Il variopinto mondo di Rosanna, brasiliana, ma anche tedesca e un po’ italiana

Rosanna Ferrarezi Gebauer è una giovane e attiva sessantenne brasiliana di San Paolo, la sua famiglia è di origine italiana. Finiti gli studi decide di fare un corso full immersion a Monaco per imparare la lingua tedesca. Sui banchi di scuola si va avanti con il programma, ma dopo aver sudato nella giungla: delle declinazioni con nominativi, accusativi, dativi e genitivi; dei verbi separabili e non; della perfetta pronuncia; l’acca aspirata, ecc.

Rosanna fa una pausa con la lingua di Goethe e Schiller e accetta di andare a un party con gli amici. E qui trova l’amore. Cupido, il capriccioso dio greco dell’amore colpisce ancora e si presenta nelle vesti di un giovane musicista tedesco con il quale in seguito lei convolerà a nozze. Lui si chiama Günther e lei non sa resistere alle sue bellissime serenate, gli dice sì e da allora sono inseparabili. Dalla loro unione nascono un figlio e una figlia, con loro Rosanna parla solo in portoghese, anche se ormai il tedesco lo sa a menadito.

Oltre ad essere il centro di gravità permanente della sua famiglia da 20 anni è anche la presidente di un’associazione culturale tedesco-brasiliana e organizza concerti e incontri culturali. Inoltre lavora come guida turistica della città di Monaco per gruppi di turisti brasiliani e racconta a gruppi tedeschi la storia della città nel Medio Evo.

In fondo Rosanna qui non è molto lontana dalle sue origini italiane in quanto si sa, Monaco è la città più a nord dell’Italia!

Ciao Rosanna ti presenti alle nostre lettrici e ai nostri lettori?

«Sono Rosanna Ferrarezi nata nel 1958 a San Paolo in Brasile, sono la maggiore di tre figlie.

Finito il liceo a San Paolo ho lavorato due anni in ufficio per una compagnia aerea. Il lavoro in ufficio era interessante, ma volevo dare una nuova direzione alla mia vita, ho parlato con mio padre del mio futuro, lui mi ha proposto di fare un anno sabbatico e visto che mi piacevano le lingue straniere ho deciso di studiare una lingua che ancora non conoscevo, il tedesco. Così nel 1979 mi sono iscritta ad una scuola di lingue e sono venuta a Monaco».

Rosanna a 7 anni
Rosanna a 7 anni

Quindi a 20 anni ti imbarchi in un aereo che da San Paolo in Brasile dopo 11 ore di viaggio ti porta a Monaco dove frequenterai un corso di tedesco.

«Sì, volevo rimanere un anno, ma un bel giorno è successo qualcosa che ha cambiato i miei progetti. Un mio amico tedesco ha organizzato una festa e uno degli invitati ha portato un amico. Così ho conosciuto lui, Günther, quello che un anno dopo è diventato mio marito».

Come ha reagito tuo padre quando gli hai detto che hai conosciuto un ragazzo tedesco?

«Mio padre era una persona solare, aveva una mentalità molto aperta. Gli ho detto che Günther è un bravissimo musicista che suona il basso e che stava nascendo un buon rapporto fra di noi. Poco dopo ho rinnovato il mio permesso di soggiorno in Germania e un anno dopo ci siamo sposati. Mio padre ha accettato la mia scelta. Mi ha sempre detto che è importante conoscere nuovi paesi e nuove lingue. È stato lui che quando avevo 9 anni mi ha incoraggiato ad imparare l’inglese, ed io l’ho imparato bene e facilmente. Due anni dopo il matrimonio è nato mio figlio e tre anni dopo mia figlia. Ho due nipotini e un terzo nascerà fra poco».

Rosanna

Una legge brasiliana del 2008 ha stabilito che il 21 febbraio sia la festa dell’emigrato italiano.

È il giorno in cui nel 1874 arrivò nel porto di Vitória, nello stato di Espírito Santo, il veliero francese «La Sofia» partito da Genova quasi due mesi prima, il 3 gennaio. A bordo c’erano quasi 400 famiglie in cerca di un futuro. Provenivano nella maggior parte dal Meridione d’Italia, San Giovanni in Fiore, Cosenza, Potenza, Salerno, quasi tutti di estrazione contadina. Nelle successive ondate di arrivi ci furono anche molti veneti che raggiunsero lo stato di Santa Catarina a sud del Brasile.

