In questo periodo di grande incertezza, tutti noi proviamo delle forti emozioni, ma a volte non sappiamo come comunicarle. A volte la vergogna ci blocca. Altre volte nascondiamo a noi stessi di provare nuovi sentimenti. E pensiamo di essere gli unici spaesati o impauriti. Così, noi di Sguardi di Confine abbiamo pensato di lanciare un’iniziativa che possa dare a tutti la possibilità di condividere, distanti ma vicini, i propri pensieri più intimi. Con “Uno Scambio di Sguardi”, proponiamo a tutti i nostri lettori di scrivere una lettera a un “compagno di quarantena”. Sarà un modo, lento e meditato, attraverso il quale poter rielaborare le proprie emozioni, mettendole “nero su bianco”, per effettuare ciò che noi abbiamo affettuosamente chiamato, appunto, uno “scambio di sguardi”. Sguardi che però sono emozioni. Non solo quelle negative, panico, angoscia, ansia, paura, ma tutta la gamma è chiamata in causa. E i benefici in questo gesto terapeutico della scrittura sono tanti: sentirci vicini ora che siamo lontani; condividere con qualcuno, in uno spazio protetto, le emozioni che proviamo; identificarci con le paure altrui per sentirci meno soli; prendersi del tempo per metterle in forma scritta e “rallentare” il pensiero, rallentando così anche le emozioni; trovare qualcuno che ci ascolti e ci legga.
Dato che ormai la routine è interrotta, facciamo insieme qualcosa di straordinario. Diamoci una briciola di speranza e positività a vicenda.
Se vuoi partecipare, prima leggi le parole di qualcun altro, giusto perché il confronto con almeno un’altra persona ti permetterà di gestire meglio le tue emozioni. Se sei sopraffatto, sfogare solo negatività, per un’altra persona che legge può essere deleterio. Quindi misura, dosa, calibra le tue parole e fallo con l’affetto che riserveresti al tuo migliore amico. Ci vuole tatto per stabilire un contatto. Puoi scrivere ciò che vuoi, ma lo scopo è quello di prendere qualcosa di negativo e controbilanciarlo con qualcosa di positivo. Trova almeno una briciola di bellezza per ogni paura che hai, questo il consiglio che sentiamo di dare. Poi, scrivi ciò che vuoi e noi di Sguardi di Confine ti leggiamo volentieri, ti ascoltiamo e così come con le nostre interviste, diamo voce a te. Il motto di Sguardi di Confine è “dove il sentiero è tortuoso e la via non è ancora tracciata”. Il sentiero di questi giorni è in salita, non lo si può negare, ma insieme possiamo tracciare una via di parole per salutarci. Salutare veramente.
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21 Ottobre 2020
Quando a marzo la direttrice di Sguardi ha lanciato l’iniziativa “Uno scambio di sguardi” e mi ha invitato a scrivere una lettera a un “compagno di quarantena” per rielaborare ed esprimere le mie emozioni durante quella nuova situazione di lockdown, io ho sempre rimandato. Non perché non avessi nulla da dire ma proprio il contrario, avevo mille pensieri per la testa e non riuscivo a organizzarli; chi mi conosce lo sa che io sono un vulcano di idee sul momento però poi ho bisogno di tempo per rielaborare tutto a mente fredda, farmi un’idea sicura e trarne gli insegnamenti del caso. Così è stato anche in questa situazione e solo un paio di mesi fa ho realizzato bene la mia difficoltà dei mesi della prima ondata di pandemia.
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I mesi primaverili stando sempre in casa mi sono pesati a livello fisico, ma per il resto pensavo di essermela “cavata bene” sia perché essendo già abituata a lavorare da casa non sentivo molta differenza rispetto a prima, sia perché avendo molti cari amici che abitano lontano già prima non uscivo molto ma anzi con le videochiamate, le riunioni su Zoom e gli aperitivi su Skype è stata un’occasione per sentirmi più partecipe e unirmi in amicizia a loro ancora di più!
Riflettendo in quei mesi mi sembrava di vivere un enorme paradosso: “lontani ma vicini”, “distanti ma uniti” erano due degli slogan che andavano per la maggiore in quel periodo. Due frasi cariche di significato ma che forse non ho capito nel profondo proprio perché sono già abituata a vivere una quotidianità a distanza; questo fino a giugno quando è potuta iniziare un’estate “anomala”. Al mare in Puglia, in un paesino dove non avevano avuto grossi problemi di Coronavirus nei mesi precedenti, ho vissuto delle settimane allegre senza l’obbligo della mascherina e dove qualche abbraccio con persone che non vedevo dall’anno precedente, devo essere sincera e dire che è scappato. In quelle settimane ho vissuto una sorta di normalità che quasi mi ha fatto dimenticare mascherine e distanziamenti, finchè sono tornata a casa ed è stato quasi automatico avere sempre la mascherina e mantenere la distanza da tutti, è stato allora che ho realizzato che la cosa che mi è mancata di più durante il lookdown è stato l’abbraccio, il contatto con l’altro (del resto l’uomo è un animale sociale, come avevo già scritto in un articolo a maggio): una mancanza che mi ha sfinito lentamente e di cui mi sono resa conto solo quando dal mattino alla sera ne sono stata privata nuovamente!
L’estate continuava e pur continuando a stare attenti e a rispettare le norme anticontagio si iniziava a vedere la classica “luce in fondo al tunnel”; fino alla seconda metà di agosto quando i contagi hanno iniziato una lenta risalita. Sul banco dell’accusa sono finite prima le vacanze con la voglia di libertà e la voglia di normalità, e subito dopo i comportamenti scorretti di certe persone che non rispettavano le regole sottovalutando il rischio; mi sono chiesta se fossero inconsapevoli o incoscienti o forse ero io troppo paurosa? Queste le riflessioni dopo le vacanze estive che si sperava fossero a conclusione di mesi di fatica e sconforto e invece negli ultimi quindici giorni c’è stata un’impennata di contagi e subito nuove restrizioni con lo spettro giornaliero di ulteriori chiusure e limitazioni. Ma i contagi aumentano sempre più e anche se dicono che questa seconda ondata sia diversa dalla prima, che gli ospedali sono più liberi e che tutti noi siamo più preparati ad affrontarla, torna l’incertezza a fare da padrona, la precarietà sul domani e la diffidenza verso tutti.
