Sara e Stefania raccontano il loro matrimonio: “Viviamo il nostro sogno”

Stefania e Sara, “due persone che hanno avuto la fortuna di incontrarsi” 10 anni fa. Si sono sposate nell’estate del 2015 a Londra, visto che in Italia non era ancora stata approvata la legge sulle unioni civili. La loro è una storia ricca di dialogo e riflessioni, dai quali passano la famiglia e la fede in Dio, componenti molto forti per entrambe.

Intervista realizzata in collaborazione con Paola Consolaro

Come è nata la vostra storia?

Stefania: “Ci siamo conosciute una sera, per caso, in un locale a Milano. Ero appena tornata dopo un anno in Croazia”.

Sara: “Una mia amica l’aveva puntata. Io non la vedevo bene perché era di spalle. Siamo andate a raggiungere il suo gruppo, la mia amica intanto era sparita e, per la prima volta, l’ho vista in faccia… sono rimasta subito colpita da lei”.

Stefania: “Io invece ero un po’ confusa, avevo lasciato la Croazia che sentivo come essere casa mia e non avevo in mente di conoscere una persona. Mentre lei si ricorda addirittura come ero vestita”.

Sara: “Io avevo appena finito una breve storia con un’altra ragazza. Avevo detto che le donne erano tutte pazze… poi ho visto lei”.

Stefania: “Da lì comunque ci siamo iniziate a frequentare, Sara ha finto di conoscere Milano benissimo per portarmi in giro”.

Sara: “Mi ha colpito subito di lei il fatto che non somigliasse a nessuno, si vedeva che era diversa da tutte le altre. Mi sono persa subito per lei”.

Stefania: “Io arrivavo da un’esperienza forte, ero stata anche con una persona poco prima e ho avuto molti alti e bassi verso Sara. L’ho lasciata molte volte all’inizio. Anche per carattere, avevo bisogno di più tempo rispetto a lei. E quello che stava accadendo tra noi era diverso rispetto a quello che avevo vissuto in passato. Ci sono casi in cui ci si vuole solo ‘divertire’, altri in cui si ha un’emozione fortissima e poi svanisce subito. Con Sara, invece, è stato diverso. Ci abbiamo lavorato insieme, ci ho lavorato io. È un sentimento che è cresciuto e, a un certo punto, c’era. Però non aveva quei classici segni che io prima associavo all’amore, ma che amore non era”.

Sara: “Io ho deciso che doveva essere mia… e poi è capitolata, negli anni. È normale che, quando due persone si incontrano, cerchino di capire se possono stare insieme e incastrare le proprie vite. Tu sei tu, con la tua vita e i tuoi valori. Ora siamo perfettamente incastrate… abbiamo avuto bisogno di un po’ di olio ma credo sia normale”.

Stefania: “Io sono sempre stata una testa calda. Ma in questo doversi trovare c’era anche il fatto che qui non mi sentivo a mio agio. Nel 2009 sono andata a studiare per un periodo a Portogruaro, così abbiamo vissuto per la prima volta a distanza. Poi mi si è ripresentata la possibilità di andare in Croazia e ho scelto di tornarci. Abbiamo pensato di vedere come sarebbe andata ed è andata, con tante difficoltà.

Ci siamo lasciate una prima volta: sembrava definitiva ma è stata utile per avvicinarmi a lei. Per la prima volta le ho detto ‘ti amo’. Poi ci siamo ritrovate di fronte a un bivio, io dovevo scegliere: o la Croazia, o Sara. E lì ho scelto. È stata la prima volta nella mia vita in cui facevo una scelta così definitiva. C’è stata una crisi molto profonda da parte di entrambe ma ne abbiamo parlato chiaramente:

Ci amiamo ma ci dobbiamo lasciare perché così non andiamo da nessuna parte e ci facciamo solo del male’.

Abbiamo avuto un momento di distanza, non siamo state insieme forse per due settimane… e io non sapevo più cosa fare di me stessa. Non riuscivo più a concentrarmi sul lavoro, non riuscivo a fare nulla. Così ho ammesso a me stessa come stavano le cose, dovevo stare con lei”.

Sara: “Avevamo parlato spesso del fatto che io potessi trasferirmi a Zagabria con lei, è stato sempre deciso tutto insieme. Nessuna delle due aveva mai chiesto all’altra di fare qualcosa perché riteniamo non sia giusto. Però ne abbiamo sempre parlato e ci siamo sempre incoraggiate a fare la cosa migliore per l’altra. Quando lei si è trasferita, io ero lì che la aiutavo a fare i bagagli. Perché per me era chiaro che fosse la cosa più giusta per lei.