Quali sono le origini della tua famiglia?

«I miei nonni paterni erano di Rovigo. I miei bisnonni materni erano di Padova e di Verona, un loro figlio ha sposato una ragazza i cui genitori erano di Napoli e avevano un cognome “famoso”, Ramazzotti.

La storia ci racconta che dagli ultimi decenni del XIX secolo un gran numero di immigrati italiani è arrivato in Brasile. La maggior parte di loro si sono stabiliti nella città di San Paolo. Questa città si è arricchita esportando caffè e gli italiani hanno contribuito a questo sviluppo in diversi settori: industria, commercio, architettura, arte e soprattutto cucina! Nei primi decenni del XX secolo, gli italiani costituivano un terzo della popolazione di San Paolo. Nel 1911 nasce il Circolo Italiano, che dal 1966 ha sede nell’”Edifício Itália”, un imponente edificio di 46 piani e 151 metri di altezza nel centro della città. Il Circolo gestisce una biblioteca, un ristorante, una sala giochi e lettura, una galleria, un teatro “Teatro Itália” e offre corsi di lingua italiana. Questo Circolo ha avuto un ruolo importante nell’integrazione degli immigrati italiani».

I bisnonni materni, il bisnonno Giuseppe di Padova e la bisnonna Albina di Verona, emigrati in Brasile nel 1897
I bisnonni materni, il bisnonno Giuseppe di Padova e la bisnonna Albina di Verona, emigrati in Brasile nel 1897

Hai qualche ricordo dei tuoi bisnonni italiani?

«I miei bisnonni materni sono venuti in Brasile alla fine del XIX secolo, avevano una fazenda, una fattoria e coltivavano un terreno molto grande. Mio bisnonno sarebbe stato molto contento se i suoi figli avessero continuato il suo lavoro, ma nessuno voleva continuare e così hanno venduto la fattoria. Suo figlio Antonio, mio nonno, voleva studiare medicina, ma non gli fu possibile, divenne commerciante di legname, professione che esercitò fino alla fine della sua vita, all’età di 94 anni.

Un bel ricordo della mia infanzia è la torre della radio situata nel terreno dove vivevano i miei nonni. Avevano il permesso di abitare nella casa vicino alla torre senza pagare l’affitto, in cambio dovevano accendere il transistor della radio cittadina alle 5 del mattino e spegnerlo alle 6 di sera, anche a me a volte era permesso di azionare la leva. Al mattino, le prime persone che il conduttore radiofonico salutava con un bel buongiorno erano i miei nonni e poi trasmettevano molta musica folk.

Hanno potuto vivere lì anche dopo la modernizzazione del sistema radio. Per alcuni anni mio nonno ha trasformato l’enorme proprietà in un paradiso. Ha piantato tutti i tipi di alberi da frutta: mango, arance, limoni, anacardi, fichi, palme da cocco ed ha coltivato il mais. C’erano anche dei fiori, delle bellissime dalie grandi di tutti i colori, rose e fiori di campo. Mi ricordo ancora le grandi farfalle colorate che volavano in questo giardino magico».

Da sinistra il padre, la zia (sorella del padre) con il figlio e la figlia, Rosanna a 15 anni al Circolo Italiano di San Paolo
Da sinistra: il padre, la zia (sorella del padre) con il figlio e la figlia, Rosanna a 15 anni al Circolo Italiano di San Paolo

Vuoi raccontarci qualcosa di tuo padre?

«Mio padre era ingegnere civile, si occupava dei progetti delle centrali idroelettriche, in particolare delle dighe. Suo padre e sua madre erano di Rovigo, per alcuni anni hanno vissuto a Bariri, una città nell’entroterra a circa 300 km da San Paolo. Poco dopo il loro arrivo in Brasile in quella città hanno aperto una pensione. Il cognome di mio nonno era Ferrarese, ma l’impiegato dell’anagrafe ha sbagliato a scriverlo nel registro, ha scritto Ferrarezi».

Com’era la tua vita a San Paolo? È cambiato molto nella tua vita dopo la tua permanenza a Monaco?

«A San Paolo, dopo la vita tipica della studentessa, ho iniziato a lavorare per una compagnia aerea e ho vissuto un periodo molto interessante, molto socievole e variegato.