È vero che bisogna vivere nel qui ed ora ma è anche vero che bisogna conoscere il passato per affrontare il presente con uno sguardo al futuro; questo clima di vivere alla giornata avendo l’insicurezza di quali nuove restrizioni ci saranno in vigore da domani mattina ci fa ben capire il senso della poesia “Soldati” di Giuseppe Ungaretti:
Soldati
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
Con questi versi il poeta Ungaretti voleva esprimere la condizione e le emozioni dei soldati in trincea durante la Prima Guerra Mondiale paragonando la loro condizione di incertezza a quella delle foglie sugli alberi pronte a cadere da un momento all’altro durante i mesi autunnali.
Mi è venuta in mente questa poesia per descrivere l’angoscia e il senso di precarietà che sto provando in questi giorni: il non poter programmare se domani potrò andare in palestra per la necessaria fisioterapia, le voci di imminenti coprifuoco serali, la preoccupazione generale per la triste situazione economica e l’idea ventilata di un lockdown in occasione delle feste natalizie fanno letteralmente tremare una persona positiva e sognatrice come me.
Mentre scrivo queste riflessioni alla radio sento la canzone “Me la caverò” di Max Pezzali e penso che certamente dovremo rimboccarci le maniche e rispettare le limitazioni ancora per molti mesi ma che alla fine ce la caveremo e usciremo probabilmente provati, ma vincitori dalla guerra contro questo nemico invisibile: “Me la caverò, proprio come ho sempre fatto con le gambe ammortizzando il botto. Poi mi rialzerò, ammaccato non distrutto”.
Valentina
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22 Aprile 2020
Cara, anzi carissima amica mia,
chi avrebbe mai pensato, solo qualche mese fa, che una distanza logistica come quella che ci divide diventasse una distanza insuperabile? Già quando tu sei partita per un’altra città diversi anni fa, mi sembrava che il nostro allontanarci fosse uno strappo quasi viscerale, innaturale…
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Tu e io, cresciute, anzi, maturate all’ombra dei nostri crucci ma anche alla luce calda dei nostri segreti, delle nostre opinioni comuni. Tu, però mi avevi rassicurata: “Vedi? con qualche ora di treno o di auto ci possiamo incontrare. Oppure, facciamo metà strada ciascuna e scegliamo un posto a metà distanza e poi ci sono i telefoni, Skype”.
Eh già, la più forte de ottimista sei sempre stata tu. O meglio, lo eri perché poi, con il passare del tempo e le difficoltà della vita, anche tu hai perso il tuo modo di vedere il bicchiere pieno a metà e ti sei trovata debole, smarrita, a volte anche inquieta e malinconica.
Ora questi stati d’animo sono comuni a tutti, seppure con differente intensità. Le notizie allarmanti, rafforzate da numeri sconfortanti di decessi, la visione di città svuotate e silenziose, come in un film di fantascienza, ci hanno reso a poco a poco timorosi e fatto sentire indifesi e incapaci di trovare misure di lotta efficace. Tutti dobbiamo “Stare a casa” per evitare che il contagio di questo virus misterioso e letale si espanda più di quanto non stia già facendo e dobbiamo stare lontani da chi non vive in casa con noi. Ciò vale per genitori e figli, parenti vari e amici. Viaggiare? Un verbo svuotato di qualsiasi significato che non sia quello dell’estrema necessità. Per cui ogni distanza, anche quella di qualche decina di chilometri, diventa una barriera insuperabile ora.
Io e te ci sentiamo per telefono e condividiamo questo comune senso di solitudine e smarrimento. A me una cosa che colpisce moltissimo è il silenzio: ogni mattino, al risveglio, sono ancora dopo 5 settimane di lock down (blocco, isolamento, chiusura…), stupita di sentire solo il cinguettare degli uccellini che hanno il nido là, sull’abete a sinistra della finestra della camera.
Tu vivi in periferia di una metropoli e per te magari non è così insolito non sentire rumori la mattina: sei al 12esimo piano e hai le finestre insonorizzate. Ma per me… non avvertire rumori di motori o il vociare dei ragazzi che vanno a scuola è davvero strano. Anche tu mi confermi però che Parigi è spettrale: chiusi i negozi, i bistrot, le brasserie: fermi i mezzi di trasporto, strade deserte. Ci viene fatta notare la bellezza delle città e dei musei con droni e video che mostrano innumerevoli capolavori in tv… Ma forse proprio per questo siamo ancora più consapevoli, se possibile, di quanto abbiamo perduto. Voglio cambiare verbo e dire “abbiamo lasciato”, nella speranza di un ritorno alla… “normalità”.
Spesso penso, come te, che la normalità del poi sarà forse una normalità diversa; sarà difficile ritornare alla marea di persone negli stadi, ai concerti, alle feste paesane, al carnevale… a tutte quelle occasioni di vicinanza, anzi di contatto fisico più che vicino. Ma forse, saremo anche noi diventati diversi: questo periodo che ci sembra di vivere da un lasso temporale lunghissimo, che ci ha privati delle nostre abitudini quotidiane fatte di tanti piccoli e grandi gesti e spostamenti, questo tempo “immobile e ripetitivo” che ci priva degli spazi e della libertà perfino negli affetti e nel modo di manifestarli, che ha segnato scie di lutti e di dolore, ci farà ritrovare l’entusiasmo per una passeggiata, per una cena tra amici, per una visita ad un parente o semplicemente per un abbraccio e una carezza. A lungo nulla sarà più dato per scontato e tutto assumerà un aspetto nuovo. Vedi? La primavera sta esplodendo e mai come ora ci intenerisce il boccio del geranio sul balcone, la fogliolina fragile del gelsomino, il tulle rosa sugli alberi da frutto.
Forse solo ora siamo consapevoli che stavamo nel giardino dell’Eden ma che non siamo stati dei buoni giardinieri e abbiamo distrutto tutto quello che potevamo, che siamo noi a essere i primi e terribili nemici dell’uomo.
E’ una lezione durissima quella che ci viene imposta senza deroghe e senza sconti e siamo pentiti. Ma ci ha anche insegnato a fare i conti con gli sprechi di cibo e di cose: ognuna è diventata preziosa poiché reperirla non è più facile come prima e tutto ha assunto una diversa importanza.
Tutti i nostri begli abiti, scarpe, accessori… come ci sembrano inutili ora! Chissà se poi ci riapproprieremo della voglia di indossarli, chissà se vivremo davvero una nuova vita, inimmaginabile solo qualche settimana fa se non sugli schermi del cinema… Resteranno invece e più forti le passioni che abbiamo: viaggiare, conoscere nuove civiltà, nuovi orizzonti ma, soprattutto, coltivare il giardino degli affetti perché sono il nostro bisogno primario che mai come adesso sentiamo irrinunciabili per la vita.
