Testimonianze di medici e infermieri in prima linea per combattere l'emergenza Coronavirus. Leggi.
Don Alberto Ravagnani, un giovane prete di un oratorio di Busto Arsizio (VA) si è reinventato YouTuber: unendo la sua capacità di raccontare con un linguaggio semplice e colloquiale al potente mezzo di comunicazione del web, i suoi video sono diventati virali riuscendo non solo a mantenere i contatti con i suoi ragazzi e con i suoi parrocchiani ma anche ad attirare follower e un gran numero di visualizzazioni da tutta Italia.
Quando è iniziata l’emergenza Coronavirus, anche la Chiesa ha dovuto mettersi in quarantena e sospendere tutte le sue attività ecclesiali cercando un modo per far sentire la sua presenza e rimanere accanto ai fedeli che proprio a causa della pandemia si sono ritrovati isolati e privati di ogni contatto umano. Spinti dalla contingenza del momento sacerdoti, educatori e consigli parrocchiali hanno trovato nei nuovi mezzi di comunicazione preziosi alleati per la trasmissione di Sante Messe, celebrazioni religiose, meditazioni, testimonianze, incontri comunitari e condivisione di riflessioni.
Si è scoperta così una Chiesa virtuale e social che ha permesso di mantenere il contatto diretto con e tra i credenti, che si è dimostrata al passo coi tempi facendosi riscoprire da non credenti e da chi si era smarrito nella personale quotidianità frenetica ma che ha fatto anche emergere risorse personali sommerse che si sono rivelate vincenti.
È il caso di Don Alberto Ravagnani, ventiseienne prete di un oratorio lombardo, che «dall’esigenza di rimanere in contatto con i miei ragazzi nonostante la distanza imposta dalla quarantena» ha reso concreta la sua idea di trasmettere valori religiosi su un canale YouTube: grazie al suo approccio giovanile e al suo dialogare “alla pari” con i suoi interlocutori, i suoi video hanno “una marcia in più” perché con un linguaggio diretto riescono a trasmettere concetti “classici” in un modo nuovo e originale catturando l’attenzione dei più giovani, arrivando agli adulti e facendosi ascoltare anche dagli anziani.
Un legame inaspettato quello tra fede/YouTube/web/social ma non così inusuale come mi spiega: «La fede è il rapporto che abbiamo con Dio e questo rapporto, se è sincero, va vissuto sempre e comunque… è quasi una conseguenza naturale il fatto che questo rapporto sia vissuto anche sul web. Anzi, per me che sono un prete il web è uno strumento di comunicazione e di testimonianza eccezionale».
Parole interessanti che aprono nuovi spunti di riflessione e che meritano un approfondimento partendo proprio dal conoscere chi è Don Alberto chiedendogli di parlarmi di lui a 360 gradi:
«Sono un giovane prete di quasi 27 anni, sono nato a Monza nell’agosto del 1993, ho frequentato il liceo classico e subito dopo la maturità sono entrato in seminario. Durante gli anni di seminario ho vissuto molte esperienze pastorali (in particolare quella nel carcere di San Vittore a Milano). Dopo l’ordinazione diaconale sono stato inviato nella parrocchia San Michele di Busto Arsizio, in provincia di Varese. Insegno religione al liceo scientifico Tosi della stessa città e da qualche mese ho aperto un canale YouTube con l’iniziale proposito di raggiungere gli adolescenti e i giovani, anche se mi rendo conto che i miei video sono guardati anche dagli adulti (e persino dalle persone più attempate). Di fatto si può dire che sono uno YouTuber perché ho un canale YouTube in cui pubblico regolarmente dei video. Mi piace leggere e fare sport».
«Gli argomenti sono i più disparati: dalla lettura alla creatività all’amore fino agli argomenti più strettamente religiosi. Ho parlato di rosario, di preghiera e del rapporto fra scienza e fede.
In generale voglio parlare della fede, voglio mostrare come la fede non sia una un’altra cosa rispetto alla vita ma è un certo modo di stare dentro la vita, un certo sguardo con cui guardare a tutta la sua esperienza. Il mio obiettivo è quello di presentare la fede come qualcosa di bello, che dona pienezza alla nostra esistenza».
«Sinceramente non l’ho ancora capito, ma mi rendo conto che è molto eterogeneo. Si va dai ragazzini delle medie (ma anche bambini del catechismo dell’iniziazione cristiana a cui le catechiste inoltrano i miei video) fino alle nonne».
«Francamente no e non l’ho cercato. Il mio proposito iniziale era quello di raggiungere i ragazzi che mi sono stati affidati e, anche se i miei video non sono più guardati di 50 persone ma da 50.000 o 100.000, io comunque tento di parlare avendo in mente e nel cuore principalmente loro».
«Sì, indubbiamente la mia giovane età ha favorito l’aspetto comunicativo ma in ogni caso credo che la chiave di volta della testimonianza dell’evangelizzazione di oggi sia proprio il linguaggio da utilizzare per parlare del Vangelo.
