Maria Rosa Sabella, Il Viandante. Volontariato è impare a «guardarsi negli occhi»

«Riaprire il Centro significa dare a queste persone una casa anche per poche ore, dove sentirsi parte di quel mondo che non li vede. Per noi volontari, è l’occasione di incontrare senza giudizio, di guardare nei loro occhi e riconoscere l’essere umano che vi è nascosto e che neanche loro riconoscono più». Queste le parole di Maria Rosa Sabella, Presidente di Camminiamo Insieme dopo il nuovo avvio del Centro Diurno Il Viandante di Varese.

L’associazione, costretta a interrompere il proprio operato lo scorso settembre a causa dello sfratto dai locali della precedente sede, dal 14 febbraio è di nuovo attiva. Perché garantire un riparo accogliente, decoroso e caldo alle persone senza fissa dimora è, per i suoi volontari, un dovere morale imprescindibile.

Così abbiamo voluto intervistare Maria Rosa e scoprire tanta passione dietro un impegno importante e alto.

Come nasce l’idea di creare un posto dove i senza fissa dimora potessero trovare riparo e accoglienza? 

Prima di occuparmi di adulti, mi occupavo di bambini. L’attività più conosciuta il “doposcuola dell’oratorio” per aiutare le famiglie a svolgere i compiti. Dopo anni di quest’esperienza dove il problema era sempre il fatto che i bambini non avessero un posto dove stare dopo i compiti, quindi non potessero socializzare e  creare piccole amicizie. Parliamo di bambini provenienti da famiglie con problemi economici e sociali spesso isolate. Quindi ho creato un centro diurno “Amici di Pinocchio” presso la nostra parrocchia a Induno Olona dove oltre i compiti c’erano attività ludiche/ricreative e dove c’era la possibilità di creare dei momenti di incontro anche con i genitori.

Non sto a spiegare il progetto troppo lungo, ma per 10 anni ha funzionato benissimo, accolto 40 bambini dai 6 ai 14 anni, con un gruppo di volontari che andava dai 50 ai 70 anni, studenti e tirocinanti. Riuscivamo a garantire la relazione 1 a 1 soprattutto per i compiti dei bimbi in grande difficoltà. Poi c’erano anche figure professionali, la collaborazione con servizi sociali, neuropsichiatria infantile e tribunale dei minori.

Finita questa esperienza avendo fatto piccole esperienze con la Caritas di Milano nel portare il tè alla sera, ho pensato di spostare questa esperienza a Varese. Con la San Vincenzo si è pensa al primo centro diurno, quindi dopo uno studio del territorio ci si è resi conto che quello che mancava era proprio un luogo per passare alcune ore nel pomeriggio.

Il collegamento con il Diurno dei bimbi è stato immediato. Creare un Centro Diurno per i Senza fissa dimora, dove avessero il tempo di prendersi cura di sé (con i loro tempi) riscoprire la possibilità di una piccola relazione amicale (non possibile sulle panchine) trovare persone che non ti giudicano, ma ti accolgono.

Avete iniziato la vostra avventura nel 2015. Come si è evoluto da allora il Centro Diurno Il Viandante di Varese?

Come tutti i progetti sulla carta abbiamo scritto grosse parolone, Reinserimento Sociale/Lavorativo/abitativo. Già nel secondo anno ci siamo accorti che tutto questo non era possibile, non c’era una rete tale da poter sviluppare un progetto individuale. Inoltre incontrando quotidianamente le persone e avendo il tempo di conoscerle, ci siamo resi conto che non tutti sono interessati ad essere reinseriti in società, e in altri casi non ne avrebbero le capacità anche perché non si riconoscono più come persone.

Da qui la convinzione che, il poter dare loro una sedia dove sedersi e prendere del tempo per loro stessi, riprendere piccole abitudini (farsi la barba, tenere pulite le unghie e i capelli), rispettare piccole regole (orari di apertura e chiusura, la differenziata, non sprecare il cibo), chiacchierare con loro, guardandoli e ascoltandoli per riscoprire insieme piccoli talenti nascosti o dimenticati era tutto quello che potevamo fare.

