Coronavirus, testimonianze del personale sanitario: non solo cure mediche ma anche tanti sorrisi per affrontare la tempesta

Lo scrittore giapponese Murakami Haruki nel libro “Kafka sulla spiaggia” ha scritto: «Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo».

Questa tempesta di sabbia che non si arresta ma che cambia continuamente facendo cambiare, di conseguenza, le restrizioni per contrastarla mi ha fatto pensare a quello che sta avvenendo in queste settimane nella nostra penisola; la tempesta del coronavirus ci ha colto di sorpresa e continua ad aumentare la sua potenza costringendo i governatori del nostro Paese a cambiare ogni due giorni le misure per cercare di fermarlo e di limitare i danni.

Fortunatamente in questa tempesta non siamo soli, a prendersi cura di noi ci sono medici, infermieri, operatori sanitari, operatori della croce rossa ma anche inservienti, personale amministrativo, addetti alle pulizie e tante altre figure che lavorano in ospedale ma che non vediamo perché non indossano un camice bianco, eppure sono fondamentali in queste settimane perché ci garantiscono il funzionamento della macchina ospedaliera stessa.

Ognuno di loro ogni giorno si reca nel proprio posto di lavoro: «Mettiamo con orgoglio e dedizione la divisa e ognuno di noi inizia il proprio turno cercando di dare il massimo». Ho pensato quindi di raccogliere pensieri, sfoghi, riflessioni che tutte queste figure ospedaliere hanno affidato ai social network perché spesso, dietro un loro sorriso, si nasconde un universo di emozioni come spiega Claudia: «I miei pazienti spesso in queste settimane mi chiedono come faccio a sorridere e a sembrare sempre serena. Io sorrido e minimizzo, quello che non posso dirgli è che dietro a quel sorriso si nascondono emozioni e pensieri; ma non posso mostrare la mia preoccupazione a chi è ricoverato, sofferente e impaurito. Anche io ho paura e sono spaventata da turni infiniti, reparti per malati infetti improvvisati, terapie intensive in difficoltà; ma come faccio io, come possiamo noi operatori sanitari, far vedere ciò? Non posso e non possiamo; dobbiamo cercare di affrontare questa situazione nel miglior modo possibile, ci teniamo tutto dentro e con un sorriso corriamo avanti e indietro per il reparto».

Le fa eco Simona che mi confida: «È essenziale avere sempre un sorriso ed essere positivi davanti a chi ti guarda con occhi pieni di incertezza e di timore. Poi, appena finisco il turno, mi ritrovo con le lacrime che bagnano la mia mascherina».

Questo lato umano è ben descritto dall’infermiera Matilde: «Da quando è scoppiata questa emergenza quando mi sveglio al mattino un senso di angoscia e timore per ciò che sta succedendo mi assale e quasi mi paralizza… Si perché essere infermieri non vuol dire avere super poteri, vuol dire essere umani come tutti voi. Varcando la soglia dell’ospedale e vedendo tanti occhi smarriti che cercano il mio sguardo per essere rassicurati, i miei tentennamenti si trasformano in forza per cercare di dare a tutti una parola di conforto».

Angelo qualche giorno fa si è chiesto chi glielo ha fatto fare di diventare un medico, «ma poi entrando in reparto mi sono sentito orgoglioso di essere medico e mi sono  sentito orgoglioso dei miei colleghi e colleghe medici, infermieri, OSS che lasciano a casa figli, mogli, mariti, genitori anziani per venire a lavorare in reparto nonostante le paure».

Chi assiste da dietro il banco dell’accettazione dice di non aver mai visto così tanti accessi tutti insieme «di persone che fino al giorno prima stavano bene, oggi sono in pericolo di vita, mi sembra quasi surreale questa situazione».

C’è poi chi denuncia la leggerezza con cui ancora troppi cittadini affrontano questa pandemia: «C’è troppo egoismo verso il prossimo, troppa disinformazione, circolano troppi messaggi non veritieri che spingono le persone a gesti folli e dannosi per tutti. Questa tempesta la possiamo vincere con l’intelligenza, con il buon senso, con un passo indietro di quelle che consideriamo le nostre “priorità” e con il coraggio…. Non dipende solo da noi sanitari, ma è compito di tutti: il grido che voglio lanciare è “aiutateci ad aiutarvi, rispettate le regole”».

Seguendo questa linea c’è anche chi ammette che, vedendo tanta sofferenza e tanto timore sul posto dove lavora, si è reso conto che «se tutti noi avessimo rispettato fin da subito le varie restrizioni, già a quest’ora avremmo quasi vinto il virus, non ci troveremmo in questa di emergenza e, soprattutto, non avremmo avuto così tante morti».

Forse hanno ragione o  forse no ma una cosa è  certa, prendendo di nuovo in prestito le parole dello scrittore Murakami Haruki  sempre nel suo libro “Kafka sulla spiaggia”,  quando questo periodo sarà passato e torneremo alla quotidianità avendo superato la tempesta del Coronavirus, ci sarà un cambiamento nel nostro modo di vivere: «[…] quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato».

L’augurio quindi è che da questa situazione emergenziale possiamo trarne insegnamento e uscirne cambiati, riappropriandoci di quei valori come il rispetto reciproco e le norme per la buona convivenza che abbiamo dimenticato lasciando primeggiare i nostri interessi personali, e del valore della vita stessa che ci porta alla riscoperta dell’altro.

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