Quando sono arrivata in Germania, all’inizio mi sono sentita straniera perché non conoscevo molto il tedesco e ci è voluto un po’ di tempo per abituarmici. Ci sono stati anche momenti in cui ero molto scoraggiata e pensavo che non avrei mai imparato questa difficile lingua. Ma in quei momenti usciva sempre una vocina da un angolino di me stessa e diceva: Ma certo che lo imparerai, lo imparerai molto bene. Così ho continuato».

Ed effettivamente così è stato.

«Sì, ora sono molto felice di aver imparato il tedesco e di aver superato le difficoltà iniziali. I primi mesi a Monaco sono stati molto intensi, ho imparato il tedesco e ho vissuto in un ambiente completamente diverso da quello in cui sono cresciuta. Nella scuola di lingue ho avuto contatti con persone di altre nazionalità, tutto era nuovo e interessante. Dopo due anni di permanenza a Monaco sono andata a trovare la mia famiglia a San Paolo assieme a mio marito e sono stata molto sorpresa nel vedere che in Brasile tutto era rimasto come quando ero partita. Io invece avevo imparato molte cose nuove, mi ero sposata, avevo amici tedeschi, parlavo una lingua che non era la mia lingua madre. In Brasile sembrava che il tempo si fosse fermato».

Rosanna, il figlio Magnus, Günther, la figlia Pia
Da sinistra: Rosanna, il figlio Magnus, Günther, la figlia Pia

Poi sei diventata madre di due figli. Ti è mancata la vicinanza della tua famiglia brasiliana?

«Diventare madre è stata un’esperienza che mi ha arricchito molto. I miei genitori mi hanno fatto visita spesso, mia sorella era presente al parto di mia figlia. Ho partorito a casa con l’aiuto di un’ostetrica molto esperta di 74 anni. Sì, 74 anni! È stato un parto fantastico.

Una nostra amica aveva partorito con parto cesareo e mi ha chiesto se poteva essere presente al parto naturale a casa nostra, perché era una cosa nuova per lei. Quindi nel salotto di casa nostra alla nascita di mia figlia oltre a me e alla ostetrica c’era mia sorella, mio marito e la nostra amica, ma non mi hanno disturbato, anche loro sono stati felici di come sono andate le cose. Io ero concentrata sul travaglio del parto, è andato tutto bene. È stata una cosa naturale, io ero sicura che tutto sarebbe andato bene e così è stato. Fra qualche mese nascerà il terzo figlio di mia nuora e anche lei vuole partorire il figlio a casa con il parto naturale».

I tuoi figli parlano portoghese?

«Sì, ho sempre parlato portoghese con loro e anche adesso parlo solo portoghese con loro, mio marito ha sempre parlato in tedesco con loro, sono cresciuti bilingue. I miei figli hanno imparato bene il portoghese e anche adesso da adulti leggono libri, guardano film in questa lingua, perché se non si ha cura di una lingua straniera la si dimentica facilmente, sono contenti di averla imparata già da bambini. I figli di alcune mie amiche brasiliane hanno rifiutato di imparare la lingua della madre, poi se ne sono “pentiti” ed hanno iniziato da adulti a studiarla ed è stato molto difficile impararla. Mio figlio parla solo portoghese con i suoi figli, la tradizione continua».

Dipinti di “Baianas”, donne brasiliane di Bahia. Ninarosa Manns – Mostra dell’associazione culturale tedesco-brasiliana
Dipinti di “Baianas”, donne brasiliane di Bahia. Ninarosa Manns – Mostra dell’associazione culturale tedesco-brasiliana

In Brasile ci sono molte etnie, vivono senza creare dei problemi accettandosi a vicenda?

«Non ho mai visto situazioni di tensione. In una grande città come San Paolo ogni etnia ha il suo quartiere. C’è ad esempio un quartiere dove vive una grande comunità di giapponesi, se si entra nel loro quartiere si vedono i loro negozi, si sente parlare la loro lingua, alcuni portano i vestiti tradizionali giapponesi, sembra di essere in Giappone. Ci sono molti libanesi, turchi e naturalmente italiani. La convivenza multiculturale mi è sempre piaciuta molto».

Parli anche l’italiano?

