Bah Alpha Mamadou, dalla Guinea all’Italia, racconta la prigione in Libia

Bah Alpha Mamadou ha 21 anni e da un anno e mezzo è ospitato a Busto Arsizio grazie all’associazione di CombInAzione. Nato in Guinea, è uno dei tanti migranti che ha deciso di lasciare il suo Paese di origine e la sua Africa alla ricerca di una vita migliore.

Il suo viaggio, come capita spesso a molti altri ragazzi immigrati dal Continente Nero, è stato sospeso drammaticamente prima della traversata via mare. Bah ci ha infatti raccontato la sua esperienza in prigione in Libia.

Ora in Italia e in attesa della conferma per poter restare definitivamente, ha già frequentato un corso di italiano e corsi di formazione professionale. «Ho vissuto in Guinea con la mia famiglia – ci racconta – Ho avuto un problema famigliare. Per questo sono voluto venire via dal mio Paese».

Come hai fatto a partire? È stato semplice?

«Se non fossi partito, sarebbe stato un problema. Sono partito con un motorino, l’ho preso per andare in frontiera. Lì ho venduto il mio motorino così ho potuto recuperare dei soldi. Sono uscito per il Mali. Quando sono arrivato in Mali sono stato una settimana cercando un’auto per andare verso l’Algeria. Arrivato in Algeria, sono stato lì per 4 mesi di lavoro. Poi sono uscito da lì per andare in Libia. In Libia sono stato un mese e due settimane in prigione».

Come mai sei stato arrestato in Libia?

«Il giorno in cui sono arrivato in Libia, in città, sono venuti per arrestarci tutti, tuti quelli che erano arrivati quel giorno sono stati arrestati. Quando ero in prigione, mangiavo una volta al giorno. Eravamo in sei con un piccolo piatto di pasta. Quando avevo un pugno o due di cibo ringraziavo Dio. Poi ho avuto la fortuna di scappare dalla prigione».

Eri maltrattato in prigione in Libia?

«Sì, ero maltrattato. Quando venivano a visitarci ci facevano male. Ci picchiavano con le armi. È difficile vivere lì dentro ma non hai possibilità di fare altro. Non puoi fare niente. Pian piano però riesci a trovare la possibilità di scappare».

Prima di arrivare in Libia sapevi che c’era questa situazione? Come hai fatto a scappare?

«No, non lo sapevo. Visto che eravamo in tanti, una mattina un amico ha guardato la porta. Ha visto che non era chiusa bene. Ha visto che quella mattina non c’era nessuno e tutti stavano andando via. Così siamo scappati tutti. Ci siamo trovati fuori. Mi sono incontrato con un maliano che mi ha aiutato ad arrivare vicino al mare».

Come hai fatto a partire in mare per l’Italia?

«Arrivato davanti al mare, ho chiamato la mia famiglia. Ho detto che ero senza soldi e ho chiesto loro aiuto. Intanto ero fuori dalla prigione, dormivo all’aria aperta. Mi sono serviti 500 euro per attraversare il mareLa traversata in mare è stata molto pericolosa ma ho avuto fortuna».

Hai avuto paura ad attraversare il mare?

«Sì, ho avuto paura ma preferivo venire verso l’Italia. Non potevo tornare indietro».

Prima di partire sapevi che sono morte molte persone in mare? Arrivavano queste informazioni da voi?

«Sì, lo sapevo. Ma ho preso lo stesso questo rischio. Pensavo: o muoio o vado in Italia. Preferivo rischiare di morire piuttosto di rimanere nel mio Paese».

Quando sei arrivato in Italia?

«Siamo arrivati in Sicilia, a Trapani un anno e sei mesi fa. Poi, dopo due giorni, mi hanno trasferito a Milano. Poi Marco (responsabile CombInAzione ndr.) e gli altri sono venuti a cercarci. Così siamo arrivati a Busto Arsizio».

Cosa hai fatto da quando sei arrivato in Italia? Come vedo, hai già imparato la lingua italiana…

«Sì, ho iniziato la scuola lo scorso anno a settembre. Dopo il corso di italiano ho fatto un corso di formazione professionale. Ho frequentato 6 mesi di formazione in floricoltura e 3 mesi di tirocinio».

Cosa ti aspetti dall’Italia ora?

«Mi piacerebbe rimanere qui perché vivo bene, senza problemi. Preferirei rimanere qui se l’Italia mi dà il permesso».

Che differenze ci sono tra la Guinea e l’Italia?

«È difficile spiegarlo per me. Nel mio Paese ci sono problemi etnici e politici. Ci sono frequenti scontri tra le due etnie principali della Guinea, Mandinka e Fula. Io non sento di appartenere a nessuna delle due. Qui in Italia vivo senza questi problemi».

Qual è il tuo sogno ora? Come ti vedi in futuro?

«Penso a tante cose per il mio futuro. Vorrei fare qualcosa, imparare qualcosa per il mio futuro per vivere in libertà. Voglio lavorare in Italia».

Ci lasci una canzone che ti piace della Guinea?

«Balieuzard di Miki Kobu».

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