Mina Dennert, la giornalista svedese che sfida l’odio del web grazie a jagärhär, “io sono qui”

Combattere fake news e commenti d’odio, razzismo, omofobia su Facebook: è lo scopo di #jagärhär (“Io sono qui”), il gruppo creato dalla giornalista svedese Mina Dennert. Leggi l’intervista.

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Diciamocelo, Facebook vive della viralità dei commenti. E non nascondiamoci dietro uno stuzzicadenti: i contenuti che generano più commenti sono quelli verso argomenti negativi o resi negativi. Così, forti della tastiera e uno schermo dietro al quale nascondersi, in tanti sfogano la propria rabbia e i propri pareri primitivi a più non posso.

Ma tentare di cambiare le cose si può. Almeno ci prova la giornalista svedese Mina Dennert. Dal 2016 ha lanciato il suo gruppo (privato) sul social network di Mark Zuckerberg: #jagärhär, ovvero “Io sono qui”. Il team è ben presto cresciuto e ora conta 100mila iscritti oltre a gruppi gemelli in altri Stati dal nome “Iamhere”, Italia compresa (ecco #iosonoqui, il gruppo italiano su Facebook).

In cosa consiste Iamhere? In pratica, una volta individuato un post soggetto a commenti d’odio e diffusori di false notizie, i responsabili del gruppo indicano agli altri membri di jagärhär di intervenire. Ovviamente l’intervento consiste in commenti positivi, di sostegno alla persona attaccata dall’odio dei leoni da tastiera o alla diffusione di notizie reali rispetto a quelle false indicate da altre.

Tra l’altro, manco a dirlo, visto il grande successo di jagärhär, Mina Dennert riceve di continuo minacce di morte. Ma questo non ferma la sua voglia di contribuire ad un mondo migliore «per una società democratica e inclusiva». L’abbiamo intervistata per scoprire da vicino una realtà così virtuosa e controcorrente.

Intervista in collaborazione con I. Capitanio – photo ©Jonatan Fernström

Chi è Mina Dennert? Come ti presenteresti?

«Alle conferenze mi presento così: Mina Dennert è una scrittrice svedese, giornalista e fondatrice della rete #iamhere, che ha ispirato oltre 100mila persone di tutto il mondo con lo scopo di intraprendere una lotta per una società democratica e inclusiva».

Hai vinto il premio “Anna Lindh” nel 2017 per i tuoi ideali democratici. Cosa ha significato per te questo riconoscimento?

«Vincere il premio Anna Lindh è stato un grande onore. Anna Lindh era un politico competente e benvoluto che fu brutalmente assassinato. Durante tutto il processo, il pubblico ministero ha cercato di ottenere informazioni sul movente, sul perché fosse stata assassinata Anna Lindh e ha ipotizzato che nella sua politica potesse esserci qualcosa che l’assassino non gradiva.

L’assassino non ha risposto durante il processo. Infatti, solo dopo 10 anni di carcere, ha parlato con i media e ha ammesso in modo piuttosto esplicito di non essere affatto consapevole della politica. Sapeva solo che lei era un politico e odiava i politici e incolpava tutti i suoi fallimenti personali ai politici.

Questa non è la prima volta nella storia che una cosa del genere accade purtroppo ed è anche il motivo per cui il lavoro che facciamo è così importante. Sostenere politici e giornalisti e resistere a tutte le negatività e disinformazioni che circolano verso queste professioni significa difendere la nostra società democratica e aperta. Vincere un premio nel suo nome è stata una conferma che gli altri hanno capito cosa voglio realizzare con il mio lavoro».

Come nasce l’idea di creare #jagärhär? C’è stato un episodio significativo che ha portato alla sua creazione? Qual è lo scopo del gruppo?

«In Svezia, le notizie false e l’odio online sono un grosso problema. Le persone che non sono giornalisti avviano pagine e gruppi in cui affermano di scrivere notizie ma invece diffondono propaganda per trasmettere sfiducia. Per le persone è molto difficile vedere la differenza tra questo e il vero giornalismo.