«Nella mia famiglia, purtroppo, nessuno ha tramandato la lingua italiana ai figli, però spesso succedeva che mentre parlavamo in portoghese venissero inserite nel discorso alcune parole italiane.

Ora mi viene in mente una filastrocca che mi raccontava mia zia, la sorella di mio padre, nata a Rovigo».

Questo è il testo che mi ricordo:

La sorela bela bela

La va via con la sestela

Me papà toròm toròm

Mangia tutto in un bocòn

Sei anche la presidente di un’associazione culturale tedesco-brasiliana. Come hai cominciato questa attività?

«Ho iniziato a fare del volontariato con l’associazione brasiliana Campo Limpo, solidarietà con il Brasile. Questa associazione è nata nel 1975, aiuta molti progetti in tutto il Brasile. Qui mi sono occupata di fare traduzioni in particolare per il progetto di coltivazioni biologiche nel Brasile del Nord.

Un’altra mia attività di volontariato riguarda l’associazione culturale tedesco-brasiliana “Associação Cultural Teuto-Brasileira senza scopo di lucro fondata nel 1988, nel 2000 il presidente mi ha chiesto di far parte del comitato direttivo, io ho accettato e sono entrata nel direttivo come vice-presidente. Nel 2002 il presidente ha lasciato l’associazione e io sono stata eletta presidente.

Fino al 2015 abbiamo fatto feste tradizionali, poi ci sono stati dei cambiamenti nel consiglio di amministrazione ed è iniziato un periodo di stanchezza. Volevo smettere di lavorare nell’associazione, ma poi è arrivato un socio, un grande appassionato della cultura brasiliana, che mi ha incoraggiato e da allora organizza insieme all’associazione progetti musicali molto interessanti. Con la sua conoscenza e le traduzioni molto armoniose dei testi delle canzoni brasiliane, mostra al pubblico tedesco sia i messaggi di canzoni famose come quelli della Bossa Nova e della Samba, che la loro origine e le loro influenze nella società. Ha riscontrato molto successo».

Parlando con te si sente che sei una persona solare, piena di vitalità e ottimismo.

«Una particolarità del mio carattere è che voglio che tutti stiano bene. Questo aspetto della mia personalità credo di averlo preso da mio nonno materno, che aveva buoni principi ed era molto generoso. A volte la situazione economica della città in cui viveva con la famiglia andava in crisi e non c’era lavoro. Fortunatamente mio nonno era in grado di coltivare verdure e cereali per sfamare la famiglia. Nonostante la scarsità del raccolto, quando qualcuno veniva a casa nostra e noi stavamo mangiando, quel poco che c’era lui lo offriva alla persona che ci faceva visita. Gli piaceva condividere, non voleva vedere nessuno soffrire. Da bambina ammiravo il suo modo di essere, è stato un esempio per me».

Ci sono stati anche dei momenti difficili nella tua vita?

«Sì, nel 1996 mi sono ammalata di cancro al colon e nel 1997 sono guarita.
Il tumore era molto esteso e per ridurlo e renderlo operabile mi è stato raccomandato di sottopormi ad un trattamento radioterapico di 4 settimane insieme a 2 settimane di chemioterapia. Già dopo la prima settimana, per 4 giorni, ho avuto la febbre alta oltre i 40°. Non mangiavo nulla ed ero diventata pelle ed ossa. In quei giorni ho pensato che se dovevo sopravvivere a questa situazione, avrei dovuto ricevere un segno dal destino. Infatti, la sera dopo ho fatto un sogno molto particolare grazie al quale tutti i miei disturbi si sono dissolti per trasformarsi nella normalità.

Questo è il sogno:
Era una donna di colore. Tutti i miei amici pensavano che fosse morta e solo io sapevo che era viva. Ma non potevo provarlo. Poi ero in una cantina, volevo aprire la porta di legno e un pezzo di legno marcio mi è caduto in mano. Ho guardato il pezzo di legno e quella era la prova che la donna nera era viva, perché era solo congelata. I miei amici mi hanno creduta ed erano molto felici. Poi all’improvviso mi sono trovata ad un incrocio e sotto di me c’era un buco quadrato che ha cominciato a chiudersi completamente come se non ci fosse mai stato un buco prima.

