Houda, attivista con le parole: «L’identità è un mosaico»

Sto seminando un’eredità di parole, sappiate coglierne i fiori”. Si presenta così Houda Latrech. Ventenne della provincia di Varese, nel cuore ha le parole che semina in prosa e poesia, dai suoi social e dal suo blog.

Questa la sua forma di attivismo e la sua forza, soprattutto dopo essere stata aggredita in metro a Milano il 6 aprile scorso. Quella mattina, diretta come sempre alla facoltà di Giurisprudenza, un uomo l’ha travolta di parole d’odio ma al suo fianco ha trovato una ventata di sostegno e solidarietà. Quell’uomo l’ha attaccata solo perché, portando il velo, l’ha associata al terrorismo.

Così la sua storia è rimbalzata su tutte le cronache nazionali. E lo stesso hanno fatto le sue poesie che nelle parole portano speranza e voglia di costruire un futuro fatto di pace.

Vincitrice di un premio letterario già durante il liceo linguistico frequentato a Varese, si è appena classificata al terzo posto del Premio Chiara Giovani con il suo testo, Frontiere Cedevoli. Lo citiamo in parte: “L’odio è un germe, si intrufola nei cuori, separa i fratelli, e da un giorno all’altro fa diventare muri i ponti, muti i cuori. Serve resistere, restare e abbattere barriere, perché gli anni non sanano le ferite e non cancellano i ricordi”.

Con “Per i tuoi liberi figli”, invece, ha sottolineato il suo amore per l’Italia e ha ammutolito piazza Duomo a Milano, il 30 settembre, in occasione della manifestazione “Intolleranza Zero”.

Così, anche Sguardi di Confine ha deciso di intervistarla.

Si ringrazia InformaGiovani Varese per gli spazi concessi

Come ti presenti?

«Sono Houda, ho vent’anni, studio Giurisprudenza a Milano e vengo dal Marocco. Sono in Italia da quando avevo 4 anni, abito a Travedona Monate e vado a Milano tutti i giorni. Le mie passioni sono la scrittura e l’attivismo in senso ampio del termine: con le mie parole cerco di cambiare le cose».

Il tuo nome è arrivato alle cronache nazionali per l’aggressione che hai subito in metro a Milano. Puoi raccontarmi com’è andata?

«Il 6 aprile era un venerdì, stavo andando in università. Dovevo andare a seguire una lezione e il treno era in ritardo. Un uomo mi ha insultata lungo tutto il viaggio in metro fino ad arrivare a Cadorna.

Si avvicinava a me in modo molto minaccioso. Ho avuto paura ma quello che resta di più nei miei ricordi è che le persone abbiamo fatto da scudo davanti a me. Mi hanno parlato, mi hanno confortata e mi sono state vicine. Quando ho visto che mi stavano accanto mi sono sentita protetta, è stato molto bello».

post aggressione Houda Latrech Varese musulmana metro Milano

Prima di allora ti era mai capitato di subire situazioni simili?

«Prima di allora no. Mi è capitato di sentire qualche insulto per strada a volte, ma di questa gravità mai».

Cos’è per te l’identità?

«Per me l’identità è come un fiore che ti cresce dentro. Non lo sai ma, prima o poi, sboccia. L’identità è un mosaico, i cui tasselli a volte si perdono, a volte si compongono, a volte scompaiono sotto altri nuovi. È qualcosa di dinamico che si costruisce giorno dopo giorno».

Quindi, qual è la tua identità oggi?

«La mia identità resta un mosaico, resta sempre l’identità di qualcuno che è nato dall’altra parte del mar Mediterraneo ed è cresciuto in un’altra sponda. Alla fine, l’identità è qualcosa che a volte emerge, a volte no. La portiamo dentro e fuori. L’identità è riscoprirsi, sono i tratti somatici ma non solo quelli. È tutto».

Dagli atti di terrorismo recenti, molti associano i musulmani e l’Islam al terrorismo, cosa rispondi?

«Rispondo a chi chiede ai musulmani di dissociarsi da questi atti o a chi pensa che sia quella la realtà prevalente: come facciamo a dissociarci da chi non siamo associati? Non abbiamo niente a che fare con quelle persone.

La soluzione, per me, è sempre quella di allargare gli orizzonti, conoscersi e aprirsi. Molte persone mi dicono: “Ah ma tu non sei come tutti gli altri“… forse queste persone non conoscono “tutti gli altri”.

Bisogna fare qualcosa tutti insieme e nell’insieme ci siamo anche noi, questo per andare contro la radicalizzazione».

Come si combatte il razzismo?

«Si combatte attraverso l’inclusione e la normalizzazione. Con “normalizzazione” intendo il non etichettare e classificare le persone ma permettere, semplicemente, che siano presenti in ogni ambito della società.

