Ilaria – La mia famiglia nell’attesa

Ho iniziato questa lettera molte volte, e ad ogni inizio avevo in mente un argomento diverso di cui parlare. All’inizio ero concentrata su come sono cambiati i ritmi della mia vita. Ma in realtà ho scoperto che, in fondo, questo periodo di incertezza dopotutto è quasi l’estensione della mia forma mentis, perennemente indecisa sul da farsi, perennemente in fase embrionale.

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Io sono costantemente in attesa, progetto sempre di prepararmi per qualcosa di diverso. Mi conservo per un futuro ipotetico che poi non arriva mai, perché continuo a rimandare e rivoluzionare progetti, cambiamenti, decisioni per poi ritirarmi all’ultimo, quando effettivamente arriva il momento di agire. E questo perenne stato di attesa oggi è reale, condiviso da un numero indeterminato di persone, che, come me, attendono. Vivere nell’attesa, ora più che mai, mi sembra insopportabile. Leggere le parole degli altri mi ha però fatto sentire meno sola, meno in balia di me stessa e delle mie paranoie.

Per questo per iniziare – e finire – questa lettera ho rivolto lo sguardo fuori da me, per liberarmi da un’ansia patologica che mi impedisce di concludere qualunque cosa. Ho guardato mio fratello, mia madre e mio padre, con i quali sto condividendo questi momenti. Anche se a volte ci sono degli scontri, in questo istante c’è un’atmosfera pacifica.

Mio papà poco tempo fa era proprio qui davanti a me, seduto al tavolo, a leggere una vecchia rivista ripescata chissà dove. Lui non legge quasi mai. Non è proprio nelle sue corde prendersi un po’ di tempo e farsi compagnia con un libro. Eppure, qualche momento fa era lì, ad interessarsi di un vecchio articolo sui moti del ’68. Di solito cerca sempre qualcosa con cui impegnarsi perché in casa gira come un leone in gabbia. Da quando siamo costretti a casa ha sistemato mensole, ha fatto giardinaggio, ha messo a posto la mansarda, mi ha aiutata a ribaltare camera spostando armadio e librerie.

Io mi rendo conto che oggi è la festa del papà e non gli ho fatto niente. Ora lui e mia mamma sono in cucina, stanno cucinando il pranzo. Sarebbe più corretto dire che lei cucina e lui segue direttive, ma il punto è che osservandoli mi danno l’impressione di essere una giovane coppia che scopre il piacere di fare qualcosa insieme, e la mia presenza sembra quasi intrusiva.

Mio fratello, informatico, lavora da casa. Fa gli orari di ufficio, e, quando stacca, inizia puntuale il suono della sua chitarra elettrica, segno che ha finito e che si è svestito dei panni da impiegato per vestire quelli da musicista (metal). Quando lo sento so che sono le sei di sera, ha sostituito il ruolo delle campane della chiesa. Nel mettere a posto camera mia, sotto al letto, ieri ho trovato un tema che aveva scritto in prima media. Parla di noi, della nostra famiglia, e non ha escluso né cane né gatto.

In effetti, ci sono anche loro nel mio quadro: Diana, il mio cane, sonnecchia nel giardino, si gode i raggi di sole. Il mio gatto Sushi mi sta rivolgendo uno sguardo fisso e irritato perché tra poco è momento di pappa e nessuno lo sta considerando. C’è da dire che il tono tragicomico con il quale mio fratello ha descritto di ciascuno di noi nel suo tema è esemplare, di gran lunga migliore del mio. Probabilmente lo tirerò fuori stasera per leggerlo ad alta voce.

Mi rendo conto che questo momento di attesa ora mi ricorda più l’atmosfera dell’ultima vacanza che fai con la tua famiglia, consapevole che negli anni futuri probabilmente le vostre strade si separeranno, tuo fratello andrà in università in un’altra città, forse tu andrai a vivere da un’altra parte. Per ora, io ho concluso questa lettera proprio grazie a loro, che condividono l’attesa con me, un’attesa che solo all’inizio di questa lettera aveva un aspetto molto diverso.     

Ilaria

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