Marta, ipovedente: «Dobbiamo accettare il destino e riscattarci»

Perdere la vista a 18 anni, a seguito di un tumore cerebrale, ma non abbattersi. Anzi rialzarsi e rinascere sotto nuove vesti. Lo insegna Marta Pellizzi, classe 1989, ipovedente, oggi social media manager affermata.

Chi è Marta Pellizzi?

«Sono una ragazza con un passato travagliato che ha saputo trovare nella vita strade differenti per raggiungere i suoi obiettivi».

Cosa significa perdere la vista a 18 anni? Come hai vissuto questo cambiamento?

«Il cambiamento è stato radicale ed all’inizio è stata un po’ dura. Ho dovuto modificare abitudini, la vita e anche i sogni. La vista è un senso fondamentale per l’autonomia e perderla significa non essere più autonomi, bensì affidarsi agli altri. Questo ha influenzato le mie scelte: avrei dovuto vivere in modo ben differente, magari studiare architettura, lavorare in un altro settore.

Ora invece faccio la consulente in Social Media Marketing con uno studio tutto mio e, come è facile capire, tutto questo non era ciò che speravo a 18 anni».

Come sei cambiata negli anni? Il fatto di essere ipovedente ha influenzato e influenza il tuo vissuto attuale?

«Certo, cambiamenti così radicali modificano la vita, intaccano l’autonomia, portandoti a lottare ogni giorno. Anche se la vista non è la sfida più grande affrontata in questi anni.

I problemi più grandi me li ha portati il tumore: la vista che ho perso è solo una conseguenza ad un tumore cerebrale, recidivato più volte nel corso del tempo».

Hai mai subito discriminazioni o ti sei mai sentita trattata in modo differente dagli altri a causa della tua disabilità visiva?

«Nessuna discriminazione subito. Nessuno mi ha mai offesa o giudicata. Ai tempi d’oggi è difficile crederlo, ma non ho mai – fortunatamente – subito angherie o discriminazione.

Credo sia anche per via del fatto che ormai ho a che fare con persone adulte, coetanei, quindi le possibilità di ricevere offese si riducono perché ipotizzo che la gente adulta sia più matura. Forse, se fossi stata più giovane, avrei dovuto lottare molto. Queste ovviamente sono solo ipotesi».

Sei riuscita a metterti in proprio nella speranza di costruirti un futuro solido nonostante la “crisi”. Cosa ti ha spinto a farlo? Come hai fatto ad affermarti in un campo così gettonato e in fermento quale il Social Media Marketing?

«Diciamo che il mio lavoro è una corsa ad ostacoli. Da quando ho iniziato non mi sono fermata un attimo. Lotto contro i miei limiti per rendermi più autonoma possibile e, contro la concorrenza, per emergere in modo sano e pulito.

Osservo molto il mio settore ed ho capito che specializzarsi è la chiave del successo. Per tale motivo mi dedico ad alcune cose, piuttosto che ad altre. Riservo parte del mio tempo al blog, alla formazione, ma anche alla scrittura di infoprodotti.

Da poco ho lanciato il mio primo eBook che si intitola “Direct Messages di Twitter, Come creare relazioni di valore” e sono già al lavoro per crearne altri».

Domanda pratica: come fai a destreggiarti così bene nel mondo social senza vedere? Ci fai degli esempi pratici? Quali strumenti utilizza un ipovedente per navigare nel web?

«In Italia non esiste ancora nessun ipovedente che svolga un lavoro come il mio perché il Web è un mondo difficile e spesso inaccessibile. Solitamente si usano lettori di schermo, ingrandimenti e accorgimenti.

Io uso degli ingrandimenti, accorgimenti in relazione al contrasto, ma questi comunque non sono abbastanza poiché molte cose non riesco a farle in autonomia. Proprio per questo svolgo attività di formazione che mi permette di non impiegare la vista o sforzarmi ma parlare, raccontando al cliente cosa e perché deve fare.

Dedico molto tempo alla “mappatura” dei social e questo significa che esploro con calma tutti i percorsi da affrontare per svolgere un’attività che poi ricorderò ogni volta che ve ne sarà bisogno.

Uso molto la memoria, imparo e conservo, trasferendo poi a voce le cose che ho immagazzinato. Di certo non è facile, ma è l’unico modo per svolgere questo lavoro».

Cos’è la vita per te?

«La vita è un’esperienza complessa che spesso si vive come dovere e non con piacere. Come dovere perché qualsiasi sia il nostro destino, dobbiamo accettarlo e riscattarci qualora non ci piacesse. Poi ci sono gli affetti, le persone che rendono piacevole questa esperienza, quelle che ci fanno ridere o sorridere, che fanno battere il cuore».

Proprio in questo momento di crisi molti giovani, nonostante abbiano tutte le “carte in regola”, non riescono a trovare lavoro. Tu hai sfidato le barriere visive e del contratto, mettendoti in proprio. Che consigli dai ai ragazzi che cercano un impiego oggi?

«Consiglio di mettersi in proprio qualora non dovesse trovare un’occupazione. Piuttosto che stare a casa, meglio darsi da fare in altro modo. Io ho fatto questo preciso ragionamento: sto a casa a piangermi addosso o mi invento-reinvento un lavoro? Ho deciso la seconda ed eccomi qui».

Ci lasci la tua canzone preferita? 

«Male che fa male di Alex Baroni».

Segui Marta Pellizzi su www.martapellizzi.it 

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