Ero cresciuta con l’idea che non avrei mai vissuto una storia a distanza: avevo visto chi l’aveva fatto e che non portava a nulla di buono. L’anno che ha preceduto l’ultima volta che ci siamo lasciate è stato davvero difficile, anche perché abbiamo questo ‘vizio’ di comunicare: anche nei periodi di crisi ci siamo sempre parlate, anche dicendoci le cose che non è facile dire ad alta voce, né a te stesso, né alla persona che ami.

Insomma è stato un anno intenso e, quando ci siamo lasciate, sono state due settimane piene. Quando ci siamo risentite, però, ho fatto una cosa che non avevo mai fatto con lei: le ho chiesto di tornare. Dopo che ci eravamo dette ‘ci amiamo ma ci dobbiamo lasciare’, perché l’amore non basta sempre (però vince), le ho detto che l’amavo e le ho chiesto di tornare”.

Stefania: “Quel momento è stato di crescita comune e condivisione completa. Ho visto così concretizzato in un rapporto d’amore. Sono tornata ed è stato tutto molto spontaneo”.

Sara: “Abbiamo vissuto 5 anni a distanza, non era scontato stare bene insieme per più di pochi giorni. Perché fino ad allora la maggior parte della relazione era stata telefono, Skipe, treni… così quando ha deciso di tornare ci siamo trovate quasi per la prima volta insieme per più di una settimana. È stato come un atto di fede ma capivo che era scattato per entrambe qualcosa. Si poteva solo andare avanti continuando a fare quello che avevamo fatto prima.

Era l’inizio del 2012. Condividevo l’appartamento con altri due coinquilini e così per il primo anno e mezzo siamo state insieme in questa condizione, lei stava con me quasi tutta la settimana, il weekend dai suoi. Poi ho sentito l’esigenza di avere un posto mio. Ho trovato l’annuncio della nostra casa attuale. Abbiamo preso subito l’appuntamento, abbiamo deciso in un weekend e il lunedì avevamo già firmato il contratto”.

Stefania: “Non avevamo ancora parlato del vivere insieme ma quando sono venuta a vedere la casa ho deciso subito che dovevamo farlo. Da allora sono passati 4 anni. È stato tutto naturale”.

Sara: “Penso che i valori con i quali siamo cresciuti e l’esempio delle nostre famiglie, ci abbiano insegnato cosa significa stare insieme. Anche la scelta di questa casa ci ha trovato d’accordo, volevamo una casa in città dove gli amici potessero venirci a trovare comodamente, sotto ogni aspetto”.

Stefania: “Così è diventata una vita nostra di convivenza ed è diventato un accogliere nella nostra casa gli amici. È diventato il nostro nido ma aperto, e questo era il significato che volevamo dare al nostro essere casa”.

Sara: “Alla fine del 2013 poi, una domenica pomeriggio eravamo in camera a riposare. Ci siamo svegliate, abbiamo acceso la televisione, io intanto avevo il telefono in mano, mi giro verso di lei e le dico:

Mi sposi nel 2015?

E lei: ‘Sì, ok’. Io: ‘Giugno, luglio?’. E lei: ‘Va bene’. Insomma è stato tutto così naturale”.

Stefania: “Sapevamo di non poterci sposare in Italia, quindi abbiamo studiato dove fosse più semplice e siamo arrivate a Londra.  Due giorni dopo, poi, lo abbiamo celebrato in Italia. Per quanto si possa dire, non è stato certo semplice organizzare tutto.

Devi prenderti il tempo per preparare chi ti sta intorno. Gli amici lo sapevano e sono stati tutti felici ma c’era anche la famiglia, che per noi è fondamentale e volevamo fosse partecipe. Ognuno di noi ha fatto un proprio cammino con la sua famiglia, io ci ho messo molto più tempo con loro rispetto a Sara per parlare con i miei. Ne avevo parlato con mia madre nel 2011 e non l’aveva presa per niente bene: aveva già capito, come tutte le mamme, ma davanti alla realtà non ha accettato subito la cosa, poi ha iniziato ad accettare Sara. Poi c’era mio padre, al quale ho detto tutto insieme: ‘Sto con Sara e mi sposo’”.

