Giada, famiglia arcobaleno: «Il nostro valore, i nostri diritti, semplicemente vivendo»

Giada e Eleonora si amano da più di 5 anni, sono unite civilmente dall’8 luglio 2017 e hanno concepito una bimba, che oggi ha tre anni. Insomma, sono genitori “forti nella società attuale con la consapevolezza che anche la nostra è una Famiglia, con la F maiuscola”.

Un processo “tortuoso” ma pieno di gioia che ha condotto fino alla nascita della primogenita. Mancano ancora dei passi da fare, perché un figlio di una famiglia omogenitoriale (in Italia) non ha diritto a due genitori, solo a uno. L’altro deve adottare.

Eppure, anticipando ciò che racconterà Giada, una famiglia è tale sia perché gli obiettivi comuni convergono verso l’unico scopo di vivere la quotidianità, sia perché c’è stato amore a sufficienza per crearla.

Anche se questo viene spesso negato a livello politico, lontano dalle strumentalizzazioni, lasciamo testimoniare a chi vive una determinata realtà, quanta bellezza esiste in una diversità non così diversa.

Grazie a Vector, l’azienda nella quale Giada lavora facendo anche parte del “Diversity Team”, per averci messo in contatto.

Chi è Giada?

«Sono una ragazza di 36 anni che ha iniziato il suo percorso lavorativo in Vector quasi 18 anni fa. Sono una persona estremamente dinamica, non riesco mai a stare ferma e ho bisogno di essere stimolata dalle novità.

Mi sono unita civilmente con Eleonora e abbiamo una bimba che ha festeggiato 3 anni lo scorso aprile. È stato un percorso inizialmente tortuoso: per ovvi motivi burocratici italiani ci siamo dovute recare a Madrid. Per il resto, comunque, è andato tutto molto bene. Abbiamo fatto solo 3 tentativi per l’inseminazione artificiale. Quindi l’aspetto “tortuoso” è stato quello organizzativo.

Siamo entrambe legate alla nostra Italia: avremmo potuto sposarci all’estero ma abbiamo voluto attendere la Legge Cirinnà. Per la gravidanza, invece, abbiamo dovuto scegliere la Spagna. Ci siamo trovate benissimo, abbiamo trovato una situazione avanti anni luce a livello sanitario rispetto all’Italia. Lì infatti abbiamo trovato anche molte coppie eterosessuali o anche donne da sole.

È stato un percorso che penso intraprenderemo nuovamente a breve. È un progetto che richiede tempo, denaro, una buona complicità e una serie di tentativi e cure sanitarie successive relative. Dopo l’estate pensiamo di riprendere tutto per la seconda volta».

Quali sono state le maggiori criticità riscontrate per l’inseminazione artificiale? Quali quelle che non vi aspettavate?

«Prima di tutto l’avere le porte sbarrate in tal senso nel proprio Paese: questo ti fa sentire un po’ meno italiano, come se bisognasse sputare sangue per avere qualcosa di così naturale come la vita. Questo però non ci ha fermato. Essendo determinate verso il nostro obiettivo, siamo andate dritte per la nostra strada.

All’estero non abbiamo trovato difficoltà. Ci hanno messo sempre a nostro agio e abbiamo trovato personale preparatissimo con medici dedicati a pazienti italiani. La parte tortuosa è ciò che devi poi fare in Italia, la stimolazione ovarica e le cure. L’altro grande impedimento è quello economico: noi siamo fortunate e ce lo siamo potute permettere, ma non è sempre così.

Le cure da fare, in Italia, ovviamente non sono mutuabili. Mentre la mutua passa il farmaco a una coppia eterosessuale, noi l’abbiamo pagato 300euro. Sono costi elevati insomma. Ad ogni ciclo, siamo intorno alle 2.000euro. Tra la prima visita con il ginecologo in Spagna (quindi viaggio incluso), poi una media di 3 o 4 inseminazioni, arriviamo attorno alle 10.000 euro di spesa.

La parte poco prevedibile, ovviamente, è il discorso temporale. Quando sei pronta per l’ovulazione devi prendere un volo su due piedi, quindi ti dimentichi i viaggi low cost. Fortunatamente, nel nostro caso, Madrid è ben servita ma ci è toccato sempre prenotare il venerdì per il lunedì successivo.

Insomma questi aspetti sono da affrontare e non bisogna farsi prendere dall’ansia, bisogna viverla in maniera sempre serena. Ad esempio, abbiamo sempre cercato di unire la vacanza all’inseminazione, così da poterci anche rilassare e non affrontare l’esperienza di corsa.

Poi si ritorna all’Italia: ci aspettavamo alti e bassi ma, in realtà, abbiamo avuto pochissimi casi in cui ci hanno visto negativamente come due mamme. Però noi abbiamo sempre proseguito il nostro cammino: chi ci ama, ci segua. Chi non comprende, se ha voglia gli spieghiamo. Altrimenti non dobbiamo certo “giustificarci” rispetto all’aver semplicemente creato una nostra famiglia. Abbiamo creato una famiglia con i mezzi ora a disposizione in Italia: zero per la gravidanza.

