Le fasi della separazione e il coronavirus: legittimiamo i nostri pensieri

Questa quarantena somiglia proprio a una separazione. Una separazione dalle proprie abitudini, dai propri affetti, dalle proprie certezze. E così, come sottolinea la psicologa Alessandra Colombo nel suo blog, “può essere confortante evidenziare quali sono le fasi della separazione per capire e legittimare i nostri pensieri e le nostre sensazioni”.

“Molte di queste fasi sono peculiari anche perché ricalcano importanti meccanismi di difesa che ci aiutano a dare una forma e sedare (in parte) la nostra ansia” spiega la professionista.

“Immaginare che il covid non sia mortale perché un’altra malattia uccide di più (che poi, immagina la comorbidità), spostare dal piano salutare al piano economico, iper-impegnarsi o iper-“rallentarsi”, sono tutte modalità per dare un significato a ciò che stiamo vivendo, ma ciascuna appartiene a momenti differenti della presa di consapevolezza”.

Ecco quindi di seguito le fasi della separazione spiegate dalla psicologa Alessandra Colombo:

1. Shock – rimane tutto abbastanza ovattato, non si capisce nemmeno bene cosa sta succedendo.

2. negazione – negare l’evidenza. Un’epidemia è un’epidemia, una pandemia è una pandemia. Negarne l’essenza o l’esistenza aiuta (solo momentaneamente) a non sentirne il peso. “Non è pericoloso, è solo un’influenza, il cancro uccide di più. Non è nella mia zona, non toccherà nessuno qui. Non succede niente se faccio X o Y, fa male solo agli anziani”.

3. rabbia – emergono sentimenti di rabbia verso di sé, verso gli altri, verso il sistema o verso l’origine del problema. Spostare il focus del problema in un luogo preciso (che sia poi sé stessi o un altro) ci fa sentire come se potessimo in qualche modo conoscerlo, controllarlo. Non è possibile che non siano state prese immediatamente le misure giuste, le persone non rispettano le regole/sono arrabbiato perché non posso fare ciò che voglio.

4. contrattazione – è la ricerca di soluzioni non applicabili, riporta quasi ad un pensiero magico, come il fermare completamente le fabbriche (che magari producono proprio i macchinari di ventilazione, i beni di prima necessità o rispondono alle emergenze della popolazione), il ricercare significati nascosti che possano dare un senso e una parvenza di via di uscita nel breve periodo. Se dovessimo fare un esempio, anche paragonare il presente virus al virus della Spagnola (1918-1920) ha un fine di “controllare” l’andamento: se la spagnola è andata in quel modo, posso sperare che finisca in un anno anche questo.

5. depressione/tristezza – qui il grande tema, la grande onda. Si percepisce la sensazione di ineluttabilità. Si prende coscienza della parte più profonda di sé, della paura, della rabbia e dell’angoscia… e ci si rende conto che, ahimè, ce le dobbiamo tenere. E pure in casa. La tristezza emerge nel rendersi conto che la fascia a rischio sono i genitori, i nonni, noi stessi. Che ci sono persone – al di là dell’ego – che li hanno persi per sempre, e che magari non hanno avuto la “fortuna” di poterli salutare o di poter assistere al funerale (e vi ricordo che è con il culto dei morti che è iniziata la civiltà). “non li rivedrò a breve”, “spero di rivederli”, “non so se posso riuscire a restare tutto questo tempo in isolamento”, “non ho controllo su come finirà”.

6. accettazione – Piano piano, con il vissuto della tristezza e con una buona dose di tempo, si comincia ad attraversare l’accettazione. La consapevolezza di dover aderire a delle norme, la consapevolezza che siamo un granello in un oceano. Cominciano anche a prospettarsi soluzioni realistiche, iniziamo a pensare che – forse – non entreremo mai più in un aereoporto senza mascherina, o eviteremo di default assembramenti.

7. ritorno a una vita piena – che è differente e profondamente mutata rispetto alla vita idealistica che abbiamo cercato nella fase di contrattazione. Si comprende che qualcosa è profondamente cambiato: in noi, nella società, nell’economia, nelle relazioni. Non è per forza positivo. esattamente come nelle fasi del lutto: non tornerà tutto come prima. Ma apprenderemo nuovi significati. Avete presente la tanto famosa parola resilienza? Ecco. Impareremo a fare quello. Non sarà bello. Non sarà indolore. Ma creeremo nuove strutture di significato, nuovi progetti (profondamente mutati), nuove consapevolezze.

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