Sara: “Dal momento in cui abbiamo deciso di sposarci è passato un anno e mezzo. Prima intanto sono scesa in Puglia dalla mia famiglia per parlarne, ci tenevo che i miei genitori lo sapessero prima dei miei fratelli. Mia madre è scoppiata a piangere e non capivo perché. Mentre con mio padre è andata così: eravamo a tavola e ho esordito dicendo ‘vi devo dire una cosa, però ci dobbiamo volere bene come prima eh’. Mio papà: ‘Certo, perché non dovremmo?’. E io: ‘Io e Stefania ci sposiamo’.

Mio papà ha abbassato la testa e ha continuato a mangiare. Non parlava. Aveva già visto come vivevamo e che ci chiamavamo ‘amore’ ogni secondo… ma mi ha detto che non aveva capito niente. Alla fine ci siamo detti anche delle cose molto belle e mi ha detto di essere orgoglioso dell’adulta che sono diventata. Mio padre è un uomo di fede, probabilmente si è sentito dispiaciuto per non aver capito la situazione e quindi non essere stato presente e vicino nel caso in cui avessi vissuto situazioni difficili in passato.

Mia madre invece è stata più pragmatica, ha tirato fuori una rivista ‘datata’ con abiti da sposa… ormai l’aveva archiviata avendo perso le speranze per l’unica figlia femmina. La cosa bella non è stata solo parlarne ma anche avere la sensazione che, da lì in poi, se ne sarebbe parlato senza mezze verità. Mia madre, nei mesi successivi, di tanto in tanto mi ha chiesto se fosse proprio necessario che ci sposassimo. Insomma, è stato importante prenderci il nostro tempo prima di sposarci: è vero che era il nostro matrimonio e non dovevamo dare retta a nessuno ma se includi le persone alle quali vuoi bene, anche tu stai meglio.

Dopo aver parlato con i miei ho fatto il tour con i miei fratelli. Avrei potuto prendere il telefono e dare l’annuncio ma ho preferito andare a trovare ognuno di loro (vivono tutti e tre in posti diversi d’Italia). Ci tenevo a comunicare bene l’importante novità e penso di esserci riuscita”.

matrimonio lesbiche

Per entrambe la fede in Dio è importante nella vita. Come affrontate l’approccio della religione verso l’omosessualità?

Sara: “Penso che la risposta sia molto personale. Io credo in Dio da sempre ma da anni ho smesso di credere alle religioni. Chi crede in Dio deve farne qualcosa di positivo nella sua vita, deve darsi l’occasione di essere più accogliente, di conoscere più diversità e mettere in pratica quello che Gesù faceva.

Come si sposa la questione con la religione? All’inizio male. Non è semplice accettare chi sei e renderti conto che avrai dei problemi perché lo sai che ci saranno quelli che proveranno a cambiarti, quelli che proveranno a farti il lavaggio del cervello, quelli che ti diranno che va bene ma di nascosto per non farsi vedere dagli altri.

Ho smesso di frequentare la chiesa che frequentavo a Milano perché mi sono resa con che, se avessi continuato, sarei finita per odiare Dio, perché sarebbe diventato l’impedimento a vivere la vita che volevo. Mi parlavano sempre del ‘timore di Dio’. Ma pensavo che non aveva senso non fare qualcosa per timore di Dio non aveva molto senso. Ho sempre voluto una relazione con lui quindi volevo amarlo, non limitarmi perché avevo paura di lui. Quindi ho deciso che avrei fatto a modo mio, vedendomela io direttamente con lui. Ora vivo con molta più serenità chi usa la religione per attaccare me e il nostro matrimonio. Anche se, sinceramente, non mi è mai capitato. Credo dipenda molto anche da come tu vivi la tua vita. Non penso di avere le riposte a tutto ma so come funziona per me. Soprattutto, ho smesso di cercare l’approvazione degli altri e questo mi ha permesso di essere una cristiana migliore”.

Stefania: “La vivo in maniera diversa da lei. Ho sempre avuto un rapporto difficile con la Chiesa. Mi ritengo una forte credente che non si ritrova in nessuna forma di aggregazione ecclesiastica. Quindi non ho mai vissuto la problematica omosessualità-Chiesa. Ma la fede, in passato, mi ha aiutata. Mi danno fastidio alcune posizioni ma non ho mai vissuto discriminazioni. Sono stata al Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere ndr.), il primo posto che mi ha fatto sentire ‘a casa. La cosa positiva che sto vivendo negli ultimi anni, è il fatto di vedere persone come i miei genitori o la vicina di casa dei miei, religiosissima, che ci adora. Ecco, lì vedo la fede ed è un punto di incontro e di dialogo tra me e Sara visto che abbiamo un background differente: io sono cattolica cristiana, lei protestante”.