Ad esempio, se io vedessi una ragazza col velo condurre un programma televisivo inizierei a pensare che chi porta il velo è una persona “normale” che svolge ogni tipo di lavoro come tutti gli altri. Così come se trovassi una dottoressa o un avvocato con il velo…

Così, forse, non si rivolgerebbero a me come “la ragazza con il velo” o “la ragazza islamica”, solo perché vedono che porto il velo. Questo significa etichettare, sottolineare le differenze e non normalizzare.

La “normalizzazione”, per me, porterebbe una maggiore inclusione. La radicalizzazione nasce spesso da situazione di emarginazione. Ovviamente non bisogna giustificare il fatto che, sentendosi emarginati, si possa poi compiere atti di terrorismo.

Però, se facessimo sentire tutti sicuri, senza creare una voglia di far riemergere un’identità forgiata, potremmo fare passi avanti. Ovviamente parliamo in modo teorico, nella pratica dobbiamo pensare anche alla sicurezza nazionale e tante altre importanti questioni per le quali io non ho competenze».

Cosa pensi delle persone che hanno compiuto atti terroristici?

«Penso, prima di tutto, che siano dei criminali. A volte mi chiedo se abbiano sbagliato le famiglie a crescerli. A crescerli in realtà come la Francia, ovvero in un ghetto dove si parla solo in arabo.

Vero, vanno a scuola e i loro compagni di classe sono francesi, ma in realtà vivono in una comunità che non si integra, una comunità rimasta ai tempi dell’arrivo dei genitori e mai aggiornata alla realtà di oggi. Ovviamente contribuisce anche la situazione economica. Spesso queste persone hanno una fedina penale che fa rabbrividire».

Houda Latrech Varese musulmana

Cos’è per te il velo?

«Ho iniziato a portare il velo per tradizione per poi riscoprirlo. L’ho riscoperto come parte di me. Questo vale sia per l’identità, sia per la religione e la fede.

Secondo me una persona può sentire dentro di sé la fede in momenti diversi, come è capitato a me. Ho riscoperto la mia fede grazie allo studio e all’approfondimento. Mi sarebbe potuto capitare con qualunque altra religione ma mi è successo per l’Islam in particolare perché mi sono ritrovata nei suoi insegnamenti.

Ho trovato conferma del mio portare il velo anche nelle fonti che ho letto. Prima lo portavo non solo per tradizione ma anche per una filosofia personale. Secondo me, bisogna far vedere prima la propria personalità e poi la propria persona fisica: per accedere a quello che “nascondo” devi prima cogliere la mia anima».

Molti pensano che il velo sia imposto dalla famiglia, cosa rispondi?

«Non è assolutamente così, non sono una persona alla quale si può imporre qualcosa. Ride ndr. Lo stesso vale per molte altre ragazze che conosco. Non metto in dubbio che ci siano delle realtà più restrittive rispetto a quella che vivo io. Ma per la maggior parte dei casi si tratta di famiglie “libere” come la mia. C’è libertà di espressione o restrizione ovunque. Pensiamo ai genitori che non fanno uscire le figlie truccate… è lo stesso concetto».

Cosa rispondi a chi vorrebbe negare l’uso del velo in Italia? E riguardo l’uso del velo integrale?

«Riguardo il velo integrale devo dire che non conosco persone che lo portano, quindi non posso esprimere un mio parere. Riconosco che possa creare delle difficoltà ma non lo vedo come un problema sentito. Dovrei conoscere delle persone che lo portano per approfondire la questione.

Per quanto riguarda il portare il velo: non è che se lo porto nascondo il mio cervello e non ragiono più. Ovviamente capisco che sia un problema serio… ora sdrammatizzo».

Hai scritto la poesia “Per i tuoi liberi figli”. Leggendola hai commosso piazza Duomo a Milano. Parla dell’Italia…

«Sono molto legata a quella poesia, l’ho scritta il 4 marzo all’esito delle elezioni. L’ho scritta di getto, poi ho capito di aver “esagerato” e quindi l’ho pubblicata il 25 aprile.

L’ho letta il 30 settembre a Milano, è stato molto toccante. È una poesia d’amore per l’Italia, Paese che sento di amare ma che non mi sposa, non mi riconosce.

Non è un amore soggiogato. Potrei anche decidere di andarmene domani ma non sarebbe lo stesso perché sento di aver dato tanto all’Italia e andarmene sarebbe come arrendermi.

Voglio costruire un futuro migliore qui. Certo, non vedo strettamente qui il mio futuro, dobbiamo aprirci al mondo e l’identità ormai non è più solo essere italiana e basta. Ma se noto che c’è qualcosa che non funziona nel Paese in cui vivo e penso di poterla cambiare, perché andare in un altro Stato?

Il mio amore non è solo per l’Italia ma anche per l’italiano. Conosco altre lingue ma l’italiano è la lingua in cui mi vengono racconti e poesie. Scrivo principalmente prosa lirica».

