Andrea Cabassi, Life Project Management: La vita? Un regalo da utilizzare al meglio delle nostre possibilità

Liberarci dai nostri limiti interiori, scardinarci da quei preconcetti che abbiamo dentro di noi sin dall’infanzia, cercare l’equilibrio per vivere sereni, con obiettivi concreti. Andrea Cabassi oggi è una dimostrazione vivente che a 40 anni si può cambiare vita.

Lo ha raccontato nel suo primo libro (Permettimi d’Insistere, Ho cambiato vita a 40 anni), e ora “aiuta i sognatori a far succedere le cose che desiderano“, grazie a un percorso di Life Project Management. Lo abbiamo intervistato…

Chi è Andrea? Presentati…

Sono nato nel 1975 a Parma, diagnosticato con Colite Ulcerosa nel 1998, dopo 14 anni di carriera ho lasciato l’Italia a 40 anni per una posizione manageriale in ambito project management a Dubai.

Due anni più tardi ho lasciato il mondo aziendale per scrivere, viaggiare e scoprire la mia vocazione per il coaching.

Dopo aver effettuato numerosi viaggi durante le ferie dal lavoro, nel 2018 ho attraversato l’intero Sudamerica via terra da sud a nord, in 299 giorni, spostandomi a piedi, in autostop e coi mezzi pubblici. 

Tra il 2019 e il 2020 sono andato alla scoperta del Sudest asiatico per 8 mesi e mezzo, fino a quando l’emergenza Covid-19 mi ha costretto a rientrare in Europa.

Nell’autunno del 2020 ho percorso a piedi l’intero cammino di Santiago de Compostela, lungo il percorso Francese, partendo da Lourdes (930 km totali).

Oggi mi occupo di coaching, scrittura e sto entrando nel mercato dei video-corsi. Il tutto in modalità location independent. La mia mission è aiutare i sognatori a far succedere le cose che desiderano.

Per il momento faccio base a Porto, in Portogallo. Domani, non so…

Andrea Cabassi, Life Project Management, Porto
Porto 2021

Cosa significa vivere con una rettocolite ulcerosa?

La RCU è una patologia autoimmune cronica intestinale catalogata tra le cosiddette “invalidità invisibili”. Non si vede, ma c’è. Me la cavo con pillole, supposte, colonscopie, qualche recidiva ogni tanto e corse al bagno a frequenza variabile. Un gran rompimento di coglioni. Però, cosa ci devo fare? The show must go on.

A proposito del tuo viaggio di 299 giorni a piedi, in autostop e coi mezzi pubblici in Sudamerica: ci racconti un episodio particolarmente significativo?

Ti racconto un aneddoto che che mi accadde in Colombia. Lo faccio estraendo un passaggio del mio libro “Non so se mi spiego – Da manager a Dubai a viaggiatore in Sudamerica”.

“Era il 2 novembre 2018 e fu una delle giornate per me più rappresentative del viaggiare in solitaria, che non significa viaggiare da soli, ma col resto del mondo. Dovevo fare una lunga tappa di trasferimento, da Filandia a Jardín, per la quale era normale impiegare un giorno e mezzo cambiando tre bus. Mi mossi all’alba.

Alla fermata della prima corriera feci comunella con sei viaggiatrici, a loro volta conosciutesi in quel frangente, anch’esse destinate allo stesso luogo. Giunti a Pereira ottenemmo uno sconto comitiva sul pullman per Riosucio. Era primo pomeriggio e il successivo mezzo pubblico per Jardín, un pulmino scassato a causa della strada sterrata e piena di buche, sarebbe partito l’indomani mattina.

Ma l’unione fece la forza: dopo un’estenuante trattativa e una lunga serie di ripensamenti, contrattammo un taxi-jeep tutto per noi. Ci costò quanto la corsa in bus, ci fece evitare la notte a Riosucio e ci regalò un’avventura splendida.

C’era il tutto esaurito sul veicolo: noi sette, una signora colombiana che arruolammo per riempire l’ultimo sedile disponibile, il taxista e suo padre, unitosi alla combriccola per fare compagnia al figlio durante il viaggio di rientro. Non gli avrebbe permesso di percorrere da solo, di notte, quella strada isolata e buia dove fino a un paio d’anni prima esistevano ancora gli ultimi accenni di guerriglia.

Tentarono invano di sistemarci “a spinta” all’interno della Jeep insieme ai bagagli, tre persone davanti e sette dietro, ma era come tentare d’infilare in una Fiat 500 i famosi quattro elefanti delle barzellette.

Nessun problema. Con tre di noi aggrappati fuori – tra i quali me – ci spostammo dal ferramenta per comprare una corda e un telo di plastica necessari a stivare sul portapacchi, legare e proteggere dalla pioggia i bagagli. Mezz’ora di Tetris per incastrare tutto e tutti, quindi finalmente partimmo.