Come avete scoperto e imparato da questa esperienza che non vi aspettavate?

Un mondo di energia, di umanità, di sofferenza, di gioia, di incomprensioni, di intolleranza, di paura, di fuori legge,di complicità e di solitudine talmente sommerse che il vaso di pandora a confronto non esiste. E comunque abbiamo imparato a vivere giorno per giorno, che da soli non si basta, che anche il tuo nemico può esserti amico per un giorno e che la speranza viene calpestata e inchiodata, ma compare sempre.

A settembre 2020 avete dovuto interrompere il vostro servizio a causa del vicinato che  riteneva degradante si offrisse un servizio di accoglienza nei pressi delle loro case. Può raccontarci qualcosa di più in merito? A cosa si riferivano le lamentele in particolare? Erano fondate?

Premesso che prima di firmare il contratto abbiamo consegnato il progetto con scritto chiaramente di che cosa si trattasse, i problemi sono sorti subito. Ci accusavano di creare odori dovuti alla cucina, ma noi non cucinavamo al massimo scaldavamo le pizze. Hanno visto una persona nei garages e si sono lamentati che permettevamo agli ospiti di vagare nelle parti private del condominio, peccato che era un nostro volontario, medico del Camerun.

Rimanendo aperti dal lunedì al sabato e accogliendo dalle 40/60 persone la nostra produzione di sacchi gialli (plastica) era consistente, secondo loro era degradante vedere sul marciapiede (il giorno della raccolta) tutti quei sacchi. Su una cosa posso magari essere d’accordo, capitava a volte, ma ti assicuro in cinque anni possiamo contare 10 volte che sia successo, che arrivasse qualcuno molto,molto ubriaco e trovarselo davanti al cancello sicuramente non è piacevole, quindi è l’unica lamentela che potrei condividere. Cos’è il degrado: ci sono foto che raccontano di come il posto fosse curato, di come tutto il marciapiede venisse tenuto pulito. Hanno detto che la nostra presenza ha diminuito il valore delle abitazioni, peccato che erano sfitte prima di noi e ancora adesso lo sono.

Dal 14 febbraio siete riusciti ad aprire un nuovo centro a Varese, in una nuova sede. Avete nuove aspettative, nuove proposte, nuovi obiettivi?

Il posto è piccolo, ma non siamo sulla strada e possiamo usufruire di un cortile, è più riservato. Ci aspettiamo più solidarietà da tutti i cittadini e non solo a parole, nuovi obiettivi, sicuramente fare ancora meglio di quanto abbiamo fatto, e riuscire a migliorare ogni giorno, qualificando il servizio, ma senza perdere l’essenza “Mettendoci il Cuore”.

Sappiamo che, nonostante le difficoltà, sia alla prima esperienza, sia durante il periodo di chiusura, molte associazioni vi hanno sostenuto. Quali in particolare? Vi aspettavate questa solidarietà?

In primis nAzione Umana che non è un’associazione, ma ha a cuore i diritti degli uomini, poi le ACLI EOS Yacoumba, ANPI, e molti privati. È stata una sorpresa, dato che purtroppo siamo abituati a vivere il nostro orticello e non a condividere specialmente come associazioni. È stata propria una bella sorpresa confermata anche in questa nuova apertura.

Qual è il più grande insegnamento che ricevete dai senza fissa dimora?

La capacità che hanno nonostante tutto di alzarsi il mattino e vivere la giornata consapevoli di tutto quello che non hanno, di ricevere umiliazioni e di dover sempre dire grazie. Poi è anche vero che tra di loro c’è chi pensa che tutto è dovuto, ma il mondo è questo.

Quale lo sbaglio che potrebbe fare chi si approccia a questo tipo di volontariato?

Spesso i volontari sono spinti da grandi ideali, si parte convinti di salvare il mondo, come se il mondo fosse un enorme pezzo di creta e noi lo potessimo modellare a nostra immagine… bhe! non è così. Il primo impatto è sicuramente di distacco e diffidenza da parte degli utenti, che si aspettano mille domande, tra tutte in primis: “Come stai?”. È una delle domande peggiori che si possa fare, bisogna imparare a essere discreti nei gesti, nelle parole e nell’abbigliamento.