Avete pensato di avere figli?

Stefania: “Ne abbiamo già parlato. Per ora è ‘no’. Diciamo che abbiamo la ‘fortuna’ di poter scegliere, non ti capita. Bisogna parlarne bene. Utero in affitto o no? Per ora pensiamo che potremmo adottare un figlio, qualora lo decidessimo. Come ogni aspetto della nostra relazione, anche per questa ne parliamo in modo approfondito”.

Tuo papà, Sara, ti ha fatto capire che gli è dispiaciuto non esserci stato in eventuali tuoi momenti difficili, anche di discriminazione. Ne avete mai subiti?

Sara: “No, ma so di essere stata fortunata a non averli vissuti. È innegabile che la discriminazione ci sia ma, evidentemente, mi sono sempre circondata da persone ‘giuste’. Negare che l’omofobia esista, però, è da folli”.

Stefania: “Io, per paradosso, ho accettato la mia omosessualità solo prima di andare in Croazia, avevo 25 anni. Si tratta di un paese ancora più ‘indietro’ rispetto all’Italia, nonostante abbiano avuto le unioni civili prima di noi. Però non ho mai subito discriminazioni. Per il resto, sono riservata e non mi piace fare effusioni in pubblico ma non le farei neanche se stessi con un uomo. Ci sono comunque situazioni in cui preferiamo evitare di tenerci la mano, ad esempio di notte, in luoghi più isolati… per tutelarci”.

Sara: “Neppure nessuna delle due ha avuto discriminazioni sul lavoro. Al nostro matrimonio c’erano anche i miei colleghi, è stata una festa per tutti. Certo, da piccola andavo nei locali gay, perché ti fa bene conoscere persone che condividono la tua ‘stessa condizione’. La vita però è quella di tutti i giorni, quindi devi trovare il tuo modo e il tuo equilibrio per viverla bene, in qualunque contesto, in famiglia, con gli amici, con i vicini”.

Come avete preso consapevolezza della vostra omosessualità?

Stefania: “Tardi, all’università. Mi sono innamorata della mia compagna, non ne ho parlato con nessuno ma avevo bisogno di sfogarmi. Finiti gli esami, ho avuto un anno sabbatico, crisi totale. A un certo punto, accetti e hai voglia di scoprire. E metti insieme tutti i piccoli aspetti del tuo passato… come notare le ragazze alla tv o avere il poster di Irene Grandi in camera. Poi ho avuto la fortuna di andare in Croazia e frequentare quindi un ambiente dove nessuno mi conosceva. Per quanto quell’anno sia stato molto difficile, il vivere la mia nuova condizione è stato molto più semplice”.

Sara: “Io avrei dovuto notarlo quando, alle medie, invece dei Take That mi piaceva Ambra Angiolini. Ma l’ho capito a 17 anni per una cotta assurda presa per una ragazza che veniva a scuola con me e che, ovviamente, era etero. Non è stato però semplice accettarlo e, quando sei adolescente, è sempre tutto estremo: sono andata in depressione perché l’idea che avrei vissuto senza quella ragazza mi lacerava. Penso a quel periodo con tenerezza. Era emerso in famiglia questo mio malessere, il cui motivo non era certo chiaro a tutti.

Sono stata per un periodo in cura da uno psicologo. E si è parlato anche di fede. Tutti mi vedevano come la piccola da aiutare, ‘Sara sta male perché prova delle cose particolari’. Quello psicologo è stato la mia salvezza perché mi ha detto:

‘Non esiste giusto o sbagliato, esiste malessere o benessere’.

Dopo quel momento ho avuto la mia prima storia a distanza e poi mi sono trasferita a Milano. C’è stato un momento in cui ho provato a… ‘essere normale’. Ho vissuto un periodo molto lungo in cui avevo deciso che il mio desiderio più grande era di avere un marito e dei figli, ho provato a uscire con dei ragazzi ma non funzionava proprio. Questo periodo è durato qualche anno.

Uscita dalla depressione, da ragazzina, mi ero fatta una grande promessa: di non ritrovarmi più nella condizione in cui speravo di morire. Quindi mi sono parlata: ‘Ora sei adulta e devi affrontare le cose diversamente’. Così è arrivata la pace”.

Tua mamma ti ha detto: ‘Perché vi dovete proprio sposare’? Cosa rispondete a chi ancora lo chiede?

