Carla Stracci, drag queen: «Il modo più libero con cui posso esprimermi»

“Bionda&scema”, “perché essere figa quando puoi essere scema?”. Si presenta così la drag queen Carla Stracci, nome d’arte di Niccolò Angelini di Arcigay Pavia Coming-Aut. Grazie al suo personaggio gira i palchi di tutta Italia ed è stata Miss Drag Queen Lombardia 2014.

Si esibirà anche al VaresePride, la parata in programma il 15 giugno alla quale Sguardi di Confine parteciperà in qualità di sponsor. Di seguito ecco la nostra intervista, abbiamo parlato di stereotipi, di generi e del mondo attorno all’arte drag…

Chi è Carla Stracci?

«Carla Stracci è il personaggio che porto in scena da 9 anni. Ho debuttato a Pavia durante le serate di Arcigay Pavia “Coming-Aut”. È il mio alter ego con tacco e parrucca».

Da dove è nata la tua passione per il mondo drag? Cosa ti ha spinto a iniziare?

«Nell’associazione di Arcigay Pavia “Coming-Aut” c’era già un gruppo di drag queen che si esibiva una volta al mese. Stavano cercando altre drag perché in quel periodo c’era un turnover. Mi hanno chiesto di provare, volevo propormi solo come ballerino spalla visto che facevo danza. Poi mi hanno proposto di provare a mettermi tacchi e parrucca… da lì è stato amore a prima vista».

Il drag nasce anche per “mettere in questione” i generi così come sono imposti dalla società. Anche per te ha questo scopo?

«L’arte drag è un po’ una sorta di gender fucking, è un modo per criticare con ironia la società e fare satira politica. Ognuno ci mette dentro quello che vuole. È una forma d’arte e come tale può avere diverse componenti. Certo, ne fa parte anche la critica agli stereotipi di genere».

Quindi, cosa sono per te i generi?

«Precisiamo che i generi – per tutti – sono qualcosa con il quale ogni essere umano ha a che fare: il genere maschile e femminile. Parlando sopratutto di stereotipi di genere… spesso sono già molto stereotipizzati di per sé. Poi ci sono altri concetti importanti, ovvero l’identità, il ruolo e l’espressione di genere. Ecco, le definizioni ci servono per poterci collocare nello spettro dei generi, delle identità di genere e degli orientamenti sessuali: non sono sempre bianco e nero ma presentano tantissime sfumature».

Hai mai subito discriminazioni in quanto drag?

«La società italiana risente di una cultura machista e maschilista, causa del patriarcato che ancora miete vittime. Non siamo ancora arrivati a un modello di integrazione e inclusione tale per cui tutte le persone LGBTI non subiscono discriminazioni, violenze, o attacchi.

Bisogna anche precisare che le discriminazioni non sono solo attacchi violenti fisici o verbali. Si è discriminati anche crescendo in una società che condanna l’omosessualità, che vede la transessualità come una malattia e non comprende come l’orientamento sessuale o l’identità di genere non siano un pericolo. Ecco, questo è già vivere in una società che non include tutti e tutte. Per questo sì, siamo intrisi di questa mentalità e la combattiamo ogni giorno.

Per quanto riguarda me, ho subito anche io parole per strada, insulti, persone che si girano dall’altra parte parlottando solo perché vedono qualcosa fuori dall’ordinario. Per mia fortuna, comunque, non ho mai ricevuto attacchi fisici o verbali più grandi».

Ci sono pregiudizi verso il mondo drag anche da parte della stessa comunità LGBTI?

«La comunità LGBTI che conosce e sa la storia, sa bene che la rivoluzione di Stonewall è stata fatta proprio da quelle persone che non risultano “accettabili” rispetto a uno stereotipo del maschio cisgender, bianco, gay, etc. Le drag queen hanno fatto la storia e la fanno ancora. Questo dipende dalla coscienza politica che ogni drag queen ha e dalla coscienza che ha ogni persona all’interno della comunità LGBTI.

C’è chi fa parte della comunità LGBTI ma deve fare ancora un percorso di accettazione per togliersi una buona parte di omofobia interiorizzata: per loro tutto ciò che non rispecchia il gay maschile e la lesbica femminile non va bene. Invece ci sono molte più sfaccettature. Quindi, anche all’interno della comunità LGBTI, bisogna lavorare per far sì che si sviluppi una coscienza comune e collettiva che faccia sentire tutti e tutte a casa.

Io sono fortunato perché nella comunità LGBTI alla quale appartengo, quella pavese, le porte sono già aperte a tutti e a tutte quindi non c’è questo pericolo di non accettazione».

PaviaPride 2019

A proposito della storia delle drag queen, oggi esiste RuPaul’s Drag Race, un talent noto a livello mondiale. Cosa ne pensi a riguardo?

«Beh, è il talent più famoso al mondo riguardo le drag queen. È nato in America, in una cultura spesso molto distante dalla nostra. Noi stesse drag italiane lo guardiamo e lo seguiamo per ispirarci e vedere quali sono le tendenze. Però non dimentichiamoci che le drag queen sono un fenomeno mondiale e in Italia ci sono sempre state: pensiamo alla figura del “femminiello” napoletano oppure della rappresentazione teatrale dei “travestiti” come I Legnanesi o le Sorelle Bandiera, oppure tante altre esperienze nostrane in cui c’erano uomini travestiti da donna. O ancora, pensiamo allo stesso teatro greco dove le parti da donna venivano recitate da uomini o, non ultimo, il teatro shakesperiano fino alla riforma.

Insomma, uomini che si travestono da donna per arte ci sono sempre stati. RuPaul ha dato un contributo in termini di apertura e visibilità pop riguardo la figura delle drag. Quando venne in Italia con Elton John a Sanremo a presentare una canzone, fece parzialmente scandalo perché per il nostro Paese era una “novità” ma allo stesso tempo contribuì a rendere più “pop” questo fenomeno.

 Lo stesso vale per la figura di Platinette: fu una delle prime drag ad arrivare nella tv italiana e ha fatto sì che la figura della drag diventasse “pop”. Ora ci sono molti programmi che ospitano drag, come “All Together Now” su Canale 5. Insomma il fenomeno ora si sta espandendo.

Per concludere, quello di RuPaul rimane il programma più famoso al mondo. Ma non c’è solo RuPaul e non c’è solo quello stile di fare drag, non c’è solo quel modo di interpretare la drag queen anche se, effettivamente, il programma stesso presenta varie tipologie di drag, da quella comica, a quella che balla, a quella più classica, alla più ironica o a quella che va oltre i generi e gli stereotipi. Certo, è prima di tutto un programma televisivo e in America ci sono tanti altri programmi a tema così come ci sono tanti altri modi di intendere l’arte drag».

Andiamo oltre il drag. Com’è la quotidianità di Niccolò?

«La mia quotidianità è molto diversa. Non siamo ancora ai livelli dell’America dove chi fa drag lo fa full time. Sono in pochissimi in Italia riescono a farlo, non con poche difficoltà. Per me è una passione e un modo per esprimermi ma non è il mio lavoro principale.

Io sono un avvocato, quello è il mio lavoro principale. Certo, fare la drag è un ottimo diversivo, un divertimento e il modo più libero con cui posso esprimermi».

Qual è la tua canzone preferita?

«Ti rispondo con la canzone con la quale ho debuttato e che rappresenta il mio personaggio: “Gimme More” di Britney Spears… Nasco come “bionda scema”, quindi da questa canzone capisci il “livello” (ride ndr.). Sono particolarmente affezionato a questo pezzo».

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