Diffondono la disinformazione ma attaccano anche giornalisti, politici, opinionisti, soprattutto se sono donne o discendenti non europei, vengono molestati sui social media, su Facebook e su Twitter, per spaventarli e renderli silenziosi. E funziona: i politici hanno lasciato il lavoro. I giornalisti non osano rivedere e riferire riguardo determinati problemi. I formatori di opinioni autocensurano se stessi. Tutto ciò è un importante problema democratico e una questione di libertà di parola.

Avevo ignorato e bloccato le persone che diffondevano razzismo e messaggi misogini sui social media. Ma, nella primavera del 2016, ho visto un cambiamento nel mio flusso. Non erano più “i soliti sospetti” dai quali potevo aspettarmi questo odio, invece erano gruppi completamente nuovi. Erano individui amichevoli e “brave persone”. Avevano letto tutta questa disinformazione e ne erano spaventati.

Così ho iniziato a cercare le pagine che condividevano le loro orribili affermazioni razziste e completamente false e ho trovato tutta questa rete di centinaia di gruppi di odio e di siti di notizie false e odiose. Per questo ho iniziato a parlare con coloro che erano stati spaventati e con i loro amici, dandogli altri link di statistiche e fatti reali.

Ho anche pubblicato i miei commenti nei gruppi di odio. Ma ero sempre sola con migliaia di persone arrabbiate che mi attaccavano. Quindi ho semplicemente chiesto ad alcuni dei miei amici se volevano aiutare. Avevo bisogno di più persone coinvolte e di parlare con le persone che erano state spaventate da tutta la sfiducia. Queste persone hanno dimostrato che è possibile avere opinioni politiche diverse, ma essere comunque in grado di parlare tra loro su importanti questioni politiche online. Così ho fondato il gruppo su Facebook, all’inizio era segreto, con solo 20 membri. Ricordo di aver postato: “Per favore aggiungi i tuoi amici in modo che diventiamo almeno 50 persone nel gruppo”. Oggi siamo oltre 100mila da tutto il mondo».

Pensi che ci sia una speranza per un cambiamento o che questo impegno possa almeno impedire a Internet di sprofondare nell’odio?

«Sono ancora positiva. Non dobbiamo mai rinunciare alla lotta per la democrazia e per i diritti umani. Ma dobbiamo continuare a chiedere ai politici di dare priorità a questo lavoro per il cambiamento. Fare richieste alla polizia e ai pubblici ministeri in modo da incriminare le persone che compiono tali atti illegali. È importante distinguere tra odio e opinione. Minacce illegali, calunnia, incitamento all’odio contro le persone sono illegali.

Certo, le persone dovrebbero essere in grado di avere opinioni diverse sull’immigrazione e una varietà di questioni, questo è importante per un dibattito sano. Ma dobbiamo essere in grado di discuterne senza il rischio di essere minacciati. E, non da ultimo, i grandi giganti dei social media devono essere ritenuti responsabili. Sono editori e devono assumersi la responsabilità di ciò che viene pubblicato sulle loro piattaforme».

In Italia assistiamo a un crescendo di commenti negativi, di odio e razzismo, anche da parte di politici nazionali. Pensi che agire su Internet e arrestare questo processo possa influenzare la società e non solo la rete?

«Assolutamente, i nostri figli lo capiscono e ciò dà speranza per il futuro. Non fanno alcuna differenza tra online e mondo “reale” come facciamo noi adulti. È uno e lo stesso mondo. Quello che succede sui social media ha un enorme impatto sulle nostre vite e sul clima politico. Basta dare un’occhiata a Cambridge Analytica. Quello che succede sui social media sta cambiando il nostro mondo. Questo è anche il motivo per cui abbiamo l’opportunità di cambiare partecipando e facendoci parte della soluzione.

I membri dei gruppi ci dicono che sono diventati molto più consapevoli politicamente e molto più bravi a discutere dal momento in cui hanno iniziato a farsi coinvolgere. Dicono anche che sono diventati molto più coraggiosi ed esprimono la loro opinione anche sull’autobus e sul posto di lavoro. Quasi una volta alla settimana, qualcuno ci ringrazia per il nostro lavoro. I giornalisti e gli opinionisti che stanno per arrendersi resistono e si fanno coraggio grazie al nostro sostegno».