Avevamo avuto il beneficio di non vivere una guerra e la scienza e la tecnica avevano raggiunto mete impensabili, ci sentivamo padroni del mondo o quasi e questa caduta che non guarda il livello di benessere o di sviluppo di una nazione, né il clima, né l’etnia, ci ha reso tutti più consapevoli della realtà e di tutto quello che conta davvero.
Chi ci ha preceduto è scampato alla peste, alle guerre, alla spagnola… sarà questione di tempo ma anche per noi ci sarà la fine del periodo che stiamo vivendo: bisogna solo cercare, ora, di non sprecare neppure questo tempo immobile: io, come te, leggo, scrivo, faccio movimento in casa e penso… che vivere è già di per sé un privilegio.
Comunque ti saluto con un… a presto…
Gabriella
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19 Aprile 2020
Non ho certamente la pretesa di esser in grado di portar conforto a chi, in questo buio periodo di tempo, ne avrebbe assolutamente bisogno.
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Più di qualche abituale frase di circostanza (coraggio, animo, andrà tutto bene, ecc…) non sarei in grado di pronunciare. Mi limito quindi a esporre il mio pensiero, il mio credo, che nelle piú gravi situazioni della mia vita mi ha sempre validamente sostenuto.
Nella nostra esistenza appaiono in continuazione due energie, una negativa e una positiva, che costituiscono la base essenziale di ogni succedere. Queste energie hanno entrambe la loro importanza, sono interattive, e non si differenziano qualitativamente. Solo noi umani avvertiamo ”differenze”, attraverso la nostra educazione siamo portati a giudicare, a classificare ogni cosa in bella o brutta, in buona o cattiva.
Amiamo l’arcobaleno ma non il temporale che lo precede, cerchiamo il divertimento ma ci pesa il sacrificio, accettiamo cioè, in pratica, solo ció che ci avvantaggia. Imparare ad ACCETTARE. Ecco il segreto per non soffrire. Un segreto che ha le sue origini nell’arcaico Tao, nella saggezza di Laotse. Il nostro periodo di permanenza su questa terra è limitato, OGNI nostra esperienza, sia essa positiva o negativa, serve a formare e consolidare la nostra coscienza, cioè quella parte di noi che sopravviverà, per unirsi nel contesto universale. Ecco perché ogni esperienza è in fondo da considerarsi positiva, istruttiva e necessaria.
ACCETTARE è la parola magica! Anche l’attuale buio momento svilupperà un suo aspetto positivo, oltre a rafforzare la propria formazione, servirà a far ritornare un poco di umanità in questo mondo ormai fin troppo esasperato, dove i veri valori stanno quasi scomparendo.
Questa impostazione mentale mi ha accompagnato per buona parte della mia vita, ed aiutato a superare ogni difficoltà. Ho 76 anni, sono nato in guerra, ho sopravvissuto 2 volte nel giro di 20 anni al cancro linfatico, e sono stato 3 volte sul punto di morire, godendo di 3 meravigliose esperienze pre-mortali.E continuo con tranquillità ad ACCETTARE tutto.
Piero
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17 Aprile 2020
Su proposta di una cara amica scrivo una lettera che ha come mittente i giovani, non molto colpiti da questo flagello del Covid19.
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Io credo che la loro generazione potrà scoprire un’umanità più paritaria. Mi auguro che gli uomini e le donne assieme si guardino senza distinzioni, senza rancori e pregiudizi e possano essere invece come guardiani della Terra, che lasceremo loro non in condizioni ottimali. La natura, che si fa padrona delle nostre vite, dovrá essere allo stesso modo trattata: con rispetto e lungimiranza. Non deve valere la legge del “vitello d’oro”, del guadagno facile e a tutti i costi ma della perseveranza della vita, nel contesto di altre forme vitali da tenere in considerazione e rispettare.
L’uomo deve imparare ad ascoltare anche le voci deboli, degli indiani d’America, che al superlativo vivevano in armonia con la natura. Dalla lettera del capo indiano Seattle al Presidente Franklin Pierce: “Quest’acqua scintillante che scorre nei torrenti e nei fiumi… è il sangue dei nostri padri” – sepolti nella terra – “tutte le cose respirano con la stessa aria… l’aria divide il suo spirito con TUTTI quelli che fa vivere… Tutte le cose sono legate fra loro. Dovete insegnare ai vostri figli che il suolo che calpestano é fatto delle ceneri dei nostri padri…. la terra è la madre di tutti noi”.
Aggiungo: finché la possiamo abitare….
La voce dei poveri del mondo – che, se lo sono è perché c’è anche un’opposto formato dai ricchi – si esprime così: “Se si muore nel Terzo Mondo sembra una normalità, la sofferenza sembra che spetti solo a noi, nessuno si cura di noi e del nostro benessere, solo perché il guadagno non c’è, non si ha nessuna utilitá”. Semmai l’utilità è nel vendere loro le armi per distruggerli. Ebbene, molti dicono ora: a cosa servono le armi se non abbiamo quelle per difenderci dal virus?
Uomo che può essere grandioso quanto minuscolo, rimani quello che sei col cervello ma anche col cuore: pensa e crea ma anche e sempre col cuore. E se crei, non creare per distruggere, perché la distruzione non porta buoni frutti. Sii buono con te stesso e con quello che ti circonda.
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14 Aprile 2020
Ciao papà,
in questi tempi strani, dai ritmi rallentati, mi sono ritrovata a pensarti più del solito.
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Non so se tu abbia modo di sapere quello che sta succedendo su questo pianeta che hai lasciato qualche anno fa, in fondo se non lo sai è meglio così.
Piuttosto mi sono chiesta che cosa avresti pensato, cosa avresti detto di questa situazione pandemica…
Non negli ultimi tuoi anni, che ti costringevano a casa, perché poco per te sarebbe cambiato visto il tuo distacco dal mondo esterno.
No, mi chiedo come avresti reagito quando, ancora in piena attività lavorativa e spinto dai tuoi molteplici interessi, ti fossi trovato – come me – ad affrontare così ampie restrizioni della libertà personale, una condizione di arresti domiciliari che poco si concilia con il nostro spirito di andare, viaggiare, scoprire, stare nella natura.
Nostro, perché molto ti somiglio sotto questo aspetto, pur con una vita vissuta e presente totalmente diversa rispetto alla tua.
Come me, che pure mi adatto con grande, quasi camaleontica facilità alle diverse situazioni in cui mi ritrovo, avresti sofferto di non poter uscire liberamente, e anche solo l’idea di non poter prendere l’auto o un aereo per viaggiare ti sarebbe sembrata inconcepibile.
