Grazie alla mia cara amica Laura Venturini, che presta volontariato presso l’ospedale di Bergamo nel reparto di Pediatria, ho avuto l’onore e il piacere di intervistare la Presidente della Onlus “Amici della Pediatria”, Milena Lazzaroni.
Non servono grandi azioni, spesso basta un sorriso o semplicemente esserci per donare a questi piccoli grandi eroi, come li definisce lei, un momento di svago o di gioco.
Essere un volontario è un impegno importante da affrontare con forza e dedizione: “Fare del volontariato è davvero qualche cosa che può regalare tanto. – afferma Lazzaroni – Noi lo diciamo sempre, sono dei piccoli maestri di vita”. Quindi è un donare e un ricevere.
Certamente si può essere sopraffatti da situazioni difficili, ma l’importante è accettare il destino di quello che la vita prevede e guardare avanti senza farsi troppe domande.
Ringraziamo la Presidente per l’impegno di questa meravigliosa organizzazione e per aver risposto alle nostre domande in maniera esaustiva.
Gentile Presidente Milena Lazzaroni, ci presenta in breve la vostra Associazione?
Amici della pediatria è nata nel 1990 all’ospedale di Bergamo, a integrazione a sussidio dell’ente ospedaliero, per continuare a migliorare le condizioni di vita dei bambini ricoverati e il supporto ai loro genitori. Lo fa attraverso diversi progetti. Il primo tra tutti è la presenza dei volontari che, di anno in anno, aumentano sempre di più, anche a livello di competenze. Questo aspetto è in linea con la specializzazione stessa dell’ospedale. Si tratta quindi di progetti legati sia all’ambito culturale, sia all’aspetto più materiale.
Per quanto riguarda la cultura ci sono borse di studio, corsi di formazione per i volontari e per gli operatori sanitari. Rispetto al materiale, parliamo di arredi, macchinari e tutto ciò che può servire per continuare a migliorare davvero la quotidianità. Pensiamo quindi alla bilancia, agli strumenti particolari per visitare i bambini, agli strumenti un po’ più importanti, come il colonscopio e via dicendo. Questo sempre nell’ottica di continuare a migliorare le cure e rendere l’ospedale sempre più “dolore free” per il bambino.
Avete aderito all’associazione Each (European Association for Children in Hospital). Perché è importante veder accolta la domanda di adesione per la vostra Associazione?
Abbiamo aderito a Each perché è un ente che, a nostro avviso, sta lavorando molto bene su tutto ciò che riguarda i diritti dei bambini e dei ragazzi ricoverati. Siamo tuttora l’unica associazione italiana che vi aderisce. Purtroppo, non sempre riusciamo a partecipare a tutti gli appuntamenti annuali in calendario, ma ci fa piacere continuare a seguire gli aggiornamenti.
È importante perché ognuno porta un punto di vista ma, soprattutto, delle idee innovative e nuove. Per esempio, la volta in cui abbiamo partecipato a Dublino, è stata l’unica in cui io ero operatore sanitario. Siamo stati presenti, abbiamo potuto verificare con loro l’importanza di spazi ludici adeguati ed è stato da lì che appunto sono sorti quelli che sono nell’attuale ospedale. Questo è stato possibile anche conoscendo fornitori fuori dall’Italia che hanno dei criteri di lavoro completamente diversi.
In sostanza, insieme si possono fare grandi cose. Il confronto è assolutamente determinante. Dal confronto di diverse idee nascono delle idee ancora più belle. Per cui per noi è sempre importante. Ci spiace solo non essere più presenti agli appuntamenti programmati.
Come si collabora con un bambino affetto da una malattia grave? Come si comunica con lui nel suo percorso terapeutico? E come si gestiscono queste emozioni?
Questa domanda ci vede in parte protagonisti: in quanto volontari, non parliamo della malattia soprattutto con il bambino stesso. Tendenzialmente non abbiamo questo tipo di informazioni perché non sono necessarie per il nostro lavoro. A volte ci vengono dati degli input da parte degli operatori sanitari, ma rimangono delle indicazioni che ci servono per non sbagliare all’interno di questo operato. Gli operatori sanitari sono molto bravi da questo punto di vista perché, a seconda dell’età, riescono a modulare la comunicazione e a dare quindi delle informazioni ai bambini.