La nostra bimba oggi ha 3 anni e ha già la sua consapevolezza di avere 2 mamme. Si fanno più problemi gli adulti dei bambini. L’anno prossimo inizia la scuola materna di impronta cattolica, il preside è un Don che conosce la situazione e non ha posto alcun problema in merito. Insomma, gli aspetti tortuosi restano solo quelli legati alla burocrazia italiana (perché per ora nostra figlia è, legalmente, solo figlia di Eleonora) e all’ignoranza di alcune persone rispetto all’omosessualità e non solo all’omogenitorialità».

Intanto, il Governo ha fatto un passo indietro annullando “Genitore 1” e “Genitore 2” sulla carta di identità…

«Il passo indietro iniziale è stato lo stralcio della Step Child. È stata la ferita che hanno voluto infliggere, oltre alla dichiarazione della mancata fedeltà che ritengono possa esserci all’interno delle coppie omosessuali. Quindi lì c’è stato un cambio di marcia.

Noi purtroppo non abbiamo fatto in tempo a far mettere sulla carta di identità “Genitore 1” e “Genitore 2” ma stiamo vagliando l’ipotesi “più legale” ora in Italia, ovvero l’adozione. Anche in questo caso ci siamo scontrate con l’iter burocratico, questione che mi innervosisce: in Italia, se vuoi i tuoi diritti, li devi comprare. Insomma, mi devo comprare la genitorialità di mia figlia.

Certo, se dovesse succedere qualcosa alla mia compagna, la sua famiglia farebbe di tutto per fare in modo che nostra figlia resti con me. Però, guardando il lato pratico, io non posso espatriare da sola con la bimba. Sono tante piccole questioni che non ti vengono in mente nella vita quotidiana ma, mettendole insieme, capisci come il senso di genitorialità venga macchiato in senso negativo nel nostro caso.

Insomma, l’adozione è l’unica via percorribile ora. Questo significa andare in Tribunale tramite avvocati arcobaleno preparati. Molti di questi casi, in prima udienza (almeno a Milano), sono stati rigettati. Quindi è interesse dei genitori dimostrare la vera quotidianità del bambino: devi dimostrare il contesto in cui abita, portare testimonianze di amici, familiari, personale dell’asilo. Così, il Tribunale, di fronte a evidenti testimonianze, può rilasciare esiti positivi, come è già stato.

Ancora una volta, anche questo ha un costo: siamo attorno ai 5mila euro. Insomma, sembra quasi si voglia andare a trovare la diversità nella non diversità e rendere l’omogenitorialità di nicchia. È la parte che mi fa più arrabbiare tra tutto.

Poi pensiamo a due uomini. C’è da affrontare la questione utero in affitto: devi avere almeno 50mila euro per procedere. Ovviamente non è essere accessibile a tutti. Questo mina il senso morale e della famiglia che è inestimabile».

Come vi siete conosciute tu ed Eleonora?

«Eleonora era fidanzata da 5 anni con un ragazzo prima di stare con me… ci conoscevamo già da prima giocando entrambe a calcio in squadre diverse. Sapevo che era fidanzata e non avevo mai avuto molto a che fare con lei… però me la ricordavo bene (ride ndr.).

Galeotto è stato un torneo di calcio in programma a Morbegno… io non avevo dato la mia disponibilità. Una ragazza della squadra, però, si è spaccata la tibia pochi giorni prima, così mi hanno richiesto di andare. Eravamo ragazze sia della mia che della sua squadra. Per evitare di dividerci tra le rispettive squadre, abbiamo deciso di fare ad estrazione per comporre le camere da notte… io ed Eleonora ci siamo trovare in camera insieme.

Così ci siamo avvicinate. Lei mi ha confessato di aver sentito attrazione verso di me ogni volta che mi vedeva anche se non si sapeva spiegare il motivo. Io sono caduta dal pero perché non me lo aspettavo assolutamente. Poi, tornate dalla trasferta, lei era “impaurita” vista la mia nomea di persona esuberante e piena di ragazze. Da parte mia invece, mi chiedevo dove potessimo andare visto che lei era fidanzata con un ragazzo.

In realtà, essendo innamorate l’una dell’altra, dopo pochi mesi ho dato l’ultimatum a Eleonora: non accettavo più di vederci solo ogni tanto. Lei, nel giro di due settimane, ha messo fine alla sua relazione. Dopo un mese già convivevamo e dopo otto mesi abbiamo concepito la bimba. In 5 anni siamo sposate, abbiamo cambiato casa e abbiamo una bimba di 3 anni».

Come hanno reagito le vostre rispettive famiglie?

«Per quanto riguarda me, non ho dovuto dire nulla ai miei genitori. È stata mia mamma, un giorno, a dirmi: “Giada, l’ho capito. Hai voglia di raccontarmi qualcosa? C’è qualcosa che ti fa stare male?”. Così mi sono aperta tranquillamente e non ho avuto particolari problemi. Mio papà, invece, ha un carattere un po’ più introverso. Però, essendo sempre stata la “piccolina di casa” (sono la terza di tre figli), alla fine mi ha sempre fatto sentire accettata.