Invece è così.
Ecco, a proposito di Natura, io credo che stia mandando un messaggio inequivocabile, a livello mondiale. L’abbiamo maltrattata, inquinata, abusata, sfruttata oltre misura e questo è un segnale molto chiaro di ribellione, solo l’ultimo in ordine di tempo dopo i recenti casi di incendi diffusi, eventi atmosferici catastrofici, invasione delle locuste in Africa, ecc…
Cosa c’è ancora che non abbiamo capito? A me sembra lampante. E quindi mi fa rabbia lo scempio che si fa della Terra: una sola, ne abbiamo.
Io nel mio piccolo cerco di essere ecologica, rispettosa; sorrido pensando che da piccola ho imparato grazie a te a fare la differenziata in tempi non sospetti, quando ancora non esisteva come pratica diffusa e condivisa. E ora la cosa che più mi pesa è proprio non poter stare in mezzo alla natura, fare una camminata in montagna, sentire i profumi del bosco, godere dei paesaggi, dei colori, dei suoni e dei silenzi che ogni ambiente naturale offre a chi li sa apprezzare.
Sono sicura che su questo tema saresti stato totalmente d’accordo con me.
Sai papà, credo di non aver passato tanto tempo in casa da quando ero in maternità dopo la nascita di Gaia, e forse nemmeno allora!
Strana associazione di idee, ma solo perché di quel periodo ricordo vagamente la sensazione di essermi sentita un po’ come in gabbia…
Ovvio, nulla a che vedere con quanto stiamo vivendo oggi.
Dopo l’angoscia che ha dominato nelle fasi iniziali e poi cruciali di questa inaspettata pandemia, si è fatto strada anche in me un timore rispetto ai tempi difficili che ci attendono per uscire da questo pantano.
L’ottimismo che da sempre mi contraddistingue mi induce a sperare che ne usciremo imparando qualcosa, altrimenti il prezzo altissimo che abbiamo pagato sarà stato invano.
Papà, sappi che appena si potrà tornare a viaggiare uno dei miei obiettivi è andare in Giordania, splendido Paese che hai visitato e di cui hai sempre parlato con grande entusiasmo.
Non so quando sarà, ma prima o poi stai certo che lo farò e dopo ti racconterò come, affrancati dal Covid-19, torneremo a uscire e guardare questo Mondo – mi auguro – con occhi nuovi.
Tua Laura
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13 Aprile 2020
Le mie pareti sono il cielo azzurro tappezzato di nuvole da forme squadrate, tante quanti sono i quadri su di esse.
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Un angolo del nuovo cielo accoglie foulard dai colori dell’arcobaleno. Il sole che combatte delle nuvole attraversa la finestra adornata da tende svolazzanti e il suo colore, il suo calore, all’interno si posano. Il divano e la poltrona danno movimento e forme a una insolita collinetta adagiata sul mio pavimento dal verde e fiorito prato ammantato.
Un plaid quadrettato a un angolo di prato ho adagiato. Sul plaid poi, la mia tovaglietta bicolore che già vivande nel cesto ha protetto. Nel cesto prelibatezze aspettano in bella mostra e in attesa d’essere gustate: l’ancora caldo tegamino con i finocchietti, in uno strofinaccio infiocchettato è lì in bella mostra a sfidare la buona frittata di carciofi. Le attorniano uova sode, pane fatto in casa, taralli al vino, un coniglietto in pan brioche da mia nuora donatomi, vino e verdeca.
È un tripudio di colori, odori, sapori. Metto tutto fuori e mentre mi invento un commensale a me di fronte seduto, comincio ad assaporare le bontà a me concesse. Il pasto è abbondante e saporito. Tutto italiano. Il vino riscalda il mio cuore. Mangio piano, ogni boccone, ogni nuova pietanza è un ritornare indietro alla mia terra, ai suoi odori, i suoi sapori, nel mentre mangio; osservo attorno il quadro da me composto e odo il sottofondo naturale del cinguettio degli uccelli, loro sì, liberi di volare e cantare al cielo. Continuo ad assaporare il cibo. Aspetto di concludere il tutto con i miei taralli nella verdeca inzuppato. Chiudo gli occhi per brevi istanti. So che il cesto non è reale, come tante altre cose. I finocchietti, ad esempio, sono solo finocchi. Ma ho realizzato quel che ho potuto e mi sembra tutto vero.
È troppo bello questo sentire. Sì, mi sembra di sentire nelle narici l’odore dell’erba di fresco calpestata. E sto bene adesso. Mai avrei pensato di poter creare questa atmosfera. So che a crearla è la fiducia immensa che ho: il mio sentire di oggi è solo il preludio a una naturale vita che ritornerà com’era e, forse, migliore. Perché i sapori, gli odori, li cerco oggi più di ieri, quando erano scontati e inascoltati. Domani, lo so… non saranno più scontati ma cercati, anelati e rivissuti appieno.
Buona Pasquetta mondo. Ci rivedremo ancora e sarà tutto più bello.
Maria
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11 Aprile 2020
Questo potrebbe essere l’anno più scioccante nella vita di molti della mia generazione, una generazione che non ha vissuto guerre o carestie, né è mai stata privata della propria libertà di scelta prima d’ora.
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Oggi forse è stato il giorno più caldo dall’arrivo della primavera quest’anno. Da quando sono venuta ad abitare in Piemonte, quattro anni fa, ogni primavera è passata tra ricordi gioiosi di passeggiate in campagna, da sola oppure in compagnia di amici. Raccoglievo fiori selvatici che non saprei chiamare, portandomi a casa un po’ di vita fresca e colori e conservandoli in fotografie scattate a caso con lo smartphone o più seriamente con la fotocamera. Mi ricordo in particolare quelle passeggiate di fine pomeriggio, quando il sole lentamente affondava nell’orizzonte, e i campi di grano giovane, erbacce e fiori innocenti cominciavano ad avvolgersi in quest’aria un po’ magica e acquosa, con le zanzare e gli insetti che vi fluttuavano, languidi. Ricordo la sensazione quasi surreale e i colori delicati dell’aria, un misto di azzurro, rosa pallido, lilla, marrone, grigio e oro tenue, come se fossero note prolungate di una musica di violino che respirando vibrava nell’atmosfera.
Le colline dietro sembravano ingrandite in ogni dimensione, come se osservate attraverso una lente speciale. Stringendo forte il mio cuore con questa dolcezza, sulla via del ritorno a casa ero spesso piacevolmente sorpresa (anche se in fondo, segretamente, ci speravo) dalla luna crescente e la sua candida curiosità.
