Intervista a Thierno e Mohamed: “In Libia devi avere coraggio”

Sembra quasi impossibile al giorno d’oggi avere un’informazione trasparente dal momento che circolano molte fake news; alcune di queste sono indirizzate ai migranti con l’intento di fomentare odio e violenza tra la popolazione.

Ma si può giudicare in maniera frettolosa senza prima conoscere l’esperienza di una persona? L’esperienza dei migranti, che innanzitutto sono esseri umani. Da questo proposito, io e una mia amica abbiamo deciso di ascoltare la storia di due ragazzi partiti dall’Africa per raggiungere l’Europa.

“L’Italia non può ospitare tutti!”

“Vanno aiutati a casa loro!”

“Vengono a toglierci il lavoro”

“Vengono a portare la criminalità”

e ancora:

“Perché attraversano il Mediterraneo se sanno che è pericoloso?”

Sono queste alcune delle frasi rivolte ai migranti che raggiungono l’Europa attraversando il Mediterraneo.

Quello che succede nel nostro mare è una storia che in parte si conosce: le ONG che soccorrono i migranti, i naufragi che provocano la morte di uomini, donne, bambini di cui spesso i mass media non parlano.

A questo proposito, la notizia quasi non sembra fare più notizia, come se fosse divenuta una normalità, e il Mar Mediterraneo il cimitero d’Europa.

Se in parte si conosce quello che accade nel tratto di mare che separa l’Occidente dall’Africa, d’altra parte si ignora la storia del singolo individuo, il viaggio che lo ha portato a lasciare la propria casa, percorrendo chilometri del continente africano fino ad arrivare alle coste libiche; un viaggio difficile, pericoloso, il cui percorso viene spesso ostacolato da trafficanti che fanno degli esseri umani una vera e propria tratta di schiavi.

Thierno, prelevato dai jihadisti in Algeria, prigioniero in Libia

È il caso di Thierno, un ragazzo originario della Guinea che all’epoca dei fatti aveva solo 15 anni: era partito dal suo villaggio senza dire nulla alla famiglia e il suo viaggio è durato circa un anno.

Ha attraversato il Mali e una volta arrivato al confine con l’Algeria è stato prelevato dai Jihadisti.

«Mi hanno preso ma io non potevo fare i lavori duri quindi mi hanno messo a lavorare in casa con le donne» racconta Thierno con coraggio. «La moglie del capo aveva detto di farmi lavorare in casa. Ho lavorato in cambio di cibo per 5 mesi. Una volta ho venduto un pantalone per avere del cibo».

Ma la sua disavventura non finisce nemmeno quando riesce a fuggire ai Jihadisti e a spostarsi in Libia. Lì viene fatto prigioniero e rilasciato solo 4 mesi dopo.

Mohamed: “Sono morte 15 persone in mare quella notte”

La prigione è quanto si teme di più quando si transita nei paesi del Mahgreb. Lo conferma un altro ragazzo, Mohamed, con una frase che colpisce molto: “In Libia devi avere coraggio perché non hai altra scelta”.

Mohamed oggi ha 29 anni e proviene dal Gambia. Ha deciso di lasciare il suo paese all’inizio del 2016 e anche per lui il viaggio, oltre ad essere stato rischioso e difficile, è durato diversi mesi.

«La prima volta che ho provato ad attraversare il Mediterraneo è andata male» racconta con un ottimo italiano. «Erano le 20.00 di sera. La barca era rotta così iniziammo ad imbarcare molta acqua. Cercavamo di chiudere i buchi ma era inutile e non era possibile tornare indietro perché anche il motore della barca non funzionava. Sono morte 15 persone in mare quella notte.

Alle 8.00 del mattino sono passati dei pescatori provenienti dalla Tunisia che ci hanno notato. Hanno legato la nostra barca alla loro per riportarci indietro. È un grande rischio quello: ti mettono in prigione e bisogna pagare per uscire. Io questo l’ho scoperto una volta arrivato in Libia,  prima di lasciare la mia casa non pensavo sarebbe andata così».

Mohamed riuscì a evitare la prigione rifugiandosi a Zawiya; aveva sentito parlare delle prigioni libiche da altri che erano riusciti a fuggirvi miracolosamente.

Anche pagando in denaro non è assolutamente certo che avvenga la scarcerazione; ci sono trafficanti che chiedono soldi ai familiari delle persone imprigionate in cambio del rilascio, ma poi il denaro viene intascato proprio da questi delinquenti che sono pronti a richiederne altro ricattando le famiglie dei prigionieri. 

Un altro rischio riguardante i trafficanti in Libia è poi la vendita dei migranti. Nel 2017 un’inchiesta di CNN ha denunciato l’esistenza di  mercati di schiavi in Libia: delle vere e proprie aste per la vendita di esseri umani con una base d’asta di 400 dollari a uomo.

Picchiati, colpiti con oggetti affilati, mutilati, molti di loro sono stati rivenduti più e più volte dai trafficanti. Con il reportage dei quattro giornalisti di CNN si è visto il quadro più crudo della situazione dei migranti, una vicenda che assume il tono di una tratta di schiavi in versione moderna.

Come è risaputo la situazione è molto complessa in Libia, uno stato dove “non esiste polizia” e chiunque gira liberamente con delle armi. La violenza è all’ordine del giorno.

Come precisa Mohamed “una volta che entri in Libia non riesci ad uscire. E se provi a tornare indietro, a tornare a casa è rischioso, ti mettono in prigione. E si sa come va a finire”.

L’unica alternativa possibile per andarsene resta dunque il mare. Mohamed riprovò ad attraversare il Mediterraneo nuovamente ma l’impresa fallì. Solo al terzo tentativo il ragazzo è riuscito a salire su una barca e a raggiungere l’Italia.

Nella notte una ONG tedesca è arrivata in soccorso trasferendo tutti i migranti su una imbarcazione molto più grande: in tutto vi erano circa 604 persone tra uomini, donne e bambini.

Anche la barca su cui viaggiava Thierno è stata soccorsa da una ONG spagnola dopo un’intera notte in mare. Una volta arrivati in Italia i due ragazzi hanno chiamato le loro famiglie, dopo circa un anno che non avevano più notizie di loro.

Ciò che colpisce di queste esperienze è la giovane età dei testimoni e la volontà di voler affrontare l’argomento seppur difficile, e bisogna dire anche doloroso; dietro all’apparenza, i sorrisi, le cuffie per ascoltare la musica mentre camminano per strada, non ci si aspetterebbe di sentire alcune delle crudeltà riassunte in queste pagine.

Probabilmente, qualcuno continuerà a riproporre le domande poste all’inizio dell’articolo anche dopo aver letto queste testimonianze; in fondo ognuno può pensare ciò che vuole, ma è importante commentare solo dopo aver ascoltato la storia di una persona, dopo aver avuto le informazioni e i mezzi necessari affinché sia possibile porre un giudizio.

Mohamed aveva pagato il biglietto per salire sulla barca che è poi affondata. Così come ha pagato le spese del viaggio dal Gambia, suo paese d’origine, alla Libia.

«Durante quel tragitto» ha raccontato «può capitare di trovare ad ogni fermata un blocco di polizia: salgono sul mezzo di trasporto, chiedono dei soldi e se non ne hai ti picchiano con ogni mezzo possibile. Picchiano anche le donne». 

Ma alla fine di questo incontro conclude con un pensiero un po’  confortante: «In ogni paese ci sono sia persone buone sia persone cattive. Dipende chi incontri sulla strada. Io sono stato fortunato ad incontrare anche persone buone». E aggiunge «La vita è esperienza, la vita è una scuola grande».

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