Gli stessi bambini, ma molto spesso anche i genitori, ci raccontano quello che stanno vivendo come una confidenza, come uno sfogo. È qualcosa che però, chiaramente, non possiamo utilizzare. L’unica cosa che possiamo fare è ascoltare, perché non siamo operatori sanitari e non possiamo sapere come andrà un percorso. Per cui, è inutile dire delle frasi fatte che potrebbero essere fuorvianti e assolutamente non necessarie in un percorso già abbastanza difficile.
Quello che abbiamo potuto fare, però, è mettere in luce come, attraverso il gioco e le attività creative, molto spesso i bambini alleggeriscono un po’ paure e pensieri. Per cui, mentre si gioca insieme, può esserci la confidenza di una paura che, chiaramente, noi riportiamo anche agli operatori sanitari in modo che possono essere in grado di gestire questo tipo di informazione nel loro colloquio. Insomma, non diventa un pettegolezzo tra noi, ma un vero lavoro di squadra, una centralità verso il bambino con ognuno che contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo: quello di far stare sempre meglio il bambino.
L’altra cosa che abbiamo fatto in questi anni, esattamente nel 2012, è stata attivare il progetto “gioca amico” che prevede, appunto, che in uno spazio tutelato, sorvegliato da una psicologa dell’ospedale, ci sia la possibilità per il bambino, i suoi genitori, e anche i fratelli e le sorelle, di poter capire che cosa succederà nel loro percorso terapeutico. Esami invasivi o interventi vengono spiegati attraverso l’assimilazione. Sono tutte domande che sorgono dopo aver parlato con il chirurgo o l’anestesista e che, a volte, fanno nascere degli altri interrogativi. Quindi, parlare con la psicologa e rivedere tutto questo percorso permette innanzitutto di essere più preparati e conoscerlo, e di affrontarlo sicuramente con una paura minore, che non si abbatte totalmente ma diminuisce.
Le faccio un semplicissimo esempio: se anche noi andiamo dal dentista, e lo stesso non ci avverte che di lì a poco sentiremo male ma che durerà pochissimo, è chiaro che anche noi ci spaventiamo. Insomma, ci irrigidiamo e diventa tutto più complicato. Invece, essere preparati è sicuramente importante.
È un gesto lodevole donare sorrisi, calore e affetto ai bambini ricoverati facendo loro riscoprire un valore diverso del tempo. Com’è possibile sostenere l’Associazione?
Facciamo molte cose. Sicuramente, quella di portare “normalità” è la parte più importante. Lo facciamo attraverso un sorriso, una festa, un regalo, un gioco, un’attività creativa. Banalmente, anche sedersi accanto a un letto e stare in silenzio a sorvegliare un bambino (anche nel caso in cui il bambino o il ragazzo non hanno voglia di parlare) è assolutamente importante.
Sentirsi utili è fondamentale sicuramente, ma tante volte non c’è bisogno di fare chissà cosa. Si tratta soltanto di ascoltare l’altro e quindi di “esserci”, che spesso non è fatto di grandi azioni, come noi bergamaschi siamo abituati sempre a fare, ma banalmente soltanto ascoltare e davvero essere lì presenti.
È possibile sostenerci in tanti modi: dalla donazione in denaro che ci permette di continuare a far vivere i nostri progetti quotidiani, a quella di materiali e giochi (su un’indicazione precisa che arriva direttamente dall’associazione). Inoltre, è possibile costruire insieme progetti che vanno in là nel tempo. Per esempio, ci sono aziende come quella dove lavora la Laura (nostra volontaria), la Brembo, che nel corso degli anni ha sostenuto con noi la costruzione di progetti a breve, medio e lungo termine. Insomma, per noi è importante che le persone si sentano coinvolte in quella donazione che portano avanti, perché è facile fare un bonifico e cliccare una cifra in un portale, ma sicuramente vivere la costruzione di quel progetto, vederne pian piano le fasi che lo costruiscono e lo fanno diventare vero e poi vederlo realizzato è diverso e genera quella solidarietà e quel coinvolgimento che fa bene anche al donatore. Per noi è fondamentale avere questo rapporto, per chi lo desidera e per chi può, perché in questo modo portiamo avanti una delle attività previste dal nostro statuto che è appunto la sensibilizzazione verso i bambini che si trovano ad affrontare il periodo della malattia.
Il ruolo del Volontario è sicuramente una risorsa molto importante. Leggendo il vostro sito internet mi sembra di capire che c’è un percorso di formazione, quindi i volontari sono comunque persone preparate e sensibilizzate professionalmente a svolgere queste mansioni?