Stanotte la luna sarà piena, completamente piena. L’ho controllata ieri notte. Ma stavolta non potrò andare fuori ad accoglierla con le mie braccia aperte; posso solo salutarla malinconicamente dalla finestra della mia stanza. Questo pomeriggio sono andata fuori a comprare un po’ di frutta e verdura al negozietto vicino casa. Mentre aspettavo in fila, a un metro di distanza dalle altre persone, con la mascherina che appannava continuamente i miei occhiali a ogni respiro, ho intravisto dall’altro lato della strada le cime delle montagne innevate. Loro sono ancora qui, in un silenzio solerte, né più tristi né più felici.
Non sentono la nostra mancanza. Non la sentono nemmeno i campi, la luna, le montagne, né la natura stessa. Mi chiedo spesso, se non ci fossero gli umani ad osservare la bellezza che la natura offre ai nostri occhi, sarebbe un enorme peccato e spreco? Così tante creazioni umane nelle forme di poesie, canzoni, film e ricerche scientifiche sono state dedicate a questa grande bellezza, e così tante imprese – di viaggi zaino in spalla, viaggi per famiglie e di gruppo, pacchetti turistici di lusso, di qualche influencer trendy sul viaggiare – si basano sul desiderio umano di scoprire la natura. La verità, però, è che noi abbiamo bisogno della natura molto di più di quanto essa abbia bisogno di noi.
Ieri ho guardato un documentario sulle aquile reali e sugli avvoltoi barbuti delle Alpi francesi e del parco nazionale del Gran Paradiso. La bellezza e la crudeltà degli animali selvatici e dei loro predatori, che devono sopravvivere condizioni climatiche avverse e geografiche improbabili, su montagne così alte, mi hanno sempre affascinata. Gli animali sanno come attenersi alle regole della natura. Solo gli umani le ignorano e sono capaci di distruggere l’armonia stabilita dalla natura, mettendo in pericolo non solo se stessi ma l’intero pianeta.
Perché gli umani sono così pericolosi? Non lo sono apposta, almeno penso, per la maggior parte del tempo. Sono solo egoisti, ma in una misura molto maggiore che nel regno animale. C’è un grande elemento di distinzione tra umani e animali, da un punto di vista sociale e psicologico, ed è il potere del desiderio. Desiderare è proiettarsi nel futuro e immaginare le condizioni che rendono felici, e queste condizioni diventano l’oggetto del desiderio nel presente. Le persone possono desiderare perché hanno la nozione di tre diverse dimensioni temporali; possono distinguere il passato, il presente e il futuro, origini di emozioni problematiche come desiderio, pentimento, preoccupazione, delusione e disperazione. Gli animali non hanno desiderio o altre emozioni così forti perché non distinguono le dimensioni temporali per via dei loro cervelli (quando li hanno), non sviluppati quanto quello dell’uomo; hanno solo quel primordiale istinto di sopravvivenza, e i loro bisogni biologici del presente. Una volta che hanno ciò che serve loro per vivere e riprodursi, sono in totale pace con le loro vite.
Non c’è niente di malvagio nel procurarsi un po’ di felicità ogni tanto, ma una felicità basata sulla continua soddisfazione di desideri inestirpabili non può che portare a profonda infelicità, se non a veri disastri. Anche se è probabile che sia proprio per questa capacità di desiderare che gli umani siano progrediti al punto di saper volare fino alla luna, immergersi negli oceani più profondi, inventare ricette così buone che nessun animale potrebbe mai immaginarsi, e tutti quegli strumenti finanziari che nessun animale saprebbe usare, e tutte quelle lingue diverse e metodi di comunicazione (canzoni, lettere, telegrafi, telefoni, email, banda larga, satelliti, 5G, realtà virtuale) e tutte le complessità di mode, trend, ideologie, unicorni, hashtag, blockchain, AI…
Come gli umani continuano a inventare e progredire, così i loro desideri crescono sempre più, chiedendo sempre più risorse naturali. Siamo troppo ubriachi del nostro progresso e accecati dalla soddisfazione dei nostri desideri egoisti per vedere che in realtà stiamo distruggendo il futuro della nostra specie. Non dico che questo devastante COVID-19 sia una vendetta da parte della natura. Sarebbe troppo semplice e naïve. Ma credo davvero che sia una buona opportunità affinché ognuno rifletta sulla propria vita, prima di fare piani per il futuro.
Non sentite che durante questo noioso isolamento forzato, la vostra vita sia in realtà diventata più semplice? Tolte le ore in cui ci si sente profondamente disturbati e rattristiti dalle notizie sugli incrementi di casi positivi o di defunti, ci si potrebbe poco a poco rendere conto che si presta più attenzione ai piccoli dettagli della vita quotidiana, un consiglio che viene sempre dato e poi mai seguito finora. Andare al supermercato per la spesa settimanale diventa una specie di sfida fisica e psicologica, perché lì fuori da qualche parte il microvirus potrebbe aggirarsi e bisogna essere davvero attenti e prendere tutte le dovute precauzioni per proteggere se stessi e le proprie famiglie. Ed essere coraggiosi e mentalmente stabili. Vi siete mai sentiti così felici e ricchi come quando portate a casa riserve di cibo e pensate che voi e le vostre famiglie siete al totale riparo per la prossima settimana, siccome non dovete rischiare di nuovo la vita uscendo fuori? Non state parlando molto più spesso con i parenti lontani e gli amici, anche di dettagli sordidi come i pasti, e riprendendo contatti con vecchi amici in qualche continente o cerchia sociale perduti? E non ho mai visto così tante persone condividere la propria infinita gioia nel trovare un sacco di farina o del lievito dimenticati in qualche angolo. Mentre per quelli che vivono facendo shopping, offline oppure online, visto che ora non c’è modo di andare fuori nei loro nuovi outfit, spero che abbiano trovato il tempo per fare cose più significative.
Un’altra cosa, per me che lavoro perlopiù come freelancer, è che l’isolamento rappresenta una situazione particolare nella quale sia io che le altre persone solitamente molto impegnate a lavorare in ufficio cinque giorni a settimana (senza parlare dello stile di vita “996” in Cina) siamo a casa. Niente più apparenti differenze. Forse lavoro meno di chi ha un lavoro fisso e fa smart-working, visto che la mia mole di lavoro è crollata a causa dell’attuale crisi, ma almeno quella che prima era un’onnipresente, inconscia colpa di stare a casa – anche se in alcuni periodi lavoravo molto intensamente – è svanita come per miracolo. Ho anche involontariamente diminuito il tempo trascorso su Facebook, WeChat, WhatsApp, Telegram, Instagram, ecc., se non per messaggi urgenti da famiglia, amici o lavoro. Dato che la maggior parte del globo è chiusa in casa, ci sono poche novità nelle loro vite e meno distrazioni.
