Dante, visto dal di fuori

In questo triste mese di marzo, consapevole del fatto che il 25 si festeggia il Dantedì, mi sono dedicato al grando fiorentino. Guardando la mia statuetta di Dante (un pezzo meraviglioso della “Wiener Kunstkeramische Werkstätte”), ho tirato fuori dal cassetto decine di pagine di appunti sulla sua vita e le sue opere e ho riletto l’Inferno.

Sarebbe come portare i frasconi a Vallombrosa se volessi scrivere di Dante e delle sue opera omnia. Penso anche che ciò andrebbe oltre le mie capacità intellettuali e linguistiche. Quindi la domanda alternativa e più personale è:

Cosa sente un tedesco per Dante? Che adito ha al grande poeta?

Né la lingua, né la dimensione storica del suo poema erano determinanti per la lettura.

Anche se ho letto i dolcestilnovisti come Gianni Alfani, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi ecc., come straniero col mio italiano lacunoso non riesco ad apprezzare tanto il suo linguaggio quanto lo potete fare voi italiani.

Dante ci fa vedere un’Italia profondamente lacerata, combattuta tra Papa e imperatore, una Firenze altrettanto divisa tra Bianchi e Neri.

Ho letto Dante, per così dire, come un omaggio alle mie radici italiane, alle fonti di sangue italiano.

Ciò che mi ha affascinato e che ancora oggi non mi lascia, sono soprattutto le immagini che crea nella mente del lettore. Questo per me è il fascino di Dante: Lui è il grande “pittore” duecentesco italiano, alla pari dei suoi contemporanei Cimabue, Giotto di Bondone e Pietro Lorenzetti. Come loro, anche lui ha creato delle immagini forti, impressionanti e rivoluzionari. Quel che loro hanno fatto con la tavolozza e il pennello, lui l’ha fatto con la forza delle sue parole, che travolgono il lettore come l’onda del mare che ti mette sotto, che ti toglie il respiro, che ti fa venire i battiti di cuore.

Ho alcuni passaggi preferiti, come per esempio questo del V Canto dell’Inferno, quello con Paolo e Francesca:

„Stavvi Minòs, orribilmente, e ringhia:

essamina le colpe nell’entrata;

giudica e manda secondo ch’avvinghia.

Dico che quando l’anima mal nata

li vien dinanzi, tutta si confessa;

e quel conoscitor delle peccata

vede qual luogo d’inferno è da essa;

cignesi con la coda tante volte

quantunque gradi vuol che giù sia messa.“

(I, V; 4-12)

O quello del XIII. Canto, dove descrive le anime dei suicidi, trasformati in alberi. Un’immagine che Thomas Harris ha ripreso nel suo “Hannibal”:

„Surge in vermena ed in pianta silvestra;

l’Arpìe, pascendo poi delle sue foglie,

fanno dolore, ed al dolor finestra.

Come l’altgre, verrem per nosgtre spoglie,

ma non però che alcuna sen rivesta;

che non è giusto aver ciò ch’uom si toglie.

Qui le strascineremo, e per la mesta

Selva saranno i nostri corpi appesi,

ciascuno al prun dell’ombra sua molesta.“

(I, XIII; 101-108)

Poi c’è la scena degli ipocriti nelle loro cappe di piombo dorate. Non ricordo né quale Canto ne parla, né quale cerchio dell’Inferno li ospita. Ma tanto, non è importante. Ciò che conta è l’immagine che si è impressa profondamente nell’anima.

E molti versi che presentano la loro storia in ritratti chiari e spesso scioccanti, sono così stampati nella mia mente che da anni li so a memora e spesso li recito a me stesso senza una ragione apparente, solo per evocare l’immagine, ad esempio:

„Già veggia, per mezul perdere o lulla,

com’io vidi un, così non si pertugia,

rotto dal mento infin dove si trulla:

tra le gambe pendevan le minugia;

la corata pareva e ’l tristo sacco

che merda fa di quel che si trangugia“.

Il mio primo contatto con Dante è stato nel ’79. Durante il mio periodo nell’Esercito ho letto un’edizione tedesca con delle incisioni su rame di Sandro Botticelli. Mentri i miei compagni stavano sulla piazza d’armi o facevano degli esercizi, io stavo nella camerata con una tisana e la Commedia.

Qualche anno dopo ho letto un’edizione con testo a fronte, seguita rapidamente da altre traduzioni, edizioni letterario-critiche e italiane, con le illustrazioni di Gustave Doré ecc. E anche dopo non sono riuscito a sfuggire Dante: Nel 2005/06 acquistai l’Enciclopedia Dantesca della Treccani in 16 volumi, apparsa in edizione esclusiva in abbinamento al periodico Panorama. Così Dante è diventato il mio fedele compagno per tutti questi anni.

Spesso si rappresentano le grandi opere della letteratura mondiale in un’unica immagine: Pinocchio col naso lungo, Amleto col teschio di Yorick, Don Chisciotte davanti ai mulini a vento. Per la Commedia invece non basta un’unica raffigurazione, visto che a sua volta si tratta di un intero “libro illustrato”, un caleidoscopio di rappresentazioni sensuali e commoventi. Evoca illusioni infinite, come un prestigiatore produce incessantemente carte da gioco dal nulla. (Credetemi, io so di cosa sto parlando!)

Forse l’uno o l’altro si ricorda ancora della mia intervista dell’aprile 2020 su questo giornale nella quale parlavo dell’eterno problema della mia lotta contro la burocrazia per la mia cittadinanza italiana.

Oggi ho risposto come sopra alla domanda “Cosa sente un tedesco per Dante?”. Se me lo chiedete di nuovo fra due anni, quando avrò tra le mani il mio passaporto italiano, spero di poter rispondere: “Che ne so io?“.

Fino ad allora avrò tempo per rileggere almeno “La Vita Nova“… “che tanto bella e tanto interessante pare”.

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