Essere volontari amici della pediatria prevede un percorso abbastanza intenso. Noi diciamo sempre che ci vogliono almeno circa sei mesi. A volte ci sono persone che demordono perché banalmente pensano a un volontariato, diciamo così, di buona volontà: “Sono bravo, oggi non vado a fare la passeggiata in montagna ma vado a giocare con i bambini in ospedale”. Non è così, per essere volontari in ospedale bisogna sicuramente avere tante nozioni, che vanno al di là di ciò che si deve o meno fare e che sono molto più importanti. Non posso banalizzare le parole, non posso dire “dai dai che domani starai bene, dai che andrà tutto bene”. Piuttosto che “ma sì, ti ricresceranno i capelli”, e altre questioni che non possiamo sapere.
Per questo, diciamo di essere volontari che entrano in punta di piedi. Un nostro formatore storico dice sempre che noi siamo ospiti non previsti. Siamo previsti, per carità, da quello che è l’organigramma dell’ospedale, e questo è certo. Però è anche vero che un ospedale non per forza deve contemplare dei volontari. Per cui, la nostra presenza deve assolutamente essere caratterizzata da sensibilità attenta e leggera. Con questo intendo che non imponiamo la nostra presenza, non imponiamo nulla.
Il corso prevede diverse fasi. C’è un primo incontro generale dove viene spiegata la vita dell’associazione. A questo seguono poi degli incontri per far conoscere sempre di più la realtà che si incontrerà sul campo, se il percorso andrà buon fine. Il tutoraggio risulta essere la parte più completa perché comprende anche la teoria.
L’affiancamento di volontari già presenti da diversi anni aiuta il candidato volontario a capire se davvero quello è l’impegno che una persona si vuole prendere tutte le settimane, nel medesimo giorno, nel medesimo orario. Ed è anche un impegno di formazione, perché la nostra formazione è permanente, non finisce con l’entrata in associazione. Questo perché i bisogni cambiano, le attenzioni della nostra associazione cambiano, quindi anche il percorso formativo è una continua specializzazione. Come ho detto prima, il nostro ospedale è considerato ad alta specializzazione. Di fatto, anche il nostro volontariato è andato in tal senso, proprio perché siamo volontari sempre più formati, non solo per ciò che riguarda la semplice di conoscenza, ma anche rispetto alla filosofia pedagogica che portiamo avanti come associazione. Abbiamo dei pedagogisti nel nostro staff, impegnati con bambini e i genitori, ma anche con tutti i nostri volontari quotidianamente.
Insomma, seguiamo una formazione continua anche grazie a loro, dedicata al gioco e al lavoro del bambino per crescere. Questo permette di avere dei volontari che propongono un’attività al bambino proprio perché si rendono conto di quale sia il suo bisogno in quel momento e a quell’età.
Devo dire che ho assistito a bellissime scene in questi anni: con la semplicità di guardare un bambino, stare attento ai segnali che ti manda, i volontari riuscivano a passare delle attività, che hanno poi permesso al bambino di sciogliersi, di raccontarsi, di sfogarsi, anche di lasciarsi andare in pianti o comunque emozioni che condividevano con noi. lo dico sempre: è un grande onore per noi incontrare questi bambini e queste famiglie perché ci regalano un pezzo di loro. Lo vedo spesso su di me, caratterialmente sono molto riservata e tante volte non è semplice raccontare qualcosa che mi riguarda a chiunque. Mi immagino loro che incontrano noi, perfetti conosciuti, magari ci rivedono per settimane e settimane, però rimaniamo sempre dei perfetti sconosciuti per loro, nonostante tutto. Eppure trovano in noi qualcuno a cui aggrapparsi in un abbraccio per trovare il coraggio e la forza di andare avanti il giorno dopo. Così, i bambini possono pensare: “Tu mi regali dei momenti belli, ti voglio ancora o comunque voglio chiunque di voi abbia quella maglietta che so che mi può regalare dei momenti belli”. Questo, secondo me, è un regalo fantastico che ognuno di noi riceve. Ogni volontario davvero riceve queste emozioni, ed è vero quando si dice che si riceve di più di quello che si dà. Ecco, questo è un esempio proprio lampante.
La mia amica Laura Venturini, una vostra volontaria, ha scritto una filastrocca per questi bimbi in occasione del 30esimo compleanno dell’Associazione. Ci può raccontare brevemente alcune altre testimonianze significative da parte dei volontari?