La sua famiglia è la tipica famiglia nordica con 5 fratelli. I suoi genitori sono molto aperti ma sua mamma è molto di Chiesa. Quindi è molto aperta ma poco aperta ai cambiamenti radicali. Quindi Eleonora è partita raccontando la situazione ai fratelli che pensava potessero accettarlo più facilmente. Questa fase, comunque, è durata poco. Sua mamma l’aveva capito già da sola e così ne hanno parlato subito e pure lei lo ha accettato senza problemi.

Insomma, un percorso senza problemi per entrambe. Consideriamo anche l’età, io avevo 31 anni, lei 32 quando ci siamo spostate. Quindi eravamo già adulte e forse questo ha aiutato. Però dobbiamo anche ammettere che non tutti sono fortunati come noi, con genitori così aperti».

E la notizia di voler avere un figlio come l’hanno presa?

«I miei più che felici… e la mamma di Eleonora pure. In realtà, le prime “fisime” che si fa un genitore di una persona omosessuale sono legate alla non possibilità di avere figli. Ecco, proprio per questo, la mamma di Eleonora è esplosa di gioia e continuava a chiederci quando sarebbe arrivata la bambina.

I fratelli di Eleonora pure. Erano però più timorosi verso la società e si chiedevano che vita avrebbe fatto la nostra bimba vivendo in una società poco aperta. In realtà ora sono le due persone che promuovo proprio il fatto che “avere due mamme è strafigo”».

Quindi, come vive una famiglia omogenitoriale in Italia oggi?

«Partiamo dal fatto che noi ci poniamo poco il problema. Per noi è la nostra famiglia, punto. Nel momento in cui tu non hai ancora risolto qualcosa di interiore o ti senti “fuori legge”, significa che c’è qualcosa che non va dentro di te. Per fare un passo del genere devi essere consapevole che non sarà una passeggiata, che devi essere forte psicologicamente ma deve essere quello che vuoi.

Devi essere pronto non a fare una guerra o a combattere ma a far valere i tuoi diritti e il tuo valore di famiglia. Non facendo una battaglia ma semplicemente vivendo. Devi dimostrare, con la tua vita, che quella è la tua vita.

Quando porto mia figlia all’asilo, non mi pongo il problema. Sono più preoccupata, piuttosto, dall’aver dimenticato qualcosa a casa. Ecco, quella è la naturalità della famiglia: questo ti fa capire che sei pronto a vivere nella società attuale con una famiglia composta da due mamme, una figlia e speriamo un altro bimbo in arrivo. Quella è la differenza e il salto di qualità. Lo puoi fare quando hai risolto eventuali tue lacune interiori. Puoi essere genitore quando hai risolto prima gli altri aspetti della tua vita (tu in quanto figlio, amico, compagno etc).

A volte all’asilo ci chiedono: “In questa canzone dicono la parola ‘papà’, è un problema?”. Assolutamente no. Non chiediamo mai modifiche. Io stessa sono andata alla festa del papà, abbiamo scelto di farlo perché sappiamo quanto la nostra bimba stia bene in quell’ambiente e non vogliamo nasconderle nulla. Lei è perfettamente a conoscenza della questione. Lei sa bene che io non sono la “sostituta” del papà. Lei non ha un papà perché un seme non fa un genitore. E genitore è chi si prende cura di suo figlio, anche se non è suo figlio biologico.

Questo è il salto di qualità: essere sereni interiormente, non avere carichi pendenti forti a livello emotivo ed essere forti nella società attuale con la consapevolezza che anche la nostra è una Famiglia, con la F maiuscola».

Riguardo al tuo lavoro, invece: com’è vivere in un’azienda inclusiva, come Vector, dove c’è attenzione verso la diversità?

«Diciamo che quando sono arrivata, 18 anni fa, ero nella fase di accettazione della mia omosessualità. L’avevo compresa ma ero ancora alla ricerca di mie risposte interiori. Erano altri tempi ed ero appena diplomata. In ogni caso, non ho dovuto neppure fare coming out. Avevo capito da subito che il filone aziendale fosse quello dell’apertura alla diversità nonostante il “Team Diversity” non fosse ancora avviato.

Insomma, l’’attivismo e la vicinanza della famiglia di Roberto non ha fatto altro che innaffiare le radici e farmi crescere. Già allora, chi aveva una diversità da condividere poteva esternarla o vivere come volesse sentendosi comunque apprezzata. Per me è stato crescere in un ambiente che ha sempre rispettato la “diversity”. Così, tutti coloro con i quali ho avuto a che fare negli anni, all’interno dell’azienda, hanno percepito la mia “diversità”. Per questo non ho dovuto fare un vero e proprio “coming out”».

Concludiamo con la canzone tua e di Eleonora…

«Ti dico quella che ho fatto passare nel locale tutto per noi, con la complicità di un amico, quando mi sono inginocchiata con l’anello e ho chiesto a Eleonora di sposarmi: “Thinking Out Loud” di Ed Sheeran».

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