungere ospedali e cliniche per compiere il loro dovere. Cinque ospedali maggiori nella capitale sono stati completamente chiusi da queste milizie, e altri due solo in parte. Per queste ragioni, ogni giorno si continuano a perdere più e più vite.

Alla luce di questa crisi umanitaria in corso, facciamo appello alle Nazioni Unite per far pressione sul Consiglio Militare affinché mettano fine a queste violazioni dei diritti umani, garantiscano la sicurezza del nostro staff medico e si astengano dall’interferire con le cure mediche a cittadini feriti.

Facciamo anche appello all’Organizzazione Mondiale della Sanità e alle organizzazioni regionali, internazionali e non-governative sanitarie, affinché forniscano aiuto alla popolazione Sudanese per uscire da questa crisi umanitaria causata dal Consiglio Militare e le sue milizie.

CCSD’s Media Office  – Ufficio Media del Comitato Centrale dei Medici Sudanesi

7 giugno 2019

Sudan: Testimonianze esclusive da N. medico sudanese

massacri civili in Sudan appello medici sudanesi (2)
lunedì 3 giugno 2019
massacri civili in Sudan appello medici sudanesi (2)

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