Stefania Bartoccetti, Telefono Donna: «È ora di dirsi “Mi merito una vita migliore”»

È attivo 24 ore su 24. 7 giorni su 7. Si tratta di Telefono Donna, associazione di volontariato nata l’8 marzo del 1992 grazie all’iniziativa della fondatrice, Stefania Bartoccetti. Presente all’interno dell’Ospedale Niguarda di Milano, accoglie le donne vittime di violenza e le accompagna in un percorso fatto di rinascita e riscoperta di sé.

Composto da un team di psicologhe e counselor, “Telefono Donna – si legge nel sito – si propone di creare il clima più favorevole affinché le donne ritrovino la propria stima, dopo essere state offese nella loro dignità. L’ascolto avviene nel modo più naturale, attraverso una telefonata alla nostra sede, che può dare inizio a un’altra storia di sé e prospettare soluzioni dove prima si vedevano solo vicoli ciechi”.

Negli anni accoglie sempre più donne, come mostrano i dati che ci inviano.

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Per conoscere da vicino le loro attività abbiamo intervistato la fondatrice, Stefania Bartoccetti (qui di seguito) e Angela, una donna che grazie a Telefono Donna ha preso in mano la sua vita.

Per contattare il centro antiviolenza Telefono Donna è sufficiente chiamare il numero 02.64443043/44

Telefono Donna Ospedale Niguarda Milano centro antiviolenza donne

Cosa vi sentite di dire alle donne che hanno paura a rivolgersi a voi temendo una ritorsione da parte del partner oppure di rimanere sole, senza neppure una sicurezza economica?

«Prima di tutto dobbiamo dire che, quando le donne ci chiamano e ci raccontano la loro vicenda, hanno sia paura che vergogna. In ogni caso, il nostro compito consiste proprio nel collocare queste persone in case o strutture private. In quanto centro antiviolenza abbiamo il compito di tutelarle e proteggerle.

Studiando caso per caso mettiamo in evidenza gli aspetti e le criticità più rilevanti per dare a queste donne la sicurezza che non ci siano rischi durante il loro percorso. Sono tutelate, è il nostro compito.

Certo, non si può parlare in modo generico, ogni caso è specifico. Ad esempio, se una donna arriva in pronto soccorso dopo aver subito delle percosse da parte del compagno con una prognosi superiore ai 21 giorni, si attiva in automatico la denuncia. Così noi, essendo collegati al pronto soccorso, passiamo alla procedura di tutela e non la facciamo rientrare a casa.

Tramite il Comune di Milano, inoltre, partecipiamo a “Work in Progress”, un progetto di Regione Lombardia per il sostegno delle persone che chiedono aiuto dopo essere passate dai centri antiviolenza. In questo modo le donne che hanno bisogno di un alloggio o di un lavoro ricevono dei contributi».

Quindi una donna, dopo aver effettuato il percorso tramite il centro antiviolenza Telefono Donna, è aiutata anche a rifarsi una nuova vita?

«Esatto. Si fa in modo che sia completo il percorso di ritorno alla vita normale. Però c’è da chiarire un dato: tante donne che si rivolgono a noi lavorano, sono autosufficienti e spesso mantengono i mariti».

C’è una “donna tipo” che si rivolge a voi oppure l’utenza è varia?

«È varia. Ci sono giovani, meno giovani. La fascia di età più presente è quella tra i 25 e i 50 anni. Insomma, donne nel pieno della vita. In questo caso, gli episodi di maltrattamento vanno a interdire lo sviluppo di se stessi, la crescita personale, la possibilità di costruirsi una famiglia e di proiettarsi in avanti.

Spesso la violenza disturba anche la crescita personale e i propri equilibri. Quindi, quando le donne vengono colpite in quella fascia di età, tutto il loro progetto di vita viene messo in discussione».

Immagino che l’affiancamento psicologico dei centri antiviolenza donne serva proprio a ricostruire questo equilibrio e una nuova visione di sé…

«Certo, è indispensabile. Altrimenti queste donne continuano a vivere con senso di colpa. Si chiedono cosa hanno sbagliato, cosa hanno fatto perché il compagno o il marito abbia questi comportamenti. Ovviamente questi uomini se ne guardano bene dal chiamarsi in causa e dal prendere in mano i propri limiti.

Quando si vive in una situazione di incomprensione, si cerca sempre di rimanerne dentro cercando la voce e la forza per dichiarare a se stessi di avere avuto ragione. Si spera sempre che lui chieda scusa. Ma, quando un uomo non ha rispetto per te, non ti sa dimostrare il suo bene e non ha fatto tesoro del senso dello stare insieme, non puoi aspettarti niente.

Devi avere il coraggio di recuperare un percorso di autostima e di farlo con l’aiuto di altri perché da sola non ce la fai. Queste esperienze azzerano completamente la persona, anche la più erudita, la più preparata e colta, la donna laureata, la donna affermata nel lavoro. Questo approccio di svalutazione sul piano psicologico (o di aggressione sul piano fisico) compromette anche la visione reale del rapporto con l’altro.

Quindi, è necessario dire a se stesse: “Mi merito una vita migliore. Non mi merito di vivere con la paura, con l’angoscia, con poca considerazione di ciò che sono e di quello che faccio”.

Certo, finché stanno dentro non trovano questo coraggio e questa lucidità: bisogna aiutare queste donne a uscire da quella dimensione, da quel rapporto, e fare in modo che trovino il coraggio di chiedere aiuto. Noi siamo qui per questo.

Poi, ci sono delle donne che non sono nemmeno consapevoli di essere vittima di violenza. In tantissimi casi incontriamo donne che hanno visto la madre stessa prendere botte o subire insulti continuamente. Quindi c’è anche un’abitudine ad un linguaggio senza rispetto. È il linguaggio che ha sempre sentito in casa e questo la porta ad accettare che il fidanzato inizi a darle della stupida».

A cosa si deve, secondo la vostra esperienza, il fenomeno dell’aggressione di uomini verso le proprie compagne?

«Non ho risposta, francamente. Certe aggressioni ai danni delle donne o dei figli forse non possono avvenire nemmeno nel mondo animale. Non so quale forma di cattiveria o di odio muova questi uomini. Lo trovo incomprensibile. Muovono sentimenti che tali non sono. Non me li posso spiegare.

Quest’estate ho visto una signora arrivare in pronto soccorso. Era salva per miracolo: dopo essere stata picchiata senza pietà, è stata cosparsa di cherosene. Non è partita la fiammella quindi si è salvata. Lui la voleva bruciare nonostante fosse la madre dei suoi 4 figli. Neppure le bestie si comportano così.

Alcuni uomini all’esterno appaiono precisini, per bene, corretti e composti. All’esterno sono uomini con approcci cordiali con il prossimo. Quindi queste donne sopportano e subiscono perché temono di non essere credute.

Se ci si limita alle amiche, alle sorelle, alle conoscenti si rischia di sentirsi sminuire: “Ho sopportato anche io, sopporta anche tu”. Molte dicono anche: “Salva la famiglia, cosa direbbero i tuoi figli”.

Non è facile ma si tratta sempre di iniziare a sapere che c’è un punto di riferimento. Se sai che esiste, provi. Da questo primo contatto può nascere il desiderio di farsi aiutare e iniziare una vita diversa».

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