In questo mese di isolamento forzato, realizzo che molte delle insoddisfazioni verso la vita e verso noi stessi vengono in realtà dall’impulso di paragonarci costantemente agli altri, di volere le stesse cose, le stesse esperienze, gli stessi successi, oppure cose migliori, esperienze migliori, successi migliori. Il nostro desiderio, in questa continua competizione, diventa distruttivo e fonte di malessere. Ancora peggio è che se tutti seguiamo questo circolo vizioso, il mondo degenererebbe in una spirale che gira sempre più veloce fino all’inevitabile collasso o esplosione.
Forse il COVID-19 è un misterioso appello dal nostro sconosciuto a rallentare e rigenerarci. Questo appello costa morti e sangue, attraverso punizioni e sacrifici. Non a tutti è richiesto di combattere in prima linea. Quello che tutti possiamo fare è almeno lavorare su noi stessi. Questo periodo di difficoltà finalmente dimostrerà che non abbiamo bisogno di così tanto per sentirci felici. Al contrario, dobbiamo smettere di riempirci la testa di così tanti desideri inutili. E dobbiamo smettere di pressarci inutilmente per ottenere quello che gli altri considerano successo, perché non è necessariamente quello che ci rende felici e davvero forti. Dobbiamo stare più vicini a ciò che davvero importa alla società umana e al mondo intorno: famiglia, amici, empatia, coraggio, bontà, onestà, rispetto e gratitudine.
Per quanto mi riguarda, ho ripreso a imparare online il giapponese, a leggere qualche buon libro e a migliorare le mie abilità in cucina. Ed è un momento meraviglioso per passare qualche ora del mattino, quando la luce del sole è ancora tenue e dolce, sorseggiando caffè e facendo colazione in due, con della bella musica in sottofondo e un libro in mano a entrambi.
Dorothy
English version here – Si ringrazia Dan Kaufman per la traduzione in italiano.
Invia la tua lettera a redazione@sguardidiconfine.com e indicaci se vuoi mantenere l’anonimato oppure no. Leggi le linee guida (qui) e condividi il tuo #scambiodisguardi con noi.
11 Aprile 2020
It might be the most shocking year so far in life for many of my generation, which has not experienced war or famine, nor has been largely deprived of their right of choice before.
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Today is probably the warmest day since the spring arrived this year. After I came to live in the Piedmont region four years ago, every spring has been passed with happy memories of pleasant countryside walks, alone or in the company of dear friends. I used to pick up unnameable wild flowers from the fields, bringing some fresh life and colours home with me and conserving them in some pictures taken casually with smartphone or seriously with the photo camera. I remember in particular those walks at the end of the afternoon, when the sun slowly sank to the distant border of the horizon, the fields of young crops, capricious grasses and innocent flowers began to be enveloped in a kind of magical liquid-like air, with small mosquitos and insects lazily floating in it. I remember the almost surreal and delicate colours of the air, a mixture of light blue, pale pink, lilac purple, brown grey and soft golden, like a far prolonged music note on the violin, breathing and vibrating across the atmosphere. The hillside behind would appear to be slightly plumped up in its three dimensions as if observed through a special lens. Grabbing my heart tight with this sweetness, on my way back home I was often joyfully surprised by – even though awaiting for secretly – the new rising moon and its candid curiosity.
Tonight the moon will be full, really full. I checked on it yesterday night. But instead, I am not able to go out to welcome it with open arms; I can only greet it bitterly from the window of my bedroom. This afternoon I went out to buy some fruit and vegetables at the grocery store near home. While waiting in line keeping at least 1-meter distance from others, with the surgery mask continuingly making my glasses foggy at each breath, I caught a glimpse of the snow-covered mountains topping out at the end of the street. They are still there, solemnly in silence, not happier, not sadder.
They are not missing us. Nor the fields, nor the moon, nor the mountains, nor the nature itself. I often ask myself, if there were no humans to observe the beauty that nature offers to our eyes, would this be a great pity and waste? So many human creations in forms of poems, songs, films and scientific researches have been dedicated to this great beauty, and so many businesses – backpack trips, family travels, organized voyages, luxury travel packages, and the at-the-trend influencer-led business around the theme of globetrotting – are all based on the humanly will to discover the nature. The truth is, however, we need nature much more than it needs us.
Yesterday I watched a documentary about the golden eagles and bearded vultures living in the French Alps and Gran Paradiso Natural Park. The beauty and the cruelty of wild animals and their predators that must survive the very difficult weather and geographic conditions in the high mountains have so much fascinated me. Animals they know how to comply with the rules of nature. Only humans ignore these rules and are capable of destroying the harmony established by the nature, putting not only themselves but also the whole planet in danger.
Why are humans so dangerous? They do not intend to be so, I think, at least for most of the time. They are just selfish but in a much larger scale than in the animal world. There is one biggest distinction between humans and animals, from a social and psychological point of view, it is the power of desire. To desire is to project oneself in the future and imagine what condition could make him/her happy, and this condition becomes then the objective of his/her desire at the present status. People can desire because they have the notion of different time dimensions; they can distinguish the past, the present and the future, which are the very origins of many troublesome feelings such as desire, regret, worry, disappointment and despair. Animals do not have desire or such strong feelings because they do not really distinguish the time dimensions due to the undeveloped status of their brain (if they have one); they only have the primitive survival instinct and the current biological needs. Once they have got what they need to survive and reproduce, they are at total peace with their own lives.
It is not evil to procure some happiness to oneself from time to time, but a happiness based on continuing satisfying one’s unextinctionable desires will only lead to deep unhappiness if not disasters. Even though it is arguable that it is exactly due to this unique capacity of desire that humans have made so much progress which allows them to fly to the moon and submerge in the deepest ocean, to invent all the mouth-watering recipes that no animals can imagine and all the financial tools that no animals know how to use, to create such a babel of languages and such varieties of methods of communication (song, letter, telegraph, phone, email, broadband, satellite, 5G, virtual reality), and all the complexities of modes, trends, ideologies, unicorns, hashtags, blockchain, AI…
As humans invent and modernize, their desires and needs keep growing, which in return require always more resources from the nature. We are too drunk with our own progress and blinded by the fulfillment of our selfish desires to see that we are in fact destroying the future of our species.