Le testimonianze dei volontari rispetto ai casi che loro incontrano, sono sicuramente tantissime. Credo che le più belle siano quelle che si vivono quotidianamente. Penso, ad esempio, a un bambino che inizia a camminare, la mamma ha ascoltato i consigli che la pedagogista le ha dato, e magari il volontario è riuscito ad attrezzare la stanza o a portare quello che poteva servire per farlo camminare. Oppure alla mamma ci invia un video per dirci: “Grazie, siete riusciti insieme a far camminare il mio bambino e questo è stato permesso anche grazie a tutti i consigli preziosi che mi avete dato”. O ancora, ai genitori che ti incontrano nelle corsie dell’ospedale, ti abbracciano e ti dicono: “Il mio bambino ha appena avuto il trapianto e volevo che tu lo sapessi”. Questo accade perché diventiamo davvero parte di una loro famiglia temporanea, che tanto temporanea poi non è perché rimane comunque nel tempo, insieme alle emozioni e ai ricordi.
Tanti momenti sono anche “particolari” per quei bambini, quando entriamo nella loro stanza trovano spazio con noi, non solo per giocare e ridere, ma anche per sfogarsi, lanciarci quello che hanno sul loro lettino per giocare, trattarci anche male a volte, ma questo chiaramente non deve essere interpretato come qualcosa di personale verso di noi, ma come ciò che serve davvero in quel momento a loro. Molto spesso, e credo che sia così anche per noi adulti, sfogarsi con qualcuno che abbiamo vicino è sì facile, perché ce l’hai a tiro, ma non è così semplice perché sai che sta vivendo comunque la tua stessa preoccupazione, le tue stesse paure, le tue stesse difficoltà. Farlo con qualcuno che non è assolutamente condizionato, perché non ha quella malattia, è diverso: lui va a casa, ma non ha un bambino ammalato, e così via. Insomma in questo caso è molto più semplice, per cui ci prendiamo il bello e il brutto. Devo dire anche che la bellezza collaterale, che regala il volontariato e che abbiamo avuto modo in questi anni di rivalutare, è enorme.
Ci sono bambini e famiglie che non vediamo da anni, ma che si ricordano di noi in occasioni importanti della vita, come un evento legato al proprio matrimonio, piuttosto che a varie ricorrenze e prendono l’occasione per ringraziarci di tutto ciò che abbiamo fatto per loro. Così, ad esempio, sfruttano l’occasione per utilizzare le nostre bomboniere solidali dimostrando di ricordarsi il bene ricevuto. Ci sono bambini che si ricordano perfettamente quali attività, spettacoli o esperienze hanno svolto in ospedale. Ecco, questi sono tutti regali che loro ricevono, ma che alla fine in qualche modo ritornano anche a noi chiudendo dei cerchi che si aprono.
Ci sono volontari che, trovandosi di fronte a una cosa così grande come la malattia di un bambino, non ce la fanno a continuare?
Sì, nel percorso di formazione per diventare volontari ci si mette a nudo, bisogna capire molto bene qual è la motivazione intrinseca ed estrinseca per cui una persona decide di fare volontariato. Sembra una banalità ma è assolutamente importante chiedersi e darsi delle risposte: perché una persona in un determinato momento decide di fare il volontario proprio in ospedale, proprio con i bambini in ospedale?
Una volta che si sono maturate queste risposte nel proprio animo, saranno loro a darci la forza per andare tutte le settimane a fare il turno in ospedale e generare così una storia di volontariato che cresce con noi. Ed è assolutamente importante farlo. Chi non ce la fa c’è, perché la parte teorica già mette abbastanza in chiaro l’ambiente dove si lavora, mette in chiaro che ci sono bambini malati, che non siamo in un parco giochi, una ludoteca. Certo, i bambini giocano, ma ci sono anche delle realtà fisiche ed emotive che vanno comunque messe in evidenza. Non posso far finta che non ci sia un bambino che ha la pelle gialla perché è in attesa di un trapianto di fegato, piuttosto che un bambino che non ha i capelli perché sta facendo delle chemioterapie, così come altre particolarità fisiche che è normale che si vedano. E noi le vediamo ma, diciamo così, non prestiamo la nostra attenzione a quello che è l’involucro che contiene quell’animo bellissimo del bambino, andiamo oltre. Vediamo il bambino e vediamo un bambino che ci ha scelto per giocare con lui. Che è lì che interroga noi per vivere un momento che sicuramente magari altri giorni non può vivere, e che in quel momento però lo vuol vivere con noi.
