Maria: vi racconto la mia infanzia segnata dal mutismo selettivo

Maria Luciani oggi compie 22 anni. Nel 2016 si è diplomata in tecnico di produzione industriale, artigianato e moda e sogna di diventare una sceneggiatrice di film. Ma la sua storia ha un segno particolare da condividere: l’abbiamo conosciuta grazie alla mamma, Roberta Tammaro, che si è rivolta a Sguardi di Confine per raccontare un’infanzia (e adolescenza) segnata dal mutismo selettivo.

Si tratta di disturbo (apparentemente raro) che colpisce prevalentemente i bambini ed è caratterizzato dall’incapacità di parlare in alcuni contesti sociali, nonostante lo sviluppo e la comprensione del linguaggio siano nella norma. Spesso si è inclini a confonderlo in timidezza o riservatezza, ma non è così: i bambini affetti da mutismo selettivo smettono di parlare, all’improvviso, e solo in alcuni specifici ambienti.

Oggi Maria ha lasciato alle spalle il mutismo selettivo, seppure questo abbia impresso dentro di lei un segno per la vita. Lo testimonia, tra gli altri suoi scritti, nel libro “Ti racconto le mie storie. Come il mutismo selettivo ha influenzato la mia vita” (Effatà Editrice). Qui, racconti veri e di fantasia si alternano per rievocare il periodo in cui Maria si sentiva “messa da parte” e “in disagio con i compagni”.

Inoltre, anche grazie all’esperienza di Maria e alla caparbietà di Roberta per trovare una terapia, è nata Aimuse (Associazione Italiana Mutismo Selettivo). Oggi la onlus è attiva in tutta Italia con numerosi eventi e convegni, sia per formare e aggiornare professionisti del settore, sia per seguire i giovani con mutismo selettivo, sotto la guida della presidente Elisa Marchio.

Ma una ventina di anni fa, in Italia, si conosceva a mala pena l’esistenza del mutismo selettivo. Così in questa intervista Maria e Roberta ripercorrono quegli anni, per raccontare la loro esperienza e lasciare un segno in tutti noi.

Roberta, quali sono stati i primi segni del mutismo selettivo?

«Tutto è cambiato con l’inizio della prima elementare, proprio dal primo giorno. La maestra ci ha detto che Maria non emetteva suoni ma piangeva soltanto. Io e mio marito ci siamo stupiti, mia figlia (a parte che con alcuni partenti) in casa e con i cugini non aveva mai avuto problemi di questa portata. Per questo abbiamo pensato che fosse successo qualcosa a scuola ma così non era stato.

Non riuscivamo a capire da cosa fosse dipeso questo cambiamento. L’abbiamo portata in un consultorio dell’ospedale Tor Vergata di Roma: lì le hanno fatto numerosi test, tra cui anche l’encefalogramma. Dopo una decina di giorni tramite day hospital, la diagnosi: si trattava di mutismo selettivo di origine ansiosa. Non sapevamo neppure cosa fosse».

Come avete fatto ad affrontare il mutismo selettivo dopo la diagnosi?

«Da quel momento è stato uno strazio. Nessuno sapeva cosa fosse, neppure gli specialisti. Oltre alla diagnosi non sapevano dirci nulla. A Maria sono state fatte numerose terapie che però non risolvevano mai nulla: è passata da vari neuropsichiatri e psicologi infantili. Li abbiamo girati tutti, sia nel privato che nel pubblico.

Solo nel privato, una psicoterapeuta (dopo molti mesi) ci ha detto che con nostra figlia non sapeva come fare. Ci ha quindi indirizzati da un’altra neuropsichiatra: lei ci ha proposto semplicemente di fare gli stessi test (in privato) che ci avevano già fatto in ospedale. Non abbiamo accettato: non avevamo la possibilità economica di spendere così tanti soldi per gli stessi identici test già realizzati attraverso il sistema sanitario nazionale e non mi sembrava certo una soluzione logica. Così la neuropsichiatra, alla fine, ci ha liquidati con un documento nel quale scriveva che io e mio marito eravamo dei genitori “oppositivi”. Questo alla considerevole cifra di 400mila lire.

Poi ho cercato e cercato. Fino a che, tramite internet, ho scoperto che c’erano altre mamme sparse per tutta Italia che vivevano la stessa situazione. Così abbiamo deciso di fondare un’associazione, Aimuse, sperando di riuscire a fare qualcosa.

Nel frattempo abbiamo trovato un neuropsichiatra della ASL al quale abbiamo chiesto aiuto. Ci ha indirizzato da una psicologa e, alla fine, hanno insinuato che mio marito abusasse di mia figlia. Lo hanno detto anche non troppo velatamente. Quando ci siamo ribellati, ci hanno perfino mandati al Tribunale dei minori per questo. Ci hanno accusati anche davanti al giudice».

E a parte queste accuse (a voi genitori), non procedevano con una terapia per vostra figlia?