Sara: “Perché è una scelta”.

Stefania: “Ero dell’idea, ‘fino a che non è legale, no’. Perché non avrebbe avuto senso fare qualcosa che non valeva sulla carta. Però, poi ho pensato che non dovevamo aspettare quello che era legale per gli altri, significava che qualcuno dicesse cosa era giusto o sbagliato fare della nostra vita. Per noi il matrimonio, per il valore che rappresenta e che abbiamo visto nei nostri genitori, è stato naturale”.

Sara: “Esatto, è stata la cosa che desideravamo più al mondo. È una cosa che ti scoppia dentro e, quando desideri tanto una cosa, non puoi ignorarla. Quindi è stato naturale e, per me, anche una dichiarazione. Non solo per noi ma anche per tutti, per il contesto”.

Stefania: “Per come abbiamo impostato il nostro matrimonio, doveva essere importante anche per chi ci circonda e quindi per la società. Non ha valore legale? Ma il nostro legame c’è, esiste ed è forte. In occasione del matrimonio, mio fratello, finalmente, mi ha detto che aveva capito. Quando gli avevo dichiarato la mia omosessualità, mi aveva detto che, se fossi stato un fratello, quindi maschio, sarebbe stato peggio. Durante il matrimonio ha capito davvero cosa volesse dire la nostra unione: amore, semplicemente amore. Amore come il suo con sua moglie.

Per noi significa che ci siamo fatte una promessa che non è la convivenza, non è lo stare insieme ma è qualcosa di più”.

Sara: “Se prima eravamo noi ad aspettare che l’Italia ci riconoscesse dei diritti, a un certo punto ci siamo dette ‘ce li prendiamo e diventiamo una coppia alla quale l’Italia deve qualcosa’”.

Vi sentite discriminate dall’Italia?

Stefania: “In parte sì. Prima che passasse la legge in Italia, era faticoso ottenere anche le cose più ovvie. Ci sono state però delle situazioni belle. Come quando a Sara hanno dato il congedo matrimoniale in azienda ed è stato il primo caso che ha aperto la porta anche per altre persone”.

Ora pensate di ‘unirvi civilmente’ in Italia?

Sara: “Sì, ci stiamo attivando per farlo. Dobbiamo chiedere che il nostro matrimonio in Inghilterra venga trascritto in Italia, stiamo aspettando il certificato tradotto in italiano. Poi vogliamo capire se ognuna delle due potrà aggiungere il cognome dell’altra. Ci teniamo molto”.

Qual è il vostro sogno?

Sara: “In parte lo sto già vivendo. Se penso a me, o a noi tra 10 anni, penso che possano cambiare delle cose ma quello che per me rappresenta un sogno è quello che viviamo ora”.

Stefania: “Ci stiamo ancora un po’ riprendendo dal matrimonio. E ora viviamo ‘di rendita’, siamo ancora colme di gioia dopo il matrimonio. E il sogno è il mantenere questa condizione”.

Che consigli dareste a una coppia che decide di sposarsi?

Stefania: “Dialogare e affrontare insieme anche le situazioni più difficili”.

Sara: “Bisogna avere consapevolezza, parlare tanto e non dare mai niente per scontato. Io cerco di conquistare Stefania tutti i giorni. È un corteggiamento continuo. E poi la cosa importante è che con gli anni si cambia e non tutti sono propensi al cambiamento ma può essere qualcosa di molto bello.

Sono anche consapevole che, se non stessi con Stefania, non starei così bene, perché stando con lei ho il desiderio di essere una persona migliore ogni giorno. Per cui, non bisogna fermarsi alle difficoltà, ma essere grato di ciò che sei e per quello che hai senza accontentarsi mai. Senza pensare “sono a posto così”. E non pensare che i momenti difficili vadano affrontati da soli perché anche quello vuol dire coppia, matrimonio”.

La vostra canzone preferita?

L’Isola che non c’è, di Bennato. Perché alla fine l’abbiamo trovata la nostra isola. Se ci credi, puoi combattere anche contro chi ti dice che non esiste e che sei scemo. È stata anche la canzone del nostro matrimonio”.

Copyright © 2016 Sguardi di Confine è un marchio di Beatmark Communication di Valentina Colombo – All rights Reserved – p. iva 03404200127

redazione@sguardidiconfine.com – Testata registrata presso il Tribunale di Busto Arsizio n. 447/2016 – Direttore Responsabile: Valentina Colombo