È chiaro che ridere in faccia, piuttosto che piangere, genera delle reazioni e delle domande che un bambino non può capire. Ci hanno fatto diversi esempi in altri reparti: genitori che raccontavano dell’incontro di volontari poco sensibili, che banalizzavano ad esempio, alcuni aspetti rispetto all’età. Ecco, in punta di piedi vuol proprio dire questo: rispetto te per come sei ma non mi pongo domande e, sicuramente, se emotivamente non ce la faccio a sopportare l’immagine di questo bambino, è inutile che io stia qui. Questo perché faccio male a me, ma ne faccio anche a lui. Insomma, è bene anche trovare la propria forma di volontariato che non per forza deve essere in corsia in ospedale.
È pazzesco che bambini così piccoli abbiano già vissuto queste tragedie. Come si fa a convivere con queste situazioni? Non se ne viene mai sopraffatti?
Eh è pazzesco sì, che i bambini si debbano ammalare e debbano vivere dei percorsi così turbolenti, difficili e complessi e anche morire in giovane età. Certo, sono domande che noi ci facciamo e che a volte, in qualche modo, ci sovrastano. Ma abbiamo anche imparato ad accettare quello che accade. Non ne siamo assolutamente contenti, per carità, però non possiamo fare altro che accettare quello che, chiamiamolo il destino, chiamiamola la vita, prevede per questo bambino o bambina, e abbiamo smesso di farci tante domande del perché accadono certe cose. Cerchiamo di portare dentro di noi quello che ci ha insegnato quel bambino o quel genitore che non rivedremo, e cerchiamo di trovare un insegnamento ma anche la forza in quella storia e di fare bene il nostro pezzettino di percorso insieme a loro.
Come vengono organizzati gli eventi dall’Associazione? Di che cosa trattano?
Gli eventi che l’associazione organizza sono di diverso tipo e sono tutti orientati non solo alla pura raccolta fondi, ma soprattutto alla sensibilizzazione, aspetto che riguarda ciò che accennavo prima rispetto, ad esempio, ai progetti. Gli eventi che facciamo noi sono essenzialmente due: la cena del nostro compleanno che facciamo ogni anno e le iniziative di raccolta fondi solidali in occasioni di bomboniere, Natale o Pasqua solidale. Fortunatamente ci sono tantissime persone che, non potendo fare volontariato, oppure non riuscendo anche emotivamente a pensarsi in corsia come noi, ma essendo molto sensibili e sicuramente desiderosi di aiutare il prossimo, decidono di organizzare eventi: dal torneo di calcio, alla partita, a un aperitivo, a una pizza. Insomma, ci sono veramente tantissime iniziative che vengono fatte per noi.
Sono tutti canali dove per noi è importante raccontare quello che facciamo e quello che il bambino vive in ospedale. Anche per permettere alle persone di comprendere che l’ospedale non ferma il tempo di crescita di un bambino, ma proprio la nostra presenza in spazi organizzati, corredati, arredati, tramite volontari e pedagogisti, permette di pensare al futuro del bambino, prevedendo appunto le varie fasi della crescita. Ci sono bambini ricoverati per medio-lungo termine, per cui è inevitabile che per loro quella diventa davvero una casa per molto tempo, la loro casa principale. E quindi, all’interno di questo spazio c’è anche un tempo che scorre e deve scorrere con tutte le possibilità che un bambino può avere per continuare a crescere per il meglio.
Un anno un po’ particolare questo. Come ha influito la situazione Corona Virus nei Reparti Pediatrici? E come ha reagito l’Associazione alle restrizioni imposte dalla Pandemia?
Il Covid è stato sicuramente uno stop, che è arrivato d’improvviso, così come arriva all’improvviso la notizia di una malattia di un figlio. Insomma, è arrivato come un fulmine a ciel sereno e ci sono state presentate decisioni da parte della direzione. Quella che più ci ha colpito, e che ha colpito direttamente i bambini e le famiglie, è stata quella di non poter entrare in reparto dal 24 febbraio 2020. È stato un grandissimo ostacolo che ha generato dei momenti difficili per le mamme, chiuse in una stanza con il loro bambino tutto il giorno. Bambini, ragazzi e operatori sanitari contano molto sulla nostra presenza: ci occupiamo di tante mansioni, magari non previste nemmeno nel lavoro di un infermiere. Siamo un po’ la prolunga di questo cerchio attorno al bambino da un punto di vista assistenziale, riusciamo ad aiutare anche loro in vari aspetti della quotidianità. Così questo stop è stato problematico.
