“Il giorno in cui”. Storia di un coming out

Cari mamma e papà, sono…”. È la frase con la quale iniziano molte avventure. Ma per le persone della comunità LGBTI questa dichiarazione ha un valore importante. Forse perché seguita da parole che si sono apprese, prima di identificarcisi, come degli insulti o come qualcosa di “anormale”, “negativo”.

Il momento del coming out non è propriamente quello in cui si rivendica il valore di una parola. Infatti, quel momento è già stato superato: “Sono gay”, “sono trans”, non servono a spiegare a se stessi chi si è, servono agli altri per iniziare a capire. Spesso per i genitori quello è solo il punto di partenza. Mentre nel cammino di una persona LGBTI, il coming out è una vetta alla quale si volgeva lo sguardo già da tempo.

In quel cammino, spesso, si è accompagnati da chi l’ha già vissuto o da chi ha avuto il coraggio di condividerlo. Ma dentro di sé, visto che ogni famiglia è diversa, ogni coming out è diverso. Può essere difficile, oppure la risposta può essere: “Lo sapevo già”. In ogni caso, per identificarsi agli occhi degli altri serve che gli altri ci siano.

Quindi, la parola che identifica ciò che sei, per i tuoi genitori, sarà sempre e solo il tuo nome, quello che ti hanno dato o quello con il quale ti identifichi.

Alla fine, ci sono molti modi di fare coming out. È più facile quando si esce allo scoperto insieme e la forza che ti supporta è trasmessa dalla persona che ami. Lo si può dichiarare in modo esplicito, oppure si può essere così sottili da farlo emergere con una sola parola. Così come è stato fatto nel racconto romanzato che segue. Un coming out per essere uguali, insieme agli altri, nella nostra magnifica diversità. Senza paura.

In occasione del Coming Out Day (11 ottobre), ringraziamo il caro amico e attore Marco Mussino Cuccia per aver prestato la sua voce e la Filarmonica Santa Cecilia di Sacconago per aver incluso questa testimonianza nello spettacolo Diversamente Armonici, Note di Uguaglianza.

Il giorno in cui…

Il nostro incontro è avvenuto in discoteca, come tanti di noi. Tra un passo di danza e l’altro il mio sguardo ha incontrato il suo, in un attimo il ritmo è cambiato, i miei occhi non avevano mai visto la bellezza fino a quel momento. Ma nemmeno i suoi.

Prima, era tutta una finzione in cui sentivo di recitare una parte e l’amore, descritto dalle parole degli altri, suonava sempre come una nota stonata. Dovevo ancora trovare una musica che toccasse le mie corde.

Prima, l’amore era come un quadro d’arte moderna con righe tutte dritte, non lo potevo capire in quella forma.

Poi, lo sguardo di una ragazza è bastato a farmi capire che l’amore è un percorso. Ma non sapevo ancora se sarebbe stato tortuoso oppure facile. Così quella sera in discoteca finalmente ho sentito che le note stonate erano scomparse e ho finalmente visto una forma d’arte dal valore inestimabile. 

Ma quella musica e quelle linee non sarebbero state accettate da tutti, alcuni già dicevano che non avevano nemmeno diritto di esistere oppure che eravamo malati.

Come potevano gli altri esseri umani odiare così tanto i loro simili? Come avrei potuto difenderla da questo se solo tenendoci per mano o baciandoci in pubblico qualcuno avrebbe potuto farci del male?

Ma la paura non aveva sconfitto l’amore che nel frattempo era nato tra di noi. Stare insieme era talmente normale che non riuscivamo più a rinunciare a quella naturale quotidianità… augurarle la buonanotte e riuscire ad addormentarmi solo tra le sue braccia, cucinare per lei e persino fare le pulizie domestiche!

Questi erano i primi passi verso la nostra famiglia. Così, ora viviamo insieme anche se il nostro amore è legale solo fin dove arriva il confine, creato dagli altri, della nostra diversità. 

Nonostante tutto, questo è amore, ne siamo certe

Non sono mai stata così felice… E il giorno in cui lei dirà sì, quel sì non sarà diverso.

Valentina e Isabel

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