Victor, dalla Nigeria: «La ‘bella vita’ è dove non c’è guerra»

Victor Fredrick è un ragazzo di 20 anni, originario del villaggio di Ebelle, in Edo, uno stato nel sud della Nigeria. È un migrante in attesa dei documenti in qualità di richiedente asilo e, come tanti altri, è arrivato a bordo di un barcone a Lampedusa, all’inizio del 2015. Dalla metà dello stesso anno, invece, risiede a Casa Onesimo a Busto Arsizio (Varese), grazie alla gestione della Cooperativa Intrecci. Così ha voluto essere fotografato insieme al suo educatore, Marco Piccione.

Intervista realizzata in collaborazione con Claudio Bottan

Un fratello, una sorella e la mamma compongono la sua famiglia mentre suo papà è morto 10 anni fa ed era sposato con un’altra donna. “Non sono mai andato a scuola – spiega – l’ho frequentata solo per 4 anni, ero in un villaggio. Quando mio papà è morto, mia mamma non ha potuto più mandarmi a scuola perché non c’erano più soldi. Così ho lasciato gli studi. A 12 anni sono andato in un’agenzia dove ho studiato per diventare saldatore per 3 anni e 6 mesi ma ho dovuto lasciare gli studi. Non avevo più soldi per prendere il diploma. Ho pensato che mia mamma non poteva aiutarmi, sono il figlio più grande. Ho pensato che non potevo pesare sulla famiglia visto che non c’erano soldi. Poi, avendo l’altra moglie, quando mio papà è morto, ho avuto problemi con lei: non accettava che l’eredità andasse solo a me. Così sono iniziati i problemi e me ne sono andato dal mio paese.

Sono andato in Lagos. Lì ho cercato un lavoro ma non era facile. Era difficile trovare lavoro anche a causa della presenza della “mafia”, almeno come la chiamate in Italia. Quindi non potevo stare lì e sono dovuto scappare in Libia. Arrivato in Libia, ho avuto tanti altri problemi”.

Come sei arrivato in Libia? Raccontaci il tuo viaggio…

“Sono arrivato in Libia prendendo un camion e una macchina. Il viaggio è durato 10 giorni, nel deserto. Arrivato in Libia, ho trovato mafia e guerra. Ho lavorato lì pulendo le auto e autobus. Ci sono stato un anno e 3 mesi”.

E già pensavi di venire in Italia o volevi restare lì?

“Volevo stare lì. Però volevo stare in uno Stato dove si stesse bene. Ma quando sono arrivato in Libia ho trovato tanti problemi, ho capito di non poter stare lì. Ci sono tanti ragazzi nella mafia, nella guerra. Quindi ho pensato di scappare dalla Libia ma, per farlo, avevo bisogno di soldi. Ho visto tanti ragazzi partire per l’Italia e sapevo che costava tanto ma non avevo nulla. Così il mio capo mi ha permesso di pagarmi il viaggio, al costo di 600 euro, in cambio del mio lavoro di circa un anno.

Ogni giorno c’erano problemi di guerre e liti. Mi sono ritrovato anche in alcune sparatorie (ci mostra una cicatrice di una pallottola sulla spalla ndr.). Sono anche stato in prigione”.

Come mai sei stato in prigione?

“Non ho mai fatto casino, non ho mai sparato, non ho mai partecipato a combattimenti. Ma in Libia mi sono ritrovato in situazioni problematiche. È pieno di mafia e tantissimi cercano soldi. Ci sono un sacco di furti”.

Quindi hai dovuto fare dei furti?

“Sì. Non ero andato a fare affari con loro. Volevo solo scappare dalla Libia. Mi sono ritrovato lì senza soldi e mi sono ritrovato in queste situazioni. Mi hanno messo in prigione e ho cercato di scappare… mi hanno sparato mentre fuggivo dalla prigione e la cicatrice sulla spalla viene da lì.

Ho anche una cicatrice al polso, per un accoltellamento”.

Questo taglio arriva dalla prigione?

“No. Mi trovato a lavoro, il mio capo non c’era. Sono entrati due ladri e hanno continuato a chiedermi soldi mentre io dicevo che non avevamo soldi. Abbiamo avuto una lunga discussione, quindi mi hanno detto ‘ok non hai soldi? Hai le mani? Hai le gambe? Hai cercato soldi per strada? Cosa hai a fare le mani? Sei venuto qui per rubare? Non vuoi usare queste mani per lavorare? Ok va bene’: allora mi hanno tagliato il polso come risposta.

Sono stato in ospedale ma lì i medici sono chiusi, vivono come animali, non c’è empatia.

Insomma la situazione era insostenibile, così ho parlato con il mio capo dicendogli che dovevo andarmene. Così mi ha detto ‘ok domattina vieni con me e andiamo vicino al mare’. Non avevo mai visto, solo una volta, le barche. E così sono partito.

Sono stato in viaggio in mare per due giorni. A Lampedusa sono stato 4 giorni, poi sono venuto a Milano, dove Marco, con gli altri ragazzi della cooperativa, sono venuti per prendermi. Sono venuto qui a Casa Onesimo. Ora, il prossimo mese, il 22, è un anno e sei mesi che sono qui. Sono arrivato a metà 2015. In Sicilia era l’inizio del 2015.

Per 5 mesi sono andato a scuola per imparare e studiare l’italiano, in una scuola a una mezz’ora da qui. Poi ho preso l’attestato di lingua, l’A1 e ora sto studiando per l’A2. Intanto ho fatto il mio curriculum e ho cercato un lavoro. Ho fatto il brevetto per guidare il muletto e non ho trovato nulla fino a quando ho trovato lavoro a Gerenzano. Tre mesi fa ho portato il mio curriculum e mi hanno ricontattato. Ho parlato con il capo e mi ha dato lavoro come magazziniere. Ma non è un lavoro fulltime, lo faccio due volte a settimana circa.

Stai aspettando i documenti per richiedente asilo?

“Mi hanno dato la risposta: negativo. Ora ho fatto ricorso”.

Quando eri in Libia e hai pensato di venire in Italia, che aspettative avevi? Cosa ti aspettavi dall’Italia? hai trovato quello che ti aspettavi?

“Ho pensato ‘magari c’è la bella vita’. Non si tratta solo di avere soldi. Significa uno Stato dove si sta bene e non c’è guerra. Non avevo mai sentito parlare di guerre o sparatorie in Italia. mentre in Libia o nel mio paese sì. In Italia, quindi, ho trovato ‘la bella vita’. Il problema ora è avere i documenti e trovare un lavoro. Ma non posso stare qui a Casa Onesimo. Appena avrò i documenti, voglio andare via. Voglio cercare un posto per me, voglio pagarmi l’affitto e fare la spesa da solo. Per ora sto andando ancora a scuola per parlare bene italiano. Voglio imparare bene questa lingua”.

Che sogni hai? Come ti vedi nel futuro?

“Non so il futuro. Voglio solo la bella vita e aspetto i miei documenti. Appena li ho, devo cercare un lavoro”.

E non vuoi rivedere la tua famiglia in Nigeria? Senti i tuoi familiari ogni tanto?

“Qualche volta, due o tre volte a settimana riesco a chiamarli. Mio fratello intanto ha iniziato a fare il sarto. Mia sorella invece è ancora piccola, ha 8 anni”.

E non pensi di tornare da loro?

“Me lo dicono sempre. Mi chiedono sempre quando torno. Ma io non voglio, non voglio andare lì. Magari in futuro sì, ci tornerò”.

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