Ma l’associazione non si è fermata praticamente nemmeno un giorno. Già il 24 pomeriggio ho avuto una riunione con il nostro direttore di unità al quale ho raccontato le idee che mi erano venute in mente e che avevo condiviso con il consiglio direttivo: non possiamo essere presenti in reparto ma i bambini hanno sicuramente bisogno di continuare a giocare. Così, abbiamo istituito da subito la consegna di un kit settimanale di giochi e attività creative. Abbiamo iniziato questo lavoro in due. Due volontari e tre pedagogiste e, ogni settimana, preparavamo questi kit, all’incirca 70-80 e li consegnavamo alle infermiere, con tutte le disposizioni e le attenzioni scrupolose che il nostro direttore ci ha insegnato. Dopodiché ci siamo resi conto anche che una mamma chiusa in una stanza ha bisogno anche di occuparsi di varie mansioni, come fare la spesa o altri aspetti legati alla quotidianità: gli assorbenti per il ciclo, il dentifricio, qualche abito per cambiarsi ad esempio. E, considerato che i parenti non potevano venire in ospedale per un cambio o per consegnare delle cose, abbiamo aggiunto anche tutta questa parte.
Inoltre, dal 9 marzo abbiamo attivato una rete wi-fi che permettesse ai bambini di stare in contatto con noi attraverso delle videochiamate. Questo ci ha permesso di sentire le pedagogiste e lavorare sul gioco e su tutte le attività che potevano strutturare durante la giornata, per continuare la didattica a distanza con gli insegnanti di riferimento. Purtroppo in ospedale la scuola non si è organizzata da subito per sopperire a questa mancanza ma è ritornata in presenza a settembre. Questa iniziativa ci ha permesso di metterli in contatto con i loro famigliari, senza preoccuparsi che i giga finissero, etc, e questo è stato sicuramente molto importante.
La Pad (pedagogia a distanza) che ci siamo inventati in questi mesi è proseguita molto bene con attività che sono state molto apprezzate dai genitori. Increduli, hanno visto dei bambini che hanno afferrato il telefono o l’Ipad o il computer e hanno chiesto ai genitori: “Sì, sì, sto qua io, gioco io adesso”. Per cui abbiamo permesso anche indipendenza e il desiderio di vivere delle esperienze diverse in quelle quattro mura che li hanno racchiusi per diverso tempo.
Non è cambiato molto, nel senso che chi è ancora ricoverato vive ancora questo tipo di attualità. Sono ancora chiusi in una stanza, possono uscire pochissime volte (a turno), non possono giocare insieme. Insomma, hanno mille restrizioni. I bambini sono stati bravissimi, è stato tutto difficile anche per i loro genitori, ma devo dire che hanno tenuto duro e hanno vissuto al meglio di come potevano questi mesi. Lo stesso abbiamo cercato di fare noi, di far vivere loro questo momento settimanale di consegna e tutti gli altri giorni con giochi e attività al nostro meglio.
A giugno sono arrivati anche altri volontari a darci una mano, perché anche le restrizioni cominciavano a diventare più leggere. Quindi il tutto si è trasformato anche in una piazza virtuale dove poter giocare con i bambini. E tutti insieme, durante la settimana, ci siamo potuti alleggerire un po’ il compito di preparazione dei kit e abbiamo potuto integrare quelle le attività contenute in questi kit.
Gli eventi si sono chiaramente annullati, anche se ci sono state un paio di iniziative online che sono state organizzate per noi. Il nostro compleanno è diventato una cena, ognuno a casa propria: in una settimana si poteva ordinare la propria cena a casa e fare gli auguri agli amici della pediatria. È stato un evento magnifico che ha radunato tantissime persone, anche tanti di noi, all’insegna di “aiutiamoci e stiamo insieme come possiamo”. È stato veramente molto bello.
Stiamo pensando delle nuove iniziative per integrare questo tipo di servizio di volontariato 2.0, come l’abbiamo rinominato, nella speranza che il vaccino possa concludere la pandemia e si possa tornare anche alle modalità tradizionali. Non lasceremo queste modalità anche quando torneremo a quelle tradizionali. Questo perché abbiamo pensato che un bambino in isolamento per terapie o per problemi particolari possa comunque avere piacere di stare in contatto con noi. Ciò permetterà di continuare a far vivere loro dei momenti anche insieme ad altri bambini in una forma diversa, però stando insieme.
Cito una frase del vostro sito: “Ci vuole empatia, non compassione o angoscia per aiutare questi bimbi”. Per questo vorrei concludere l’intervista chiedendole in modo leggero qual è la canzone che associa a questi piccoli angeli?
