Mutilazioni genitali femminili: «È ora di affrontare alla radice il problema della disuguaglianza di genere»

Oggi, nel mondo, almeno 200 milioni di donne e ragazze sono state sottoposte a mutilazioni genitali femminili, uno degli atti di violenza di genere più disumani al mondo.

Così, nella Giornata Internazionale della Tolleranza Zero contro le Mutilazioni Genitali Femminili (6 febbraio), Unicef, Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) e UN-Women riafferma l’impegno «a porre fine a questa violazione dei diritti umani, così che decine di milioni di ragazze che oggi rischiano di essere mutilate entro il 2030 non subiscano le stesse sofferenze di Mary».

Il riferimento è a Mary Oloiparuni. La ragazzina aveva 13 anni quando l’hanno tagliata. Rinchiusa in una stanza a casa sua, la mattina presto, dopo l’intervento ha sanguinato abbondantemente e provato un dolore insopportabile. Le cicatrici che porta continuano a provocarle dolore ancora oggi, 19 anni dopo, e hanno reso ogni parto dei suoi 5 figli un’esperienza straziante.

Per lei come per tutte le donne, le Mutilazioni Genitali Femminili, ovviamente, causano conseguenze fisiche, psicologiche e sociali di lungo periodo. Come sottolinea l’Unicef, «esse violano i diritti delle donne alla salute sessuale e riproduttiva, all’integrità fisica, alla non discriminazione e alla libertà da trattamenti crudeli e umilianti. Rappresentano inoltre una violazione dell’etica medica: le mutilazioni genitali femminili non sono mai sicure, non importa chi sia a praticarle e quanto sia pulito il luogo in cui vengono effettuate».

Mutilazioni Genitali Femminili, il fenomeno in cifre

Almeno 200 milioni di ragazze e donne vivono oggi nel mondo con le cicatrici di qualche forma di mutilazione genitale subita nel corso della propria vita. Altri 68 milioni di ragazze subiranno mutilazioni genitali femminili di qui al 2030 se non vi sarà una forte accelerazione nell’impegno per porre fine a questa pratica tradizionale.

Oltre 20 milioni di donne e ragazze in 7 Stati (Egitto, Sudan, Guinea, Gibuti, Kenia, Yemen e Nigeria) sono state sottoposte a questa pratica per mano di un operatore sanitario. Medicalizzare le mutilazioni genitali femminili non significa però renderle più sicure: si tratta sempre della rimozione o del danneggiamento di tessuti sani e normali, interferendo con le funzioni naturali del corpo di una bambina, di una ragazza o di una donna.

Attraverso il programma congiunto Unfpa e Unicef contro le
Mutilazioni Genitali Femminili:

Dal 2014 al 2017 il numero di mutilazioni genitali femminili praticate su adolescenti tra i 15 e i 19 anni di età è diminuito in 10 dei 17 Stati sostenuti dal programma. Dal 2008 al 2017, oltre 34,6 milioni di adulti in 21mila comunità hanno dichiarato pubblicamente di rigettare le mutilazioni genitali femminili.

Tra il 2014 e il 2017 circa 3,3 milioni di donne e ragazze hanno avuto accesso a servizi di protezione, prevenzione e cura dalle mutilazioni genitali femminili in 16 Stati (Burkina Faso, Djibouti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea, Guinea Bissau, Kenya, Mali, Mauritania, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan e Uganda).

13 Paesi (Burkina Faso, Djibouti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea, Guinea Bissau, Kenya, Mauritania, Nigeria, Senegal e Uganda) degli 17 che beneficiano del programma hanno varato leggi che vietano le mutilazioni genitali femminili. Normative nazionali analoghe sono imminenti in altri 3 Stati.

Una road map per eliminare le Mutilazioni Genitali Femminili

Come ricorda ancora Unicef, dato che la mutilazione genitale femminile è una forma di violenza di genere, non è possibile contrastarle in modo isolato rispetto alle altre forme di violenza contro le donne e le ragazze o ad altre pratiche nocive come i matrimoni precoci o forzati. Per porre fine alle mutilazioni genitali femminili, è necessario affrontare alla radice il problema della disuguaglianza di genere e lavorare per l’empowerment sociale ed economico delle donne.

Nel 2015, i leader del mondo sono convenuti sull’urgenza dell’eliminazione delle muilazioni genitali femminili, inserendola tra gli obiettivi di Sviluppo Sostenibile per il 2030.

«È un traguardo raggiungibile, ma dobbiamo agire immediatamente se vogliamo che questo impegno politico si traduca in risultati concreti», scrivono in un comunicato stampa congiunto Natalia Kanem, (direttore Unfpa), Henrietta Fore (direttore Unicef) e Phumzile Mlambo-Ngcuka (direttore UN Women).

«A livello dei singoli Stati – sottolineano – servono nuove politiche e leggi che tutelino il diritto delle ragazze e delle donne a vivere libere da violenza e discriminazione. I governi degli Stati in cui le mutilazioni genitali femminili sono ancora diffuse devono sviluppare dei Piani di azione nazionali per porre fine a questa pratica.

Per essere efficaci, questi piani devono prevedere però risorse di bilancio dedicate ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, all’istruzione femminile, al welfare e ai servizi legali. A livello di cooperazione regionale, occorre che le istituzioni e le comunità economiche sovranazionali collaborino per prevenire i trasferimenti di donne e ragazze verso paesi con leggi meno restrittive in materia di mutilazioni genitali femminili.

A livello locale, c’è bisogno di leader religiosi che smontino il mito secondo cui le mutilazioni genitali femminili hanno una base religiosa. Dato che spesso sono le pressioni sociali a mantenere viva questa tradizione, è cruciale che individui e famiglie ricevano maggiori informazioni sui benefici dell’abbandono di questa pratica.

Le manifestazioni pubbliche della promessa di abbandonare le mutilazioni genitali femminili – in particolare quelli promossi da intere comunità – sono un modello concreto di impegno sociale. Ma tale impegno deve essere abbinato a una strategia più ampia per contrastare le norme sociali, le pratiche e i comportamenti che giustificano le mutilazioni genitali femminili.

Testimonianze di sopravvissute come Mary aiutano a comprendere la triste realtà di questa pratica e l’impatto di lungo periodo che essa ha sulla vita delle donne. Campagne di sensibilizzazione e l’uso dei social media possono amplificare il messaggio secondo cui porre fine alle mutilazioni genitali femminili salva e migliora le vite».

Conclude il comunicato congiunto: «Grazie all’azione collettiva di governi, società civile, comunità e individui, le mutilazioni genitali femminili sono in declino. Ma noi non puntiamo soltanto a ridurre il numero di casi. Noi vogliamo arrivare a zero!».

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