Forse oggi ho pianto cara Italia
E ho sentito un nodo alla gola
E il cuore stringere
Perché non voglio abbandonarti
Ho fatto male a denigrarti
Sei la madre dal quale ventre
Non potrei separarmi
Non vorrei che il tuo nome
Diventasse solo l’identità
Che riporta un passaporto
La nostalgia del passato

Forse oggi ho pianto cara Italia
Perché vorrei cambiarti
E non essere costretta a scambiarti
A volare in altri posti
Solcare altri cieli
Parlare altre lingue
Scrivere altri versi

Forse ho pianto cara Italia
Perché davvero non potrei separarmi
Dalle tue colline
Dai tuoi abbracci
Dai tuoi profumi
Dai tuoi occhi stanchi
Dai tuoi sogni infranti
Dalla tua delusione
Dalla tua passione

Forse perché mi sono abituata
Alla tua confusione
Al tuo colore
Al tuo calore
Alla tua rabbia
Alla tua insensatezza
Alla burocrazia
E persino all’intolleranza
Al pensiero superato
Al triste abbandono
Al dolce rimpianto
Ai non posso farci nulla
Ai torni un’altra volta

Forse perché in fin dei conti
Si odia
Solo ciò che nel profondo si ama
Un giorno forse, ti lascerò
Delusa da ciò che sei diventata
Eppure si può smettere di convivere
Ma mai di amare

Perché sei la terra delle sfide
Che io ho sempre amato
Perché non mi piace vincere
Senza lottare
E tu mai me lo hai permesso
Perché so che non scapperò
So che ti seguirò
Come una bandiera sullo sfondo
Una madre, che aspetta al traguardo

Anche se non posso sempre restare
Laddove sempre temo
Sempre spero
Di non incontrare
Chi tronchi il mio impegno
Chi annulli il mio talento
Per una scusa illogica
Per un odio che io mai proverò

Oggi cara Italia hai scelto
E non mi rimane che alzare la testa
E accendere lo sguardo
Per cercare senza nessun sospetto
Di riconoscermi
Nei miei fratelli.

Perché anche dovessi lasciarti
un giorno,
Non sarà mai definitivo
Io ci sarò
Io tornerò
Io resterò.

Finché libertà rimarrà
E non sarà data per scontata
Finché ci sarà
Chi scriverà il tuo nome
Chi chiamerà la tua voce
Chi lotterà per averti
Chi resisterà per mantenerti
Libera da ogni imposizione
Da ogni presa di potere

Resisti
E splendi
E sii forte
Per i tuoi liberi figli.

Da Frontiere Cedevoli, il tuo racconto del premio Chiara, scrivi: “Accetta chi sei diventata, ma non compiacertene, il cammino è lungo e l’acqua si fa rara man mano ti allontani dalla fonte”. Allora, dove porta il tuo cammino?

«Non so dove porti ora il mio cammino. È un’incognita. È svegliarmi la mattina e non avere nessuna certezza ma continuare lo stesso a fare quello che devo fare.

Studio giurisprudenza ma non so se potrò praticare perché non ho ancora la cittadinanza e di conseguenza non posso accedere agli esami di Stato. Dovrei avere la cittadinanza tra 4 anni, questo perché, con il decreto sicurezza, devo aspettare 2 anni in più.

Inoltre, non posso definirmi neppure una scrittrice anche se scrivo».

Il tuo sogno per il futuro?

«Ce ne sono tanti. Sono sicura che continuerò a scrivere. È qualcosa che mi viene in modo naturale».

Cos’è per te la scrittura?

«È qualcosa dentro di te che non puoi fermare. Fa tutto lei. Ti prende nei momenti improvvisi. Magari sei fuori, in metropolitana, in treno, con gli amici e ti viene quel bisogno, quel pensiero che ti dice “se non lo scrivi adesso se ne va e non tornerà mai più”. Mi è capitato a volte che si cancellasse qualcosa nella mia memoria, ci sono rimasta male. È come se fosse un pensiero perso per sempre».

Cos’è per te la vita?

«La vita per me è costruire, conoscere, fare tante cose, provare tante esperienze. La vita è avere qualcosa da raccontare».

Cosa vorresti che ti chiedessero ma non ti chiedono mai?

«Nessuno mi chiede delle mie poesie… ma tu me l’hai chiesto».

Cosa invece non vorresti ti chiedessero?

«Qual è la tua vita sentimentale… me l’hanno chiesto. Ride ndr».

Qual è la tua poesia preferita?

«Mi piace molto The waste Land di Eliot e mi piacciono molto i poeti italiani. Direi “In memoria” di Ungaretti, ogni volta che la leggo piango. Oppure “Canto beduino”. Mi piacciono molto anche Montale e Pavese. Di questo poeta adoro “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” e “La rosa che mi hai dato è triste”. Se proprio devo scegliere una tra queste poesie, direi che la mia preferita è “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi“».

La tua canzone preferita? Magari che associ a questa intervista…

«Cara Italia di Ghali».

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