La comunità ha risposto molto bene, è molto entusiasta nel vedere che il loro Don durante la quarantena si è dato da fare e ha trovato un modo per poter continuare a parlare e rimanere vicino anche a loro.
I superiori, la curia, e persino la CEI hanno accolto con molto favore la mia iniziativa e anzi la supportano ri-condividendo i miei video sui loro canali social».
«Sicuramente il coronavirus si è permesso di farci riscoprire il significato della preghiera nel rapporto con Dio a livello personale. Se prima la preghiera rischiava di essere troppo mediata dalla comunità e dalla liturgia (che sono necessarie per vivere un rapporto autentico con Dio), adesso abbiamo avuto la possibilità di riscoprire un rapporto personale col Signore, da approfondire anche a livello comunitario ora che si può di nuovo celebrare l’Eucarestia insieme e vivere a contatto con le altre persone della comunità».
«Non saprei, è una questione molto personale, la preghiera è qualcosa di molto intimo e per questo è difficile trovare delle “ricette” e delle risposte che vadano bene per tutti. In ogni caso credo che dopo aver digiunato molto dalla preghiera comunitaria e dall’Eucarestia abbiamo sentito la mancanza di Dio nella nostra vita e adesso abbiamo la possibilità di riscoprirlo con più desiderio».
«I non credenti si sono misurati con le molte preghiere che la Chiesa ha proposto e trasmesso pubblicamente durante questa emergenza. Mi immagino che siano stati provocati da tutto ciò, ma poi ciascuno liberamente deve decidere se lasciarsi interrogare da quanto vede oppure se continuare a pensarla come l’ha sempre pensata».
«Credo proprio e spero di poter andare avanti anche dopo la fine delle della pandemia perché mi pare di aver trovato una strada promettente per annunciare il Vangelo».
«Ormai i mezzi di comunicazione web sono parte della realtà, sono perfettamente integrati con la quotidianità delle persone… non ha più senso parlare di reale e virtuale, ormai la distinzione verte su online e offline. Credo che questa pandemia ci abbia permesso di integrare sempre più nelle nostre vite l’aspetto online, permettendoci peraltro di renderci conto che le relazioni offline faccia a faccia sono decisamente e assolutamente meglio di quelle mediate da uno schermo. Il web ha delle potenzialità indiscutibili e nel momento in cui ci rendiamo conto di poter ascoltare meglio allora diventa una risorsa preziosa».
«Non tutti i legami online sono destinati a durare e a ri-svilupparsi offline.
È altresì vero che qualche relazione che è nata sul web a partire dei miei video è diventata reale in carne ed ossa… mi riferisco alle tante persone che mi hanno contattato e con cui è nata una qualche forma di rapporto di collaborazione, penso anche a diversi ragazzi di Busto Arsizio che sentendomi sui video hanno preso l’iniziativa per venirmi a parlare di persona».
«Spero proprio di sì; così come lo sono stati durante l’emergenza, credo che possano continuare ad esserlo anche dopo l’emergenza. Anzi credo proprio che dopo possano esserlo di più perché ogni azione pastorale non sarà solamente online ma sarà anche offline nel mio oratorio, nella mia scuola e negli altri luoghi. Nel momento in cui tutto questo verrà coadiuvato dai contributi online credo che le persone che mi sono affidate possano trovarne beneficio».
«Perché siamo individualisti. Perché ci concepiamo solamente a partire da noi stessi e abbiamo ingigantito a dismisura il nostro ego fino a fagocitare tutto quello che ci sta intorno. In nome dei nostri diritti individuali pretendiamo che il mondo giri intorno a noi, cambiando le proprie regole. In nome del nostro “io” ci dimentichiamo di Dio. In nome della nostra riuscita scavalchiamo la presenza dell’altro che sta di fronte a noi. Dovremmo tutti riscoprire che l’altro è necessario, che il tuo viene prima del mio, che nessuno si salva da solo e che la felicità non coincide con il successo individuale».
«Temo che questa pandemia abbia incrementato il senso di diffidenza nei confronti del prossimo ma d’altra parte abbia messo in risalto il desiderio di contatto, di prossimità, di relazioni e di amicizie che ciascun uomo naturalmente si porta nel cuore».
«Non ho una canzone preferita, così come non riesco a dire di avere nulla di preferito: nessun piatto preferito, nessun colore preferito, nessun film preferito. I miei gusti vanno a momenti, cioè in ogni momento della mia vita, ad ogni stagione, a tratti nella mia esistenza ho una canzone, un film, un libro che mi piace di più e mi provoca di più. Mi piace quello che è bello e quello che provoca la mia vita, suscitandomi emozioni e inquietando i miei pensieri».
Benvenuto in San Michele!
Un giovane appassionato lo aspettavo; l’oratorio San Filippo è un luogo storico, dove si sono avvicendati sacerdoti capaci di coinvolgere i giovani.
Sono stata catechista e non ho mai smesso di amare Gesù!
Dio la benedica in questo nuovo viaggio.