L’errore più grande è dire: “Guarda parlo con una persona che è amico di….”. Il volontario non deve avere pregiudizio, non deve soffermarsi su luoghi comuni, deve liberare la mente, deve imparare ad accettare i suoi limiti e l’umiltà di dire “non so”, “chiedo”, oppure dire semplicemente . Ma deve essere un . E no ma deve essere un no. Come con i bambini, il forse è un’arma a doppio taglio, spesso con gli stranieri che non capiscono il concetto. Altro errore la relazione con i responsabili, che sono in primis i referenti con i servizi e fanno rete: il volontario non deve agire per nessun motivo per contro proprio.

Maria Rosa Sabella Il Viandante Varese

Dal vostro comunicato stampa leggiamo: «Per noi volontari, è l’occasione di incontrare senza giudizio, di guardare nei loro occhi e riconoscere l’essere umano che vi è nascosto e che neanche loro riconoscono più». Cosa intende con questa affermazione? Può approfondire questo passaggio?

Il servizio mensa è fantastico, si dice ciao, spesso non chiamando la persona per nome, si dona il sacchetto con dentro il cibo e si risaluta dicendo ci vediamo domani. Il tutto dura circa 5 minuti quando è tanto. Il nostro spazio ci permette, se lasciamo a casa qualsiasi tipo di giudizio, di sederci accanto a loro, di imparare il loro nome, e quando li salutiamo si sentono riconosciuti. Di condividere le loro paure, gioie, incertezze, dolori.

Ci dà la possibilità giorno dopo giorno di cogliere la sfumatura della ruga, la luce che appare o sparisce dagli occhi, la venatura irritata dal troppo alcool, o la fronte rugosa e gli occhi spenti da una notte troppo troppo insonne, vagando per la città perché nelle stazioni non ci sono le sale d’attesa e le panchine dove stazionare. Chiacchierando si raccontano, spesso sono le loro verità (fanno meno male che la verità), parlano della famiglia lasciata per non danneggiare maggiormente i rapporti (non dicono di essere stati cacciati), quando vanno a trovare i figli, alcuni passano dall’armadio e si vestono come se dovessero andare ad un matrimonio (i figli non sanno che vivono per strada abitano in altre città).

Quando ricordano i giorni prima della strada, il loro lavoro, magari lo stesso per 20 anni, le giornate al lago, o la sera a ballare, si riscoprono come persone. Riuscendo a sottolineare con delicatezza certi racconti, si riscopre con loro che, anche se sono invisibili per il mondo, non lo sono e non lo devono essere per loro stessi. Spesso questo passaggio ha portato a una telefonata alla famiglia che non sentivano da molti anni, qualche volta andata bene, qualche volta andata male.

“In  punta di piedi fra il cuore della gente”, questo è quello che si chiede ai nostri volontari, a chi desidera e decide di tentare questo tipo di volontariato, che spesso mette a dura prova dato che non è semplicemente consegnare un sacchetto (gesto prezioso), ma comporta il guardare negli occhi e lasciare che ti guardino negli occhi, scoprire che sei impotente davanti a tanta solitudine e magari scoprire la propria solitudine.

Quando c’è la relazione, le emozioni sono tante e bisogna essere in grado di gestirle. Spesso capita che per motivi vari non si riesca a essere operativi, ma la presenza quotidiana e costante, il sorriso che doniamo, per noi potrebbe sembrare inutile, per loro è la certezza che qualcuno si occupa di loro.

Per sostenere Il Viandante, è possibile donare tramite bonifico bancario, intestato a Camminiamo Insieme ODV, c/o Banca Prossima, IBAN IT05M0306909606100000138467.
Per saperne di più e/o unirsi ai volontari, telefonare al numero 328.8130060 o scrivere a camminiamoinsieme.va@gmail.com

A questo link la campagna di raccolta fondi: https://www.gofundme.com/f/aiutiamo-il-centro-diurno-il-viandante

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