Un figlio prima di ‘scoprirsi’ omosessuali. Ecco chi aiuta i genitori “Rainbow”

Quando si parla di unioni civili, il pensiero – spesso – va al (possibile) passo successivo. Ovvero quello dell’omogenitorialità. La possibilità, quindi (ancora non realizzabile secondo la Legge italiana) che due persone dello stesso sesso adottino un bambino. Ma c’è una parte della popolazione (mondiale) spesso dimenticata e ancor più di “confine”. Sono i cosiddetti genitori “Rainbow”. O almeno così si può identificarli grazie all’associazione (italiana) che si fa da aiuto e portavoce per tutti coloro che, dopo aver avuto un figlio da una relazione eterosessuale, hanno acquisito la consapevolezza di essere omosessuali, bisessuali o transessuali.

Si tratta di Rete Genitori Rainbow. E a presiederla sono Cecilia d’Avos e Fabrizio Paoletti dal 14 febbraio 2011, quando la costituirono insieme a Valentina Violino e Alessandro Ozimo. “L’associazione – spiegano – si rivolge proprio a questi genitori gay, lesbiche e trans, offrendo ascolto e confronto, per condividere le esperienze legate ai diversi percorsi, al coming out in famiglia e con i figli,  per aiutarci quindi a rafforzare la nostra identità e a vivere meglio con noi stessi e con le persone attorno a noi”.

Omogenitorialità, una rete a 360 gradi per il primo contatto

E per raggiungere questo obiettivo sono tanti i volontari, gli psicologi e gli avvocati che ruotano attorno a Rete Genitori Rainbow. Così come sono diversi gli strumenti di contatto per una persona alle prime armi con la propria consapevolezza sessuale. Ovvero forum, telefono di ascolto, e-mail, Skype (chat e voce) ma anche incontri e seminari condotti da professionisti e da chi ha vissuto questo percorso in prima persona.

Rete Genitori Rainbow, però, è impegnata anche a favore dei diritti delle persone LGBT. È presente, infatti, nel Coordinamento del Roma Pride e di quello di Torino, Milano, Veneto, Toscana e Puglia ed è accreditata presso l’UNAR, organismo del Ministero delle pari opportunità contro le discriminazioni, razziali e non solo. È membro di NELFA (rete europea che riunisce le associazioni dei genitori omosessuali) e aderisce all’ILGA (International Lesbian and Gay Association).

“La maggior parte delle persone che si rivolgono a noi lo fa in anonimato” ci spiega Ivana Palieri, mamma lesbica e prima attivista del Sud Italia di RGR la cui intervista sarà pubblicata su Sguardi di Confine. “Siamo in tutto 100 soci tesserati ma il forum conta più di 600 iscritti. Le telefonate che riceviamo, ogni anno, sono poche. Perlopiù si tratta di comunicazione virtuale, via mail o tramite il forum appunto. Inoltre, a parte partecipare attivamente ad alcuni pride, noi attivisti andiamo soprattutto nelle scuole con bambini, portando la nostra testimonianza”.

Quale miglior terreno fertile, insomma, se non quello di un individuo in crescita, al quale ancora è possibile piantare il seme del rispetto, della tolleranza del “diverso” e della non forzata omogeneità e quindi allontanare l’omofobia. Omofobia spesso presente nelle stesse persone omosessuali, nella fase dell’accettazione. E questa, legata alla paura di perdere i propri figli, dal momento di mostrarsi al mondo (fare coming out appunto), può essere un mix doloroso se non accompagnato da guide esperte, che hanno già fatto lo stesso identico percorso.

Non perdere l’intervista esclusiva a Ivana Palieri (nella foto con con Salvatore D’Alessio del direttivo Arcigay Foggia “Le bigotte”). Venerdì 27 gennaio su Sguardi di Confine.

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