Mi piace tantissimo il fatto che voglia concludere in questo modo molto originale. Mi disturba però la parola “angeli”. Noi siamo soliti chiamarli eroi, piccoli eroi, perché portano avanti delle battaglie loro, ed è anche vero che, purtroppo, diventano degli angeli perché ci lasciano. Per questo non mi piace mai questa espressione abbinata a tutti loro.
La canzone a cui penso spesso e che mi piace tantissimo è “One” degli U2 perché raggruppa tutto. Raggruppa la semplice persona, tante persone, l’insieme e l’amore, e credo veramente che tutte queste cose, ma soprattutto che la parola “insieme”, raggruppi davvero tutto quello che noi siamo. Quello che la grande squadra “Amici della Pediatria” fa ogni giorno. E che tenta di fare coinvolgendo sempre più persone. Non solo chi è così vicino a noi, ma tantissime altre persone che nel guardare un bambino in ospedale, vedono il bambino. Un vedere che ti può regalare davvero tanto.
Noi lo diciamo sempre, sono dei piccoli maestri di vita. Ed è vero perché ridimensionano tantissimo quello che siamo noi e, anche quelli che pensiamo siano dei problemi di chissà quale natura, vengono ridimensionati o rivisti: un bambino ti dice una frase e tu capisci che tutto può cambiare in un secondo, e quindi si rivalutano tante cose.
Grazie per il tempo che ci ha dedicato e un augurio tratto dal libro di C.S. Lewis: “Un giorno sarai grande abbastanza per ricominciare a leggere le favole”
Anche l’ultima citazione che lei mette di Lewis è meravigliosa. Le favole da noi le leggono quotidianamente, perché nel kit è prevista anche la parte letteraria. C’è una biblioteca meravigliosa, di cui fra l’altro Laura si occupa e per noi la lettura è abbastanza importante oltre ai giochi e le attività creative. Siamo tra l’altro contenti perché tantissimi bambini e ragazzi imparano a leggere in ospedale, grazie un po’ al nostro input. Per cui, per alcuni, quel giorno per cominciare a leggere le favole è anche quello in cui vengono ricoverati in ospedale.
Di seguito, la testimonianza di Laura Venturini, volontaria di “Amici Della Pediatria” da 10 anni
Mi chiamo Laura, vivo a Bergamo. Sono approdata agli “Amici Della Pediatria” 10 anni fa, mentre ero alla ricerca di una Associazione di Volontari che fosse attiva in ambito pediatrico e nella quale poter svolgere un volontariato serio, impegnativo, a favore dei bambini.
Esattamente come recita il motto “Scout una volta, scout per sempre” (a me caro per esperienza personale, anche se non sono più in attività nel Movimento), oggi posso affermare che per quanto mi riguarda essere volontario in una Associazione come ADiPì non significa semplicemente fare qualcosa, ma è un modo di essere. In questo senso non riesco a vestire e svestire i panni della volontaria, ma sento di esserlo dentro e fuori l’attività associativa.
Devo dire che molto di me, della mia esperienza, dei miei studi ed interessi ho portato nel mio essere volontaria in ADiPì. Similmente, quello che ho imparato e continuo ad imparare grazie al nostro operato per i reparti Pediatrici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII (Bergamo) ed alle sessioni di formazione – iniziale, continua e permanente – cerco di applicarlo nella vita di tutti i giorni.
Uno dei principi fondamentali della nostra Associazione, direi anzi quello principale da cui si diramano poi tutti gli altri, è “non perdere di vista il benessere del bambino ricoverato e della sua famiglia”.
Posto che ognuno di noi si adopera con continuità e al meglio delle proprie capacità per validare questo principio, vi racconto un episodio di qualche tempo fa che mi è rimasto particolarmente impresso e che credo sia esemplificativo.
Un martedì pomeriggio, durante il mio turno, mi interfaccio con il collega educatore il quale, munito di laptop dell’Associazione, sta per recarsi in una stanza dell’area Trapianti pediatrici con l’intenzione di stabilire un contatto con una paziente appena arrivata.
Scopro che si tratta di una ragazza adolescente, qui con sua madre. Sono russe ed entrambe non parlano italiano. Qualche parola di inglese la madre, forse….
Sperando di riuscire a riesumare qualcosa dalle reminiscenze dei miei studi di russo che risalgono a oltre 30 anni fa, mi offro di accompagnarlo. Vedo che si illumina, entusiasta, e mi armo di coraggio mentre andiamo verso la stanza.
