Il pianeta della Porta d’Europa

Una donna accompagna per mano i suoi tre nipotini. Sono bambini vivaci, saltellano e ridono, quasi le scappano, e corrono sulla collina di terra sabbiosa e rocce castane.

-Venite qui, ché vi spiego- dice loro la donna. La sua voce è gentile, un po’ affannata dalla recente salita, con un accento di Sicilia bellissimo, vellutato. Indica loro un monumento inusuale, una porta squadrata e aperta: è la Porta d’Europa.

-Questi sono tutti pezzi di oggetti che sono stati trovati nel mare. Vedete? I cocci, le scarpe, … – Non ci si accorge subito del paio di scarpe sportive che stanno più in alto, attaccate alla porta. Sono ricoperte di calce e uniformate a quel rilievo severo, enigmatico. Poco lontano ci sono forme di pesci, di volti inermi di uomini, di piatti sbeccati, di mani spalancate.

-Questa porta è per ricordare quando sono venuti fino a Lampedusa i primi…- si interrompe, la signora. I suoi occhi guardano al di là del mare, la frase rimane incompleta e sfuma tra il compare delle onde. I primi… come chiamarli?

Il 3 ottobre 2013 nei pressi delle coste di Lampedusa si consumò una tragedia smisurata che Papa Francesco avrebbe definito da lì a poco “una vergogna” nell’ambito di una “inumana crisi economica mondiale, che è sintomo grande della mancanza di rispetto per l’uomo”.

Una barca ricolma di uomini e sogni prese fuoco ad un miglio dall’isola dei Conigli e tragicamente affondò nel mare più bello del mondo. Poco più di un centinaio i superstiti. Un’umanità frantumata, lacera e fradicia di estenuazione e sconcerto, affamata di quiete.

Eritrea, Ghana, Mali, Senegal, Nigeria, Somalia, Etiopia, Costa d’Avorio, Tunisia, … la lista dei paesi di origine è lunga sul barcone vicino a Lampedusa. Arriva da ogni parte dell’Africa la gente senza nome che cerca su un peschereccio sgangherato la vita che non ha, il mondo che vorrebbe.

Tanti sogni semplici nelle menti di ognuno di loro, nessun documento nelle loro tasche. Tanti i sacrifici per comprare a caro prezzo quel passaggio disperato. Nessuna la pietà dei trafficanti di uomini.

Quel mattino, come tanti altri prima, una carretta del mare arrivò a lambire le coste di Lampedusa, dopo tre giorni di disumano viaggio dalle coste libiche, da Zuwarah. Sì, da Zuwarah – città di vampiri a costante rischio epidemico, centro di deprecabili traffici di denaro e finanziamenti per gli arsenali di guerra. In balia delle onde, fino a Lampedusa, allora un’isola di cadaveri, esasperate telecronache, immagini di relitti nelle splendide acque del mare nostrum.

Leggete tutto questo, sulla Porta d’Europa. Ci sono cocci di piatti e scodelle, sagome di pesci, maniglie, forme senza nome, volti indefiniti, agganci arrugginiti dalla salsedine, scarpe spaiate, numeri e parole. Due parole: MARE e TERRA. Ci sono pezzettini di vita, delle vite che non ci sono, di quelle che passano, di quelle che riescono a restare.

Mi piace questo posto, più di ogni altro al mondo perché dalle porte si entra e la Porta d’Europa non si chiude mai. Non ha chiusura ermetica, non ha codice segreto. Una porta senza allarme, un arco del colore del sole e della terra, e anche di qualche onda gentile del mare. Al di là delle colpe, delle opinioni nemiche, degli schieramenti, al di là dell’Europa che grida a gran voce o che chiude gli occhi, di chi crede ancora e di chi non presta attenzione, sulla punta meridionale più estrema dell’isola di Lampedusa una porta esiste.

È un simbolo di volontà, di un pianeta nuovo dove si intrecciano colori e storie, drammi e felicità. Dove la fortuna può essere condivisa senza barriere. Dove non si finge che le possibilità ci siano ovunque allo stesso modo. Dove non si pensa mai che ognuno debba stare al posto suo.

È un emblema della speranza di un pianeta senza crimini, guerre, malattie. Un pianeta dove le barche non affondano, non si infuocano, dove il mare non uccide ma culla i popoli verso l’isola più straordinaria che possiate mai immaginare. Lì, in quel pianeta, le scodelle sono integre e ricolme, le scarpe sono piene di piedi che corrono, le mani si allungano per abbracciare, i volti non stanno più immobili e rigidi ma sorridono, danzano, cantano.

Lo so, lo so già che un pianeta così non esiste, ma se mai esisterà, non ho dubbi: il suo ingresso sarà la Porta d’Europa.

porta d'Europa Lampedusa Sicilia immigrazione
porta d'Europa Lampedusa Sicilia immigrazione
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