I am not saying that this devastating COVID-19 is a revenge of the nature. It seems too simple and too naïve. But I truly think it is a good opportunity for everyone to reflect on our current status of life, before making any new plan for the future.
Don’t you feel that during this tedious forced lockdown, your life has actually become simpler? Putting aside the hours that you are deeply disturbed and saddened by the news of increasing positive cases or the number of new defunct, you might gradually realize that you actually pay more attention to the details of everyday life, an advice that many have given before but nobody has really followed until now. Going to the supermarket for your weekly food necessity becomes a kind of physical and spiritual challenge, as somewhere outside some micro virus could be floating around and you need to be really very careful and take all the precautious measures to protect yourself and your family. And be brave and mentally stable. Have you ever felt so happy and rich when you bring home that food stock and think that you and your family are totally safe for the coming week as you don’t need to risk your life going out again? Aren’t you talking much more frequently to your distant family and friends, even about trivial issues like what meals you are eating every day, while also picking up some old friends lost in other continents or social circles? And I have never seen so many people declaring on Facebook their heavenly joy to find a bag of flour or some yeast forgotten in some corner. While for those who live by doing shopping offline and online, as there is little chance to go out in their new clothes, I hope that they have found some time to do things more meaningful.
Another thing is, for me who work majorly as a freelancer, the lockdown represents a particular situation in which I and the others who are usually very busy working in the office five days a week, not even talking about the “996” life style in China, are all staying at home. No more apparent differences. Maybe I still work less than those who have a fixed job and are doing smart-working from home, as my workload has also shrunk due to the correlative business crisis, but at least my previous almost omnipresent unconscious guilty of staying at home – even though working intensively during some period – has almost vanished as a miracle. I have also unintentionally reduced my time passing over Facebook, WeChat, WhatsApp, Telegram, Instagram, etc., if no urgent messages from family, friends or work. As many around the globe are staying at home, there is little novelty in lives around and less distractions to see who have done what.
Through the one month of lockdown, I realize that many of our dissatisfactions with life and with ourselves actually come from the impulse to compare ourselves constantly with others, to want the same thing, the same experience, the same success, or better thing, better experience, better success. Our desire in this continued competition becomes destructive and origin of unhappiness. Even worse is that if everyone follows this vicious circle, the world would be spurred into a spiral that goes faster and faster until an inevitable final breakdown or explosion.
Maybe the COVID-19 is a mysterious call from the unknown to us to slow down and to regenerate. This call is made at the heavy price of deaths and bloods, through punishments and sacrifices. Not everyone of us is asked to fight at the frontline. What we can do at least is to work on ourselves. This difficult period will finally prove that we really do not need so much to feel happy. On the contrary, we need to stop filling our minds with so many unnecessary desires. And we need to stop putting unnecessary pressure on ourselves to get what is considered by others the success, because it is not necessary what makes us happy and truly powerful. We need to stay closer to what are really important to human society and to the world around it: family, friendship, care, courage, goodness, honesty, respect, and gratitude.
As for myself, I have taken up online learning of the Japanese, read some really good books and improved my cooking skills. And it is a wonderful moment to spend the first hour of the morning, when the sunlight is still soft and tender, drinking coffee and eating breakfast in couple, with some beautiful music around and a book in each one’s hand.
Dorothy
Send us your letter about these days, share your thoughts and your emotions with us: redazione@sguardidiconfine.com
10 Aprile 2020
Vorrei proiettarmi in avanti e fare del Futuro un interlocutore attento ed affettuoso a cui indirizzare una lettera che racconti questo nostro strano, surreale presente.
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Non so quale sia la linea d’ombra, il momento che ha segnato il passaggio dal nostro “ieri”, che indossava i vestiti di una tranquilla quotidianità, al nostro oggi, in cui siamo costretti a vivere in una bolla che rotea intorno a paesaggi esterni ed interni a noi, fatti di paura, dolore, incredulità e tristezza.
Una realtà contraddistinta da un silenzio che grida, dall’isolamento, da un cambiamento radicale di gesti quotidiani che davamo per scontati. Come un abbraccio, una stretta di mano o un andare leggero verso un amico, un familiare, un vicino di casa. Temiamo i contatti ravvicinati, anche l’aria che respiriamo e la presenza invisibile e crudele di un nemico che non ha volto.
Quando questa immane tempesta si allontanerà, la nostra vita ne conserverà tracce indelebili, rivoli di dolore sottili e pervasivi che scorreranno sul nostro cuore e tra le nostra membra. Forse accadrà, ma adesso dobbiamo combattere e poggiare le nostre lacrime in strumenti di speranza e di fiducia, allungando le mani e raggiungendo, idealmente, quelle di tutti coloro che stanno affrontando prove estreme, come la malattia o la perdita dei propri cari. Sì, perché dietro i numeri di una lunga lista di morti, ci sono i volti di uomini e donne innocenti strappati via da questo nemico sempre presente, seppur nascosto nell’ombra… un nemico che non conosce pietà e sosta.
Bisogna affrontarlo, armati di pazienza coraggio e tanta voglia di vivere. Per sconfiggerlo non si può ricorrere al metodo del lasciarsi portare dall’onda, del girovagare tra le mura domestiche che rischiano di imprigionarci, nel tentativo di arrivare a sera, alla fine di un altro giorno. Forse serve accogliere questa forzata solitudine e riempirla di amore e bellezza, per piccoli gesti ai quali dare, oggi, un valore rinnovato. Io, per esempio, mi sento al sicuro indossando piccoli monili che mi trasportano sulla mia isola lontana, in terra greca, dove so che tornerò.
Curo le piante del giardino e dei balconi che mi regalano i colori di una rinnovata primavera o ascolto la musica che mi riporta a momenti di vita vissuta appieno. Tra il profumo dei pini marittimi e i colori intensi del mare. Nel frattempo, in cucina, il profumo del pane o gli occhi di chi amo mi ricordano che c’è casa, sì c’è casa, nonostante tutto…
E in questi attimi che sanno di infinito… raccolgo i miei pensieri e so che verrà l’estate e ci sarà un futuro nonostante tutto. So che l’amore, l’armonia che riusciamo a dare e a ricevere anche in questi momenti difficili, la bellezza che ritroviamo nelle piccole cose di un quotidiano sfasato e strano, la visione della luna corredata da una stella luminosa, a sera, ci traghetteranno dall’altra parte.
Mariella
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9 Aprile 2020
Cara Vittoria, non ti perdi mai, l’isolamento nella regione più problematica del paese, la Lombardia, ti ha colto di sorpresa come a tutti noi, eppure tu hai, da biofila quale sei, individuato il positivo dell’esperienza.
