“Extinction Rebellion”: proviamo a realizzare l’utopia o accettiamo la sorte peggiore?

È di qualche ora fa la pubblica presa di posizione di Amnesty International in favore dei manifestanti del movimento “Extinction Rebellion” che ormai da 10 giorni porta avanti una significativa protesta nel centro di Londra e a livello globale. Le dichiarazioni dell’organizzazione non governativa arrivano in seguito ad interventi repressivi e particolarmente duri della polizia inglese verso le azioni decise ma pacifiche dei partecipanti.

Extinction Rebellion, infatti, è un movimento sociale e politico radicale che nasce con l’obiettivo di chiedere ai governi un’azione immediata e adeguata alla gestione della crisi climatica senza precedenti che stiamo vivendo. Ispirandosi alle idee di Thoreau, il movimento sceglie la strategia della disobbedienza civile per attirare l’attenzione pubblica e governativa sull’urgenza di dichiarare lo stato di emergenza climatica, che dovrà essere seguita dai necessari provvedimenti per una sostanziale riduzione delle emissioni di gas serra, da interventi mirati alla lotta contro la situazione di “apartheid climatico” di cui vediamo crescere gli effetti e da un’azione decisa in favore della tutela degli ecosistemi e della biodiversità.

È con questi obiettivi che Extinction Rebellion ha annunciato, a partire dal 7 ottobre, una mobilitazione internazionale di ben due settimane, ottenendo il pieno sostegno e una forte partecipazione di attivisti e cittadini di ogni età che, ora più che mai, pretendono dai governi una vera assunzione di responsabilità al fine di garantire la sopravvivenza della nostra (e di molte altre) specie sul pianeta.

Il cuore del movimento è Londra ed è proprio nella capitale inglese che lunedì sera Scotland Yard ha mostrato il pugno duro attraverso veri e propri atti di repressione delle manifestazioni. Vari media e numerosi testimoni hanno mostrato profonda preoccupazione per le offese verbali e fisiche, per la rimozione forzata degli attivisti presenti a Trafalgar Square e per le minacce di arresto indiscriminato verso chiunque avesse deciso di portare avanti la protesta.

La polizia inglese ha giustificato tale intervento affermando di aver applicato le misure previste dalla procedura per l’ordine pubblico “Section 14”. Tuttavia, stando a numerosi difensori dei diritti umani tra cui anche Amnesty International, questa procedura è stata utilizzata in modo non ortodosso e del tutto arbitrario per mirare ad un completo bando della protesta ecologista.

In particolare, Amnesty ha definito i fatti di Londra come “una limitazione illegale alla libertà di espressione e di manifestazione pacifica” affermando che le accuse sono state eccessivamente dure e del tutto sproporzionate rispetto alle pacifiche azioni dei manifestanti mirate a disturbare, con la propria presenza, la normale viabilità cittadina.

Infatti, nel comunicato ufficiale inviato per chiedere spiegazioni a Scotland Yard è stato evidenziato che “questa procedura rischia di criminalizzare chiunque voglia protestare in qualsiasi modo sui temi del clima e dell’emergenza ecologica che stiamo affrontando”. Infine, Amnesty conferma che “un certo grado di disturbo della vita quotidiana è naturale nelle proteste” ma ribadisce che ciò “deve essere tollerato” in quanto il governo inglese ha l’obbligo di non impedire ma, anzi, di facilitare l’esercizio del diritto di espressione dei propri cittadini.

Il numero di arresti supera ormai i 1400 ma la protesta continua e, dopo gli eventi di lunedì scorso, i manifestanti sono più decisi che mai a far sentire la propria voce.

La tenacia con cui gli attivisti portano avanti la causa, arrivando ad accettare perfino l’arresto ingiustificato, rende doverosa, da parte di tutti noi, una riflessione più attenta su una situazione il cui significato sembra essere più profondo di quanto appaia ad una lettura superficiale. Ad essere in gioco, infatti, non sono solo i diritti dei singoli attivisti o l’applicazione arbitraria della legge inglese, ma le modalità stesse con le quali l’umanità comprende e gestisce la più grande crisi che abbia mai dovuto affrontare.

Le proteste di Extinction Rebellion così come tutte le grandi mobilitazioni per l’ambiente dell’ultimo periodo mettono in luce il fallimento dell’ambientalismo moderato e riformista così come era stato concepito agli albori della riflessione “verde” negli anni ’60 e chiedono che l’azione si sposti dal piano individuale a quello collettivo.

La scienza è chiara e inopinabile: stiamo per raggiungere il punto di non ritorno e tra non molto i danni ambientali saranno irreversibili. Di fronte alle migrazioni climatiche, alla mancanza di cibo, alla sofferenza di intere popolazioni ridotte alla fame, all’estinzione di un numero crescente di specie viventi e al cambiamento climatico che sconvolge gli equilibri del pianeta, il tempo dell’ambientalismo che chiedeva piccole modifiche al nostro stile di vita è finito. Dobbiamo cambiare prospettiva.

Tutti noi possiamo e dobbiamo vivere consapevolmente. Spegnere la luce quando non serve, usare di meno la macchina, mangiare meno carne e fare la raccolta differenziata sono azioni assolutamente necessarie ed è nostra responsabilità fare il meglio che possiamo, in base alle nostre circostanze.

Tuttavia, è tempo di accettare l’idea che non è così che risolveremo la crisi ambientale. Se l’ambientalismo resta circoscritto alla sola dimensione moderata e individuale, è ipocrita. Il problema è ormai troppo grande e troppo urgente perché possa essere risolto semplicemente cambiando qualche abitudine quotidiana. Abbiamo bisogno di interventi molto più decisi ed è possibile che queste misure richiederanno uno sforzo significativo.

Per questo motivo, l’obiettivo delle grandi proteste è sollecitare l’intervento di chi detiene il potere politico per chiedere l’adozione di misure appropriate su vasta scala e a dispetto degli interessi economici in gioco. Questa è la nostra unica speranza.

A questo punto, la gravità dei fatti di Londra appare ancora più evidente. Reprimere le proteste, mettere a tacere chi, a proprio rischio e pericolo, chiede con insistenza gli interventi necessari e scegliere l’inazione non sono più semplici negligenze della classe politica ma mancanze molto gravi perché, di fatto, costituiscono la scelta di negare all’umanità la possibilità di avere un presente accettabile e un futuro per la nostra generazione e per le prossime.

Da qui, l’intensificazione degli atti di disobbedienza civile necessaria, citando Thoreau, quando la “tirannia” del governo o, in questo caso, “la sua inefficienza siano grandi e intollerabili”. Se inefficienti, i nostri sistemi di potere devono essere ripensati. È utopia? Forse. Però, arrivati a questo punto, siamo di fronte ad una scelta: provare a realizzare l’utopia o accettare la sorte peggiore. “Extinction or Rebellion”.

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