Tre ore di risate e sobbalzi, con pausa pranzo in un ristorante – dove mai mi sarei aspettato di trovarne uno – che ci servì una trota fritta eccezionale in salsa d’avventura e buonumore. A destinazione ovviamente alloggiammo tutti insieme. “Adoro i piani ben riusciti”, direbbero quelli dell’A-Team”.

Andrea Cabassi, non so se mi spiego

Chi volesse acquistare il libro, lo trova qui: https://amzn.to/3oWgiLi

Nel tuo sito leggiamo: “Le ricette per la felicità non esistono, ma esiste la possibilità di utilizzare strumenti e competenze che abbiamo a disposizione per assumerci il coraggio di perseguire un obiettivo di cambiamento, prendendoci i rischi calcolati”. Una posizione quindi razionale, dove il buttarsi a occhi chiusi non sembra contemplato. Quindi ti chiedo:

Cos’è per te la felicità?

La felicità per me è un picco di emozioni piacevoli, possibile solo se ti trovi in uno stato di serenità. Quindi per me la chiave è essere sereni, altrimenti il tuo equilibrio emozionale sarebbe troppo basso e un picco emotivo piacevole non sarebbe sufficiente a farti sentire felice. NB affinché possa esistere il concetto di felicità, è necessario anche quello di tristezza. Come dire: senza aver provato il gusto salato, sarebbe impossibile riconoscere il dolce.

E la chiave per essere sereni è, a mio modo di vedere, scegliersi i problemi da risolvere. Che è diverso da non avere problemi. Ti faccio un esempio che mi riguarda. Quando lavoravo in azienda, i problemi professionali che mi trovavo a gestire erano quelli per i quali l’azienda mi pagava, oggi invece sono quelli derivanti dalla mia attività come freelance, talvolta addirittura più complessi dei precedenti, ma sono frutto di una mia libera scelta.

Ovviamente, è utopico pretendere di avere solo problemi che ci si sceglie (es. una malattia raramente è un problema che si sceglie di avere), ma in parecchi ambiti della nostra vita è possibile, più di quanto pure io pensavo fino a qualche anno fa.

Quali sono i primi consigli che dai a chi si rivolge a te con il desiderio di cambiare vita?

L’inizio è sempre l’ascolto della problematica del cliente che mi trovo di fronte, al quale quindi faccio una serie di domande per approfondirla, soprattutto al fine di aiutare la persona stessa a capirla a fondo.

Suggerisco anche un lavoro di estrazione dei valori e un’analisi delle credenze limitanti, cioè quei concetti (che ci limitano appunto) e che sono stati inclucati nel nostro subconscio, specie nei primi anni di età e in totale buona fede, dagli adulti che prendiamo a modello: genitori, parenti, insegnanti, tate, baby-sitter, tutor del centro estivo, ecc.

Tali credenze detteranno le regole della nostra vita, la nostra capacità di prendere decisioni, la nostra propensione al rischio, i nostri valori e i princìpi secondo i quali stabilire cos’è giusto e cosa non lo è.

Il coaching, scrivi sul tuo sito, non è un servizio psicologico ma una metolodogia e un approccio di vita. Puoi spiegarci meglio in cosa consiste?

Il passo successivo a quanto descritto nella precedente risposta è guidare la persona nel definire un obiettivo specifico, misurabile, alla sua portata, realistico e con una scadenza entro la quale intende realizzarlo.

Sì perché, dire di voler cambiare vita senza stabilire cosa s’intende fare di diverso è come mettersi al volante senza una meta: si rischia di girare in tondo per poi ritrovarsi al punto di partenza, stanchi, senza benzina e con l’auto che necessita di un tagliando.

Occorre cioè prevenire la possibilità di sprecare energie nella direzione sbagliata.

Quindi si fa un piano d’azione per arrivare a quell’obiettivo, lavorando anche sulle emozioni che impediscono di lanciarsi. Emozioni che rappresentano il nostro algoritmo, sulla base del quale la nostra mente decide se farci o non farci fare qualcosa.

Per mantenere la metafora automobilistica: una volta definito con chiarezza dove si vuole andare, si “disegna” la mappa per arrivarci.

Quanto conta il vivere “qui e ora” e non pensare al futuro? Oppure l’importante è un equilibrio tra le due posizioni?

Direi un equilibrio tra le due posizioni. Il “qui e ora” per godersi la vita, con uno sguardo al futuro per stabilire dove si vuole andare e cercare di prevenire problemi.

Cos’è per te la vita?

Un regalo da utilizzare al meglio delle nostre possibilità. Come diceva Confucio, “abbiamo due vite, la seconda inizia quando ci rendiamo conto di averne una sola”.

Come chiudiamo tutte le interviste, ti chiedo: Qual è la tua canzone preferita?

Ninnananna” dei Modena City Ramblers, una ballata dedicata ai viaggiatori.

Per conoscere meglio Andrea e contattarlo: https://andreacabassi.com/

Andrea Cabassi
Vulcano Quilotoa (Ecuador, 2018)

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