Giacomo Perini, campione paraolimpico: «L’impossibile è ciò che nessuno ha voluto ancora rendere possibile»

23 anni di forza e determinazione. Giacomo Perini è sinonimo di voglia di vivere, maturità e coscienza. Come da sua stessa ammissione, dopo tutto, tale grandezza d’animo è derivata (anche) dal cancro. All’età di 18 anni ha scoperto di avere un tumore al femore.

“Ho dovuto fare 9 mesi di terapie da ottobre 2014 fino a giugno 2015 all’ospedale Rizzoli di Bologna – racconta – Sono stato sottoposto a due interventi, uno al Sant’Andrea di Roma e il secondo al Rizzoli di Bologna, e ho fatto anche due settimane al San Filippo Neri per delle trasfusioni. Per mettere un punto a tutto ciò, quando a dicembre 2016 si è ripresentata la malattia alla gamba, ho deciso di amputare”.

Oggi Giacomo è uno studente di Scienze Politiche all’Università degli Studi Roma Tre, atleta nella nazionale paraolimpica di canottaggio e dipendente della Fitri (Federazione Italiana Triathlon). La sua storia la racconta attraverso numerosi mezzi: nel suo libro “Non Siamo Immuni: La vita è meravigliosa”, nel docufilm “Gli anni più belli”, nell’opera teatrale “I Fuori Sede” in collaborazione con l’Associazione Pancrazio e nel cortometraggio “Tu Come Me” dove emerge la sua amicizia con Federico Bugamelli, presidente della Pancrazio.

Grazie “all’evoluzione positiva che è nata da questa vicenda”, Giacomo punta alla carriera di life-coach perché – come ci ha raccontato in questa nostra intervista – “i limiti si affrontano con la consapevolezza di dover conoscere noi stessi e capire cosa vogliamo fare della nostra vita, poi tutto è possibile”.

Chi è Giacomo Perini?

«Sono un ragazzo che si divide tra studio, lavoro e attività agonistica, in particolare nel canottaggio. Prima della malattia ho fatto equitazione per 10 anni, dopo l’amputazione mi sono dedicato al canottaggio. Lavoro in una federazione sportiva e collaboro con il comitato paraolimpico.

Porto avanti anche altre attività legate a ciò che mi è successo: sto scrivendo un nuovo libro e collaboro con l’Associazione Pancrazio».

Nel tuo libro “Non siamo immuni” dici che quelli del tumore sono stati gli anni più belli della tua vita…

«Sì, è una frase forte e dà senso a 5 anni di malattia. Va presa con le giuste dosi. Il senso di quella frase è che mi è successo qualcosa che non ho deciso io, dentro c’è tutto il malessere e il disorientamento di un ragazzo di 18 anni che scopre di avere un tumore. Ovviamente è orribile, ti stravolge la vita in negativo e in positivo.

Dal momento in cui hai la fortuna – pur perdendo una gamba – di curarti, guarire, essere in follow-up e uscire da questo percorso, devi riuscire a vedere i lati positivi e ciò che può farti crescere.

Di fatti, è nata in me la voglia di impegnarmi nel civile e aiutare gli altri. Essendo stato circondato da amici, familiari, medici e infermieri, è maturata in me questa voglia di aiutare il prossimo ed essere un supporto e un esempio per gli altri. Ho iniziato, semplicemente, a raccontare come ho affrontato la malattia, facendo emergere la mia resilienza e la mia determinazione, e rispondendo alle domande delle persone che mi esternano i loro malesseri e i loro problemi.

Nel momento in cui lo affronti, il cancro ti insegna a vivere il quotidiano, a vivere il presente. Molto spesso siamo concentrati sull’incertezza del futuro o sulla malinconia del passato. Quando hai un tumore, non hai futuro: sei concentrato sui controlli, sulla chemio, sulle analisi. Quindi devi pensare all’oggi, devi cercare di far sì che la tua vita non diventi la malattia. Devi fare in modo di progettare la tua vita, vivendo ogni secondo: sai che un momento stai bene e il momento dopo potresti stare male. Questo modo di vivere intensamente il presente, capire chi sei e cosa vuoi dalla tua vita, è nato in me grazie alla malattia, grazie al fatto che ho dovuto affrontare una cosa più grande di me».

Cosa sono per te i limiti e come si superano?

«Mi sto convincendo sempre di più che i limiti esistono soltanto nella nostra testa. Credo molto nel voglio, nel posso e nel devo. Molto spesso siamo noi a non voler fare una cosa e ci poniamo noi i limiti per non farla.

Si diceva, fino a poco tempo fa, che una persona non poteva correre un miglio sotto i 4 minuti; i medici dicevano anche che sarebbe scoppiato il cuore. Quando un primo atleta ha corso un miglio sotto i 4 minuti, da quel momento ci sono stati tanti altri a farlo e senza problemi. Ora è normale. Molto spesso l’impossibile è semplicemente qualcosa che nessuno ha voluto ancora rendere possibile, che nessuno ancora ha fatto in quel modo. Il limite è solo qualcosa che ci imponiamo.

Il cancro me lo ha insegnato: la mia amputazione, per quanto sofferta sia stata, mi ha permesso di capire che avrei potuto di nuovo avere una carriera sportiva. Da una posizione fisica limitante, è nata una grande opportunità, quella di cominciare a fare parte della nazionale paraolimpica di canottaggio. Quindi i limiti si affrontano con la consapevolezza di dover conoscere noi stessi e capire cosa vogliamo fare della nostra vita, poi tutto è possibile».

Giacomo Perini campione paralimpico canottaggio osteosarcoma alla gamba

A parte il vivere fortemente il presente… i tuoi sogni per il futuro?

«Voglio dedicarmi completamente allo sport, attraverso il comitato paraolimpico e attraverso le federazioni. Voglio formarmi per poi formare gli altri in qualità di coach. Voglio fare dei corsi di crescita personale centrati non solo sul life-coach ma soprattutto sugli ambiti sport, benessere e disabilità».

Oltre all’ambito sportivo sei attivo nell’Associazione Pancrazio recitando te stesso in I Fuori Sede e in Tu Come Me. Quanto c’è di reale e quanto di inventato nel cortometraggio?

«La storia è molto veritiera. Tutto è romanzato ma i nostri caratteri e gli avvenimenti sono realistici».

Cos’è per te la vita?

«Per me la vita è amare. È quell’insieme di azioni per vivere ciò che desideriamo. Significa fare di tutto per far sì che possiamo realizzare la vita dei nostri sogni, con l’amore alla base. Perché, se non amiamo noi stessi, non possiamo amare la vita e tutto quello che concerne il vivere e la vita stessa».

Qual è la tua canzone preferita? Ce n’è una che associ al cancro?

«Al cancro posso associare “Ho Conosciuto il Dolore” di Roberto Vecchioni: il cantautore parla a se stesso della malattia in questo brano».

Copyright © 2016 Sguardi di Confine è un marchio di Beatmark Communication di Valentina Colombo – All rights Reserved – p. iva 03404200127

redazione@sguardidiconfine.com – Testata registrata presso il Tribunale di Busto Arsizio n. 447/2016 – Direttore Responsabile: Valentina Colombo