Non è un ramo del lago qualsiasi, non lo era per Manzoni né per Giovanni Testori, i cui Promessi Sposi alla Prova è andato in scena al Teatro Franco Parenti dall’11 al 23 febbraio 2020, per la regia e l’adattamento di Andrée Ruth Shammah, già misuratasi con l’opera nella sua prima edizione.
Non è un ramo del lago qualsiasi, è quel ramo del lago di Como, proprio quello. E con lui sono quei personaggi, quelle persone, quegli straordinari “umili” che la penna dello scrittore, poeta e drammaturgo milanese, restituì al pubblico per la prima volta nel 1984 nella loro umanità e vicinanza disarmanti.
In questo nuovo adattamento, una compagnia assolutamente contemporanea di attori, tra divertenti problemi logistici e rivendicazioni di diritti, si appresta ad affrontare i famigerati Promessi Sposi, in una soluzione meta-teatrale che tuttavia andrà pian piano diluendosi durante il corso delle 2 ore e 40, giungendo a una quasi-fusione molto interessante tra interprete e personaggio manzoniano.
A guidarli il Maestro (Luca Lazzareschi), nelle vesti di regista e, a turno, di Don Abbondio, Fra’ Cristoforo e Innominato: dalle sue parole apprendiamo il senso di quest’ultimo, cioè l’unico a non essere quel, a essere l’in-nominato, il non nominato, che nell’assenza di definizione rinchiude la possibile profondità del baratro umano. Notevole anche la riproduzione dei personaggi di Don Rodrigo (Sebastiano Spada), finalmente rappresentato come un uomo reale, contemporaneo e credibile, e di Perpetua (Claudia Ludovica Marino), che esprime davvero il suo toponimo al servizio dei colleghi attori e non solo di Don Abbondio.
Nella progressione della storia – e quindi della prova a cui si assiste – chi conosce la poetica e le vicende letterarie di Alessandro Manzoni apprezza gli accenni di ironia drammaturgica e di impostazione scenica a quelle unità aristoteliche di tempo e di luogo di cui lo scrittore milanese ampiamente dissertò nella famosa lettera del 1823 a Monsieur Chauvet, che aveva criticato a questo proposito Il Conte di Carmagnola.
Inoltre, la passione di Testori per il personaggio della Monaca di Monza (fu autore di un’altra opera interamente centrata sulla sua storia, in cartellone al Parenti l’anno scorso) si manifesta nei passi a lei dedicati attraverso la stupenda Laura Marinoni, che è dapprima invocata, poi udita, e infine compare sulla scena in una scelta registica originale e intelligente: essa costringe compagnia e pubblico a riflettere sulle vicende che hanno visto Marianna/Gertrude e “Giampegidio” protagonisti, ma in ordine cronologicamente inverso, e cioè a partire dalle conseguenze del loro tragico esito.
In un altro espediente di adattamento drammaturgico ben riuscito, la cui inquietante rilevanza nelle vicende socio-sanitarie di questi giorni sicuramente Andrée Ruth Shammah avrebbe preferito non esistesse, la psicosi generale e il clima di ossessione riguardo l’epidemia di peste del ‘600 sono rappresentate dalla collettività di tutta la compagnia, riunita intorno a un tavolo nella Milano “città scorta, città porta”.
La stessa Milano che fu di Testori e di Franco Parenti, la cui voce è ascoltata non senza emozione, perché «si può far festa solo intorno alla memoria»; la stessa Milano che speriamo torni presto alla sua consueta apertura, grembo fecondo dei “nuovi maestri” invocati e agognati da questi Promessi Sposi alla Prova, che seminino «chiarore, luce, un’alba» e trovino sempre rifugio nella speranza. E questo è il sugo di tutta la storia.
I Promessi Sposi alla Prova
di Giovanni Testori
adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
con Luca Lazzareschi, Laura Marinoni
e con Filippo Lai, Claudia Ludovica Marino, Nina Pons, Sebastiano Spada e la partecipazione di Carlina Torta
scene Gianmaurizio Fercioni
luci Camilla Piccioni
musiche Michele Tadini e Paolo Ciarchi
produzione Teatro Franco Parenti/Fondazione Teatro della Toscana
con il sostegno dell’Associazione Giovanni Testori