Dopo l’avvio di #jagärhär ricevi regolarmente minacce di morte e a tuo padre sono stati recapitati alcuni proiettili. Insieme a tuo marito sei diventata bersaglio dei troll che hanno pubblicato vostri dati personali sensibili. Come reagisci a queste minacce? Ti spaventano o ti aiutano a proseguire più fortemente nel tuo scopo?

«Ero preparata ad essere odiata e minacciata visto il mio background. Sono una donna, sono nata in Medio Oriente e sono anche una giornalista, quindi tutto ciò che mi riguarda può essere fonte di odio. Inoltre il mio lavoro ha davvero fermato i progressi dei diffusori di fake news e reso più difficile per loro far espandere odio e disinformazione. Sono un po’ spaventata e attenta tutto il tempo. Abbiamo cambiato la nostra intera vita, a come pensiamo alla sicurezza. Ma a volte penso di essere pronta a morire. Sembra sciocco ma è così che ci si sente. Se dovessimo cedere a queste minacce, sarebbe la fine della società aperta così come la conosciamo».

Come gestisci i tuoi numerosi utenti su #jagärhär? Fornisci indicazioni su cosa scrivere o semplicemente segnali il “post di odio” in modo che possano commentare?

«Quello che facciamo è distinguere tra odio e opinione. Innanzitutto, non entriamo mai in pagine private o gruppi chiusi, lavoriamo nei campi di commenti aperti. Ci informiamo reciprocamente sul campo dei commenti dove ci sono minacce illegali, incitamento all’odio contro persone e altre cose che sono illegali. Affinché la nostra democrazia funzioni, dobbiamo avere accesso a fatti veri e dobbiamo essere in grado di discutere questioni politiche. Questo è quello che stiamo cercando di fare. Cerchiamo di dimostrare che è possibile avere una discussione sui social media.

Abbiamo una serie di consigli su come discutere con qualcuno con il quale non si è d’accordo, su come fare sempre la migliore interpretazione di ciò che dicono gli altri, attenersi al problema fattuale e stare lontano dalla diffamazione per esempio».

In occasione del Safer Internet Day, l’Unicef ​​ha sottolineato l’importanza di proteggere i bambini fornendo loro educazione digitale. Pensi che ogni nazione debba avere il controllo dell’istruzione digitale della società?

«I bambini sono già fantastici in questo. Questo è il loro mondo. E l’educazione scolastica insegna ai nostri ragazzi a essere osservanti, almeno in Svezia, si insegna ai bambini il pensiero critico e il controllo dei fatti. Non sono affatto preoccupata per i bambini. Sono le persone sopra i 50 di cui mi preoccupo. Sono molto meno critiche di ciò che leggono online rispetto a quanto dovrebbero essere».

Pensi che il governo (di ogni nazione) debba intervenire di più in merito ai commenti negativi e alle notizie false? E il giornalismo?

«Abbiamo tutti un ruolo importante da svolgere. I giornalisti devono mostrare la differenza tra giornalisti e blogger di opinioni, non dovrebbe mai esserci alcun dubbio su cosa sia l’uno e l’altro. Quindi questa è la sfida che tutti affrontiamo; giornalisti, ricercatori, chiunque sia in grado di fornire dati e informazioni davvero corrette».

Pensi che i commenti di odio siano causati dall’“immediatezza dei pensieri”, caratteristica tipica di Internet?

«Sì. Ma soprattutto vediamo questo sviluppo grazie ad attori ben finanziati e politicamente ben organizzati che hanno una vittoria politica o economica dalla diffusione della sfiducia e della disinformazione. Diffondere la visione del caos nelle nostre democrazie. Rendere le persone spaventate e cercare un dominio più chiuso e totalitario. Chiedetevi, chi vince da questo? E con quella risposta, spero, si avrà un po’ di energia per agire. Almeno nel mio caso è così».

Prossimi progetti?

«Sì, sempre. Parliamo di nuovo non appena ho aggiornamenti ufficiali».

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