«No, la terapia che loro volevano fare consisteva solo nel cercare l’uomo nero in mio marito. Mentre di mia figlia dicevano che era una psicotica e volevano ricoverarla all’ospedale psichiatrico. Ovviamente noi ci siamo opposti. Per fortuna poi il giudice ha dato ragione a noi».

Quindi alla fine come avete trovato uno specialista che potesse seguire Maria?

«Non l’abbiamo mai trovato. Ora Maria è seguita da una dottoressa dell’associazione: questa specialista è stata formata con i corsi di Aimuse, ha studiato il mutismo selettivo nello specifico e quindi ha le competenze per seguire questa situazione. Purtroppo, però, ormai Maria ha 22 anni».

Maria, ora il mutismo selettivo si manifesta ancora o è passato del tutto?

«Mi sono sbloccata verso i 16 anni. In quel periodo avevo molta tensione. Mi faceva male la testa. Non capivo ed ero spaventata. Non avevo mai sofferto prima di emicrania. Poi, spontaneamente, sono riuscita a uscirne fuori e muovere i primi passi verso la parola… finalmente. A scuola però ancora non parlavo: era lo scoglio maggiore da superare. Poi, verso i 17 anni, mi sono sbloccata anche in quel contesto.

Fino ad allora non riuscivo ad interagire con i compagni, lo vivevo come un peso. Erano gli anni dell’adolescenza, quindi era tutto più difficile. Da bambini si hanno tanti metodi, tante strategie per “bypassare” il problema. Da più grandi tutto diventa più complicato».

Ora vivi più serenamente?

«Sì, ora vivo più serenamente. Però, parlando con ragazzi che hanno vissuto la mia stessa esperienza e che ne sono usciti, riscontro un elemento comune: un po’ di ansia ti rimane sempre, resta in te».

Riassumendo questi anni, cosa ricordi del mutismo selettivo? Capivi che c’era qualcosa che non andava?

«Ricordo che il mutismo selettivo era la preoccupazione dei miei genitori e dei miei nonni materni che sono stati per me come dei secondi genitori. So che non vedevano l’ora che io riprendessi a parlare. Ciò che mi bloccava, però, era la paura della reazione degli altri nel caso in cui avessi parlato.

Se mi avessero solo detto: “Brava Maria hai parlato”, questo avrebbe creato in me imbarazzo. Non volevo stare al centro dell’attenzione. Preferivo non essere lì e basta. Per questo non riuscivo a sbloccarmi. Avevo paura anche che potessero esultare di gioia perché avevo parlato. Così mi chiudevo in me stessa.

Insomma tutto deve avvenire in modo spontaneo. Molti fanno lo sbaglio di cercare di obbligare il bambino a parlare. Forzandolo, però, l’ansia cresce. Senti che gli altri si aspettano qualcosa che non riesci a fare in quel momento».

Cosa avresti desiderato in quei momenti? Quale sarebbe stato il comportamento migliore da parte degli adulti?

«Avrei voluto che non mi appesantissero. Spesso si dicono frasi in buona fede ma non aiutano. Gli adulti mi dicevano spesso: “Esistono problemi più gravi”, “sono solo ragazzi” etc. Questo mi faceva solo sentire più in colpa e non mi aiutava per niente».

C’è qualche episodio significativo che ricordi di quegli anni?

«Ho vissuto male gli ultimi anni di scuola: non mi bastava più stare soltanto in famiglia. Volevo uscire, scoprire il mondo e farmi degli amici. C’è stato un periodo in cui piangevo molto, ero triste. Uno dei primi giorni di un nuovo anno scolastico ero talmente arrabbiata che sono uscita dalla classe e ho sbattuto forte la porta perché mi sentivo a disagio. Ero arrabbiata con la situazione in generale che mi faceva stare male.

In quel periodo in cui stavo più male mi ha aiutato molto frequentare un centro di aggregazione giovanile. Era bello, facevamo un sacco di attività. Consiglio a bambini e adolescenti nella mia stessa situazione di provare queste esperienze».

Roberta, cosa consigli ai genitori di bambini con mutismo selettivo?

«Rivolgersi alle associazioni. Aimuse fornisce consigli e indirizzi chiari. Ogni regione ha un suo referente specifico. Inoltre è importante farsi fare una diagnosi, ricordando che la diagnosi di un privato ha lo stesso valore del pubblico ma in una scuola tendono a preferire quella pubblica».

Di cosa si occupa oggi Aimuse?

«Vengono svolte numerose attività: corsi, incontri e seminari. Alcuni rivolti agli specialisti, altri eventi sono per ragazzi, come le vacanze terapeutiche. Il sito internet è sempre aggiornato sulle novità».

Maria hai una canzone del cuore?

«C’è una canzone che mi fa sempre emozionare, sin da quando ero bambina. Quando la ascolto mi vengono le lacrime: “A Te” di Jovanotti».

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