Cosa significa essere un au pair? Testimonianze di ragazze alla pari

Negli ultimi tre mesi ho vissuto a Monaco di Baviera, in una famiglia metà tedesca e metà inglese che mi ha accolto a casa sua come Au Pair, ovvero ragazza alla pari.

L’esperienza alla pari è innanzitutto uno scambio culturale: una ragazza o un ragazzo hanno l’opportunità di trascorrere del tempo in un paese straniero ospitati da una famiglia del posto. Vitto e alloggio sono dunque destinati all’ Au Pair, così come l’assicurazione sanitaria e molto spesso anche l’abbonamento per i trasporti pubblici se la famiglia ospitante vive in una grande città e non mette a disposizione la propria automobile.

In cambio, l’Au Pair si prende cura dei bambini della famiglia ospitante, che in tedesco chiamiamo Gastfamilie, a volte anche di eventuali animali presenti in casa, e svolge qualche faccenda domestica per venire incontro ai genitori che solitamente lavorano full time e sono fuori casa durante la giornata. Insomma, un’occasione per trascorrere qualche mese all’estero, viaggiando, conoscendo da vicino un paese diverso dal proprio, con tradizioni e usi differenti, e ovviamente per imparare o migliorare una lingua straniera!

Il vero scopo è proprio quello di diventare un nuovo membro della famiglia mettendosi alla prova in un contesto diverso.

“Vivere come Au Pair è uscire dalla tua confort zone per raggiungere un posto nuovo e ripartire da zero” ha raccontato Marlene, una ragazza di 25 anni dal Messico che ho conosciuto a Monaco. “Posso dire che finora in questi sei mesi come Au Pair ho avuto momenti difficili, ma anche meravigliosi grazie alla buona relazione con la Gastfamilie, la bambina di cui mi prendo cura, e le amicizie che ho trovato!”

Trovarsi bene con la famiglia infatti è un punto chiave dell’esperienza alla pari; così conferma Giulia, una mia amica conosciuta anni fa all’università, che ha trascorso sei mesi come Au Pair a Gesher, una piccola città nel Nord-Est della Germania:

“Secondo me la cosa fondamentale per questo tipo di esperienza è assicurarsi di andare nella famiglia giusta. È importante la destinazione, per esempio andare in una città in cui ti puoi divertire, però per me ancora più importante è sapere che vai in una famiglia in cui ci può essere del feeling. Da questo punto di vista, nonostante mi trovassi in una città molto piccola, mi sono trovata benissimo con la mia Gastfamilie! I genitori erano persone giovani e mi avevano pagato il corso di tedesco!”

Ma non tutto quel che è oro brilla, si dice, e va detto anche per questo tipo di esperienza. Mi è capitato di ascoltare storie di Au Pair, che si sono sentite più donne delle pulizie o babysitter, anziché parte della famiglia. Nel peggiore dei casi, si sono  ritrovate improvvisamente fuori casa, senza un vero motivo.

È il caso di una mia amica dalla Russia, che si è ritrovata a dover cercare un’altra famiglia con poco preavviso, solo perché la Gastmütter (la madre ospitante) sosteneva che non sorridesse abbastanza. Piuttosto incredibile, non trovate?

Tra l’altro è risaputo che i russi non sorridono molto e non perché manchino di entusiasmo o felicità… per loro è una questione di rispetto. Una sottile, ma significativa differenza culturale che ha gettato ombre e confusione sull’esperienza della mia amica.

Al di là di questo episodio (che per me confina con l’assurdo) nello scambio alla pari si affacciano punti di vista appartenenti a mondi anche molto diversi tra loro; è il caso di un’ altra ragazza alla pari di 19 anni che ho conosciuto sempre a Monaco di Baviera e che proviene da Togo, un paese dell’Africa occidentale. Per lei è un’esperienza del tutto nuova e già mi faceva sorridere teneramente quando mi raccontava di aver provveduto a rifarsi completamente il guardaroba, “perché ovviamente in Africa non nevica mai e le temperature non sono paragonabili a quelle di Monaco!”