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Stare in casa con i tuoi genitori, sottratti alla vita lavorativa e finalmente liberi da impegni ritenuti sempre improrogabili, ti rende allegra e appagata. Segui le lezioni della scuola on-line, giochi con la tua sorella, ti metti in contatto con amiche e con me utilizzando video chiamate con grande abilità e allegria. Grande piccola Vittoria, sei una vera risorsa.
Hai dato coraggio e senso di realtà a me che erroneamente credevo di essere attrezzata per questo e altri eventi. L’isolamento invece, su di me, calata in un contesto privo di relazioni, qui ai Castelli Romani, è stato duro e non so se ne uscirò indenne.
Sono certa che nulla sarà come prima. La tua resilienza sarà la tua ricchezza in questo passaggio epocale mentre per me, donna del ‘900, resta la gratitudine al tempo che mi è concesso di vivere anche se complesso e non chiaro. Osservare te, con la tua giovane spensierata età, però mi pone in una situazione di speranza per le generazioni future. Grazie per esserci. Fate diventare la terra un giardino ricco di fiori e frutti. Coltivate la pace quale fertilizzante per i cuori aridi e stanchi.
Nonna Anto
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9 Aprile 2020
Cosa ne è della vita di prima? Di quella che era la nostra routine, la vita di tutti i giorni? La città ha un’aria spettrale, in giro poche persone, con guanti e mascherina, alle volte si incontra qualcuno con l’aria un po’ strana. E ora ci tocca stare chiusi in casa come se fosse una prigione e l’unica libera uscita è per fare la spesa o per andare in farmacia.
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Le preoccupazioni di prima mi sembrano ridicole ora, quando viviamo in un tempo sospeso che ancora non sappiamo quanto durerà, quando torneremo alla vita di sempre. Mai, noi figli del benessere, nati fra gli anni sessanta e settanta, avremmo potuto immaginare di vivere una pandemia, di ascoltare i telegiornali come bollettini di guerra. Davvero sembra di vivere in un film o un telefilm, ogni tanto mi dico, mi sveglierò e sarà stato solo un brutto sogno. E invece no. È tutto dannatamente reale. Mi ritrovo ad ascoltare musica, le canzoni preferite, per non pensare.
Mia figlia anche lei, talvolta si sente smarrita, a volte la sera fatica ad addormentarsi, bisogna confortarla, assicurarle che andrà tutto bene. Andrà davvero tutto bene? E soprattutto quanto durerà questa Attesa, con la A maiuscola, che ci logora e ci stanca? E poi, sicuramente pagheremo un prezzo alto per tutto questo, un prezzo troppo alto. Quando potremo riabbracciarci? Speriamo che tutto ciò ci insegni qualcosa, a dare il giusto valore alle cose.
Chissà se anche i nostri figli capiranno che sono più gli affetti che valgono rispetto alle cose materiali. Guardando mia figlia penso che talvolta per lei tali oggetti sono come dei feticci, come se, questa generazione del “tutto e subito”, avesse bisogno di cose per riempire dei vuoti. Eppure ho cercato di colmarla di tutto l’affetto possibile, cosa ho sbagliato? Purtroppo il manuale dei perfetti genitori non esiste. Si cerca di fare del nostro meglio, almeno cerchiamo di farlo con tanto amore.
Si ritorna al discorso iniziale: l’illusorio, affannoso elogio del benessere, il prevalere dell’avere sull’essere ci ha portato a una generazione legata a delle macchine. Succederà quello che veniva preconizzato da tanti autori di fantascienza o di romanzi distopici? Sono convinta che ci sia una strada tracciata per tutti noi. Tante persone sono morte o sopravvissute a un incidente per un gioco del destino. Talvolta per un’assurda serie di coincidenze ci si ritrova nel posto sbagliato o giusto a seconda dei casi. Lo hai mai notato? A che cosa ci porteranno le coincidenze di questo periodo? Per il momento nessuno può dirlo. Solo dopo saremo in grado di dirlo. Per ora possiamo solo aspettare e resistere.
Anna
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8 Aprile 2020
Questa forzata prigionia da coronavirus mi ha fatto riscoprire gli audiolibri. La sera, prima di dormire, ascolto romanzi famosi letti da bravissimi attori che, con la loro calda voce, mi portano in altri mondi.
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Il libro autobiografico “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi mi ha molto impressionato. Non sono in quarantena, mi posso muovere un po’, ma come una sua anima gemella mi sento anch’io un po’ confinata, esiliata. Caro Carlo, ascolto i tuoi racconti e, per magia quantica, le parole da suoni si trasformano e diventano materia, diventano un film in 3D. Mi sembra di salire nella macchina del tempo e vivere le situazioni che descrivi così bene.
Vedo i tuoi personaggi, uno in particolare mi è piaciuto molto. Giulia, la tua domestica, una delle tante “streghe” di Gagliano. Chissà cosa farebbe lei adesso per eliminare il virus? Userebbe le erbe, i filtri e gli oggetti magici o forse inventerebbe un “rito sacro”, una cantilena di mezzanotte da recitare a partire da lunedì fino a domenica per poi ripeterla al contrario da domenica a lunedì. Nel mondo magico di Giulia ci sono i “monachicchi” dal cappuccio rosso, folletti che si divertono a fare dispetti alla gente, l’unico modo per fermarli è togliere loro il cappuccio, senza il cappuccio rosso perdono tutta la loro allegria e continuano a piangere finché non l’hanno ritrovato.
Questi folletti conoscono tutti i segreti della terra e custodiscono tutti i suoi tesori. Sottoterra nel bosco sono nascosti i tesori che i briganti hanno preso ai signori. Cataste d’oro riposano nelle profonde fosse della foresta. Chi riesce ad acchiappare lo spirito del bosco, e a togliergli il cappuccio in cambio della sua restituzione, saprà dove è nascosto un tesoro.
Ora spengo la macchina del tempo, esco nella realtà. Questa emergenza coronavirus ci ha portato molta tristezza, ma anche momenti di riflessione e meditazione sulla vita che facciamo. Mi auguro che i nostri eroi medici riescano a togliere la corona a questo virus. Spero riescano ad acchiapparlo, spodestarlo e chissà, da questa brutta esperienza avremo in cambio tesori come: maggiore qualità della vita, solidarietà, rispetto, giustizia, attenzione, cura per gli altri e una giusta distribuzione della ricchezza nel mondo.
A volte i sogni si avverano.
Ornella
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