Il giorno dopo mi sono svegliata senza febbre e ho sentito una forza sul mio plesso solare che mai conoscevo prima. Sentivo una gioia incomparabile a tutti i sentimenti di felicità che avevo provato fino ad allora. Questa sensazione mi ha creato un’immagine nella quale tutti i bambini del mondo erano felici. Ho sentito anche un sentimento di amore per tutto il mondo. Questi sentimenti si sono manifestati molto intensamente nel mio corpo. Anche se sembravo un cadavere, dentro di me scoppiavo di forza e di gioia. Si dice che l’amore guarisce, mi sono sentita molto amata dalle persone che mi erano vicine e questa cosa mi ha dato il nutrimento di cui avevo bisogno.

Ero in una condizione di pace e di beatitudine e pensavo che se dovevo morire sarei morta, altrimenti avrei continuato a vivere. Non avevo paura, quello che doveva succedere sarebbe successo. Tutto andava bene, una sensazione di pace si era impadronita di me. Ho poi continuato il trattamento per altre 3 settimane. Successivamente avrei dovuto fare una pausa di 4 settimane per riprendere le forze prima di essere operata. Dopo qualche giorno il mio corpo ha cominciato ad espellere parti del tumore che erano state bruciate dalle radiazioni e ho vissuto qualcosa che mi ha scioccato. Mi è uscita una parte che sembrava il pezzo di legno marcio del mio sogno!

Quando tornai in ospedale per l’operazione, fui visitata e i medici quasi non riuscirono a crederci quando non videro più alcun tumore, in quel punto rimase solo una cicatrice. La terapia ha avuto un esito molto positivo. Ho dovuto sottopormi a una lunga operazione, ma ho superato tutto perfettamente e sono guarita in fretta. Ho visto in faccia la morte e questa esperienza mi fa vivere il presente molto intensamente. Per me vivere nel “qui ed ora” è diventato cosa ovvia.

Una diagnosi di cancro è per me una sfida a guardare ciò che non ha funzionato bene nella vita. Cosa è stato trascurato, o non ha voluto essere visto, o cosa è stato abbandonato nella vita? Sono sempre stata consapevole del lato psicologico dei processi fisici. Il momento in cui la guarigione è iniziata per me è stato quando è spuntata all’improvviso una vecchia ferita. Ha portato un sollievo enorme.
Occuparsi della malattia solo come se fosse una minaccia, vedersi come vittima non aiuta. Abbiamo la responsabilità di tutto ciò che accade in noi ed è meraviglioso.

Ogni volta che si parla di cancro, si dice sempre che la malattia deve essere combattuta, ma se il trattamento si trasforma in una lotta interiore, hai già perso. Questa sfida può essere vinta solo con l’accettazione e qualcosa deve cambiare dentro di noi, qualcosa si deve trasformare.

Mio figlio, che all’epoca aveva 14 anni, mi ha chiesto cosa avessi. Gli ho detto che era un tumore. Mi ha chiesto: “Non è il cancro, vero?“. Ho detto che lo era. Per un momento ho visto uno sguardo di terrore sul suo volto. Sono andata in camera da letto, lui è venuto da me e mi ha detto: “Oh, ma ce la puoi fare!“. In realtà anch’io avevo la sensazione dentro di me che sarebbe andato tutto bene. Non ho mai sentito la malattia come qualcosa di malvagio, ma sempre come una parte di me e non dovevo avere paura di me, perché io non ero malvagia».

Cos’è per te la vita?

«La mia vita è sempre stata piena di piccole e grandi sfide, di cose interessanti da scoprire. È come se qualcosa mi avesse attirato verso l’entrata di stanze nuove, dove ci sono dei simboli, doverne interpretare il significato e poi mettere in pratica quello che ho capito e cominciare le mie esperienze personali. Da molti anni mi interesso di cibo integrale, grazie ad un’amica ho cominciato a interessarmi di astrologia, psicologia, simbologia e mitologia. Attualmente sto vivendo un periodo di pausa, forse arriverà qualcosa di nuovo, forse sta finendo un ciclo e ne comincerà un altro. La pandemia da coronavirus mi ha portato ad essere più introspettiva a guardare dentro di me».

Qual è la tua canzone preferita?

«Mi piace in modo particolare “Gymnopédies” di Erik Satie, sono tre bellissimi brani suonati al pianoforte».

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