Un vero e proprio cambiamento culturale per lei, a 360 gradi!

Per quanto riguarda i bambini, sono gli stessi ovunque?

Laura è una ragazza alla pari di 24 anni e viene dalla Colombia: “ Qui in Germania, ho notato che generalmente danno più libertà di decidere ai bambini. Questo a volte è un problema perché finiscono per viziare i figli che a loro volta non sono grati per le piccole cose”.

Questo particolare nella nostra conversazione non è sfuggito alla mia attenzione; i due bambini della mia Gastfamilie avevano tra i nove e gli undici anni e molto spesso erano scorbutici e scontrosi. Quando regalavo loro dei cioccolatini o dei biscotti, non ricordo di averli mai sentito dire un “grazie” e non sembravano minimamente entusiasti del mio gesto.

Inizialmente pensavo di non andarli a genio; d’altronde avevano avuto diverse Au Pair prima di me e probabilmente io non ero considerata più una novità. Inoltre mi rispondevano in tono “scocciato” e non volevano svolgere alcuna attività che non fosse guardare i video su Youtube dal loro smartphone.

Ma forse, questo è un problema che riguarda un po’ tutti i bambini di oggi nel nostro mondo occidentale.

Col passare dei giorni ho notato che erano scocciati anche con i genitori, i quali giustificavano il comportamento ripetendosi “i nostri figli sono stressati per la scuola”.

La frase mi faceva sbarrare gli occhi. Come si fa ad essere stressati per la scuola a nove anni?

Eppure da una parte posso anche comprendere la pressione di questi bambini; infatti il sistema scolastico tedesco è diverso da quello italiano, in quanto non esistono le scuole medie come in Italia, e la scuola superiore inizia non appena finiscono le elementari.

La grande responsabilità di scegliere del proprio futuro si compie già attorno ai 9/10 anni, cosa che in Italia avviene generalmente attorno ai 14 anni.

Come se non bastasse, se non si hanno voti abbastanza alti non si può accedere ad alcun liceo, né alla Realschule (simile ai nostri istituti tecnici).

Per quanto possa sembrare un sistema bizzarro, alcuni mi hanno confermato che in realtà funziona.

La stessa Laura, una volta ha aggiunto: “Questa cultura mi ha sorpreso perché i bambini tedeschi sono più indipendenti e con la mentalità che bisogna sempre conseguire un risultato con successo”.

Chissà, se è lo stesso per i due bambini della mia Gastfamilie… al di là dei compiti e delle ore trascorse a scuola, penso volessero semplicemente continuare a giocare e restare bambini ancora per un po,’ senza dover pensare al futuro.

A parte questi momenti un po’ difficili con i bambini (che nel mio caso in realtà si avvicinavano alla preadolescenza), non ho avuto particolari problematiche e nonostante qualche piccolo screzio, mi sono affezionata a tutti nella famiglia e mi sono anche adattata al loro stile di vita (un po’ meno alla cena delle 17.30/18.00 di sera!)

Ho avuto modo di conoscere da vicino la tradizione bavarese, di vedere posti magici, castelli e laghi immersi nei boschi, di migliorare il mio tedesco e di stringere nuove amicizie internazionali!

Ho conosciuto Au Pair dal Messico, dalla Colombia, dalla Russia, dall’Africa e tra una lamentela e l’altra a proposito delle nostre Gastfamilie abbiamo condiviso momenti bellissimi, ciascuna dando un pezzetto del proprio paese d’origine.

Essere un au pair significa anche questo.

Dunque consiglio l’esperienza, l’avventura per chi volesse mettersi alla prova in contesti nuovi, perché ogni volta da un viaggio si ritorna con uno sguardo nuovo, oltre il confine.

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