Bimbo senza genere, secondo il genitore. La possibilità di scelta e i suoi limiti

La prima persona “senza genere” potrebbe essere canadese. Sulla sua tessera sanitaria di Searyl Atli Doty, un neonato di otto mesi, compare una “u” che in inglese indica un genere indefinito o sconosciuto quindi né maschio né femmina. Il suo certificato di nascita, invece, non è ancora stato rilasciato.

Il genitore del bambino si chiama Kori Doty e ha deciso di lasciare al figlio la possibilità di scelta riguardo al proprio genere, perché essendo transgender ha sperimentato in prima persona cosa significhi non avere questa possibilità.

In un’intervista Doty ha spiegato che quando è nat* sono state fatte supposizioni, basate sui suoi genitali, su quale fosse il suo genere. Quelle supposizioni inesatte hanno influenzato tutta la sua vita rendendo più difficile la sua ricerca identitaria.

Il genere: una creazione sociale

Infatti, l’attribuzione del sesso, e quindi anche del genere, viene definita in base a un criterio che sembra essere logico e indiscutibile, ossia la differenza tra i genitali. Ciò che determina se una persona è maschio o femmina, tuttavia, è attorniato da una serie di stereotipi associati alla mascolinità e alla femminilità che agiscono sin da quando una persona nasce e contribuiscono a “creare” il genere, rafforzando un’idea preconfezionata di ciò che esso sia.

Esattamente per questo motivo il genitore del bambino ha deciso di combattere per lasciare al figlio la libertà di autodeterminarsi. Se da un lato questo potrebbe far sorgere delle perplessità perché la scelta del genitore potrebbe essere percepita come un’imposizione nei confronti del figlio, anche l’imposizione sociale è reale e viene attuata da medici che, senza volerlo e a causa di una loro credenza, attribuiscono il genere “corretto” al neonato.

Genere sessuale: si può parlare di una libera scelta? 

Inoltre, se il bambino potrebbe avere difficoltà per il fatto di non avere un genere definito, questo sarebbe vero solo sulla carta perché la scelta potrebbe avvenire su base sociali e il bambino sarebbe libero di identificarsi nel genere che preferisce. Oppure, la scelta potrebbe non avvenire e il bambino sarebbe libero di non identificarsi affatto.

Tuttavia, in che misura è una scelta il genere, se oltre la performance che di esso si fa, tale scelta può anche comportare l’intervento chirurgico per cambiare il proprio corpo? Quando dalla performance si passa all’atto di assumere ormoni e cambiare radicalmente se stessi, si può ancora parlare di una libera scelta? In che misura le leggi sono culturali e sociali e in che misura è una certa idea di natura ad essere presa in causa?

Il fatto che ci sia un precedente legale potrebbe aiutare altre persone che nella loro vita hanno sperimentato la pressione della scelta che il genere esercita ad essere più consapevoli della possibilità di scelta. Tuttavia, questo precedente è utile soprattutto per chi non riesce a comprendere che esistono due tipi di discorsi, uno dal quale emerge la gerarchia e l’idea di normalità, e uno che imperterrito cerca di contrastarlo sulla base di una specificità e diversità personale che, si spera, non si annulli di fronte a discorsi omogeneizzanti e coesi ma, sfortunatamente acritici.

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