T., ci dice il nome sulla porta, è una ragazzina bionda, esile, molto timida di suo ma probabilmente, anzi certamente, anche molto spaventata e disorientata.
È vero che non spiaccica nemmeno una parola di inglese (ma non lo studiano, nel loro Paese?).
Saluto lei e la mamma nella loro lingua: «Ciao! Io mi chiamo Laura. Tu come ti chiami?».
Non riesco ad articolare molto più di questo, in conversazione, ho dimenticato quasi tutto a causa del mancato uso di questa lingua e nel poco che ricordo sono come minimo arrugginita… ma serve a rompere il ghiaccio e vedo che ha un effetto benefico!
Con l’aiuto di Google traduttore, di qualche altra parola in russo ed un po’ di inglese che la mamma si sforza di usare, scopriamo quanti anni ha T., da dove viene, che lei e la mamma sono arrivate in ospedale da 2 giorni catapultate da una città fredda del profondo nord della Russia in una Italia sconosciuta dove a loro sembra estate anche se siamo in inverno.
Riusciamo a farci raccontare com’è composta la loro famiglia, cani e pesci inclusi, com’è il clima nella loro zona, e ci mostrano sul telefonino alcune foto della casa, della famiglia, del paesaggio. L’atmosfera nella stanza si è sciolta, alleggerita, la mamma è simpatica, espansiva, scherziamo sul confronto tra temperature Italia/Russia e sul fatto che T., da perfetta adolescente, adora stare incollata allo smartphone! Anche T. sorride e sembra apprezzare i nostri sforzi di comunicare.
Riusciamo a capire cosa T. desidera fare, ovvero disegnare e realizzare braccialetti, e le forniamo il materiale occorrente; T. non è interessata a proposte di giochi, mentre preferisce la lettura: mi impegno a cercare nella nostra Biblioteca qualche libro in russo (mi pare che almeno uno ci sia).
La sensazione, uscendo dalla stanza tra i saluti, i loro sorrisi e ringraziamenti, è quella di aver offerto, per quanto nelle nostre possibilità e sempre muovendoci in modo estremamente delicato e rispettoso, una accoglienza inclusiva e rassicurante a questa ragazza e sua madre precipitate in una realtà profondamente diversa dalla loro, in una situazione clinica che spaventerebbe chiunque, in ogni condizione.
Nel nostro ruolo di volontari abbiamo in effetti una posizione privilegiata: non siamo medici e operatori sanitari, guardati con speranza dai genitori ma spesso anche con timore o paura dai bimbi, bensì figure neutrali che offrono ascolto, supporto, sorrisi, giochi e attività ludico-educative, attenzione ed aiuto rispetto ai bisogni accessori, ma anche solo una presenza silenziosa. In breve, ci siamo, 7 giorni su 7, ogni giorno dell’anno.
Le esperienze che viviamo in questo contesto, a contatto con i bambini ricoverati e le loro famiglie, ci arricchiscono ogni giorno di emozioni ed insegnamenti preziosi… Ci insegnano a distinguere le cose veramente importanti da quelle futili e a saper apprezzare, valorizzare, ogni piccolo momento del meraviglioso dono che è la vita.
L’anno di pandemia, come benissimo spiega la nostra Presidente, ci ha momentaneamente allontanato – in presenza – dalle stanze del nostro Ospedale ma non ha fermato la nostra attività, l’ha trasformata e anzi resa ancora più determinata e focalizzata nel supporto, anche a distanza, ai piccoli pazienti e alle loro famiglie.
A novembre 2020, per celebrare tutti insieme il 30° compleanno dell’Associazione, ho creato una piccola filastrocca che in rima racconta di noi, dello spirito che ci guida:
C’era una volta,
ma per fortuna ancor c’è,
un’associazione
che si è fatta da sé
e opera instancabile
da ben 30 anni
all’ospedale
Papa Giovanni.
In Pediatria,
in mezzo ai lettini,
si prende cura
di famiglie e bambini:
propone attività, racconti, giochi
ai piccoli pazienti,
che non sono pochi…
In questi 30 anni,
con impegno e coerenza,
porta sollievo
alla sofferenza;
nel luogo dove
il dolore è condiviso
i Volontari cercan
di portare il sorriso!!
Guardando al passato
siamo contenti,
ma il futuro è davanti,
stringiamo i denti!
Siamo una squadra,
che soddisfazione…
BUON COMPLEANNO ADP,
una grande emozione!