Francesca, le sfumature intersex e il viaggio oltre i pregiudizi

Francesca è in rotta “verso persone e luoghi che arricchiscano”. Dopo anni di ricerca e disagi iniziati dall’adolescenza, a 23 anni ha finalmente scoperto di produrre in quantità maggiori alla media il diidrotestosterone, “una sorta di testosterone potenziato – spiega – responsabile dei caratteri sessuali maschili”.

L’abbiamo conosciuta grazie al gruppo intersexioni, con cui collabora da tempo, ma la nostra intervistata non si definisce una persona intersex. L’intersessualità comprende diversi tipi di variazioni e serve per indicare le persone i cui cromosomi sessuali, la struttura gonadica, i genitali e/o i caratteri sessuali secondari non sono definibili come esclusivamente maschili o femminili. Una realtà per molti sconosciuta ma che, secondo i dati raccolti dalla biologa Anne Fausto Sterling, dovrebbe essere presente almeno nell’1,7% della popolazione. Spesso è occultata o “normalizzata” da medici e genitori, attraverso interventi di chirurgia cosmetica precoce che finiscono con l’essere vere e proprie mutilazioni genitali.

Francesca si definisce donna però, sottolinea, “non credo che esista un solo modo di essere donna”. Così, nella nostra lunga chiacchierata, abbiamo parlato di pregiudizi e stereotipi – che ti portano ad avere “una visione distorta se non togli quegli occhiali” – di bisessualità, di ruoli e di generi.

Chi è Francesca?

«Sono una ragazza. In questo periodo sto finendo di scrivere la tesi magistrale in filosofia politica.

Penso si possa capire abbastanza di me dai miei studi e dai miei interessi filosofici che rispecchiano un po’ il mio modo di vedere il mondo, le relazioni, l’atteggiamento che vorrei avere rispetto a me stessa e a chi mi sta davanti».

Ovvero? Hai una risposta univoca?

«No, perché penso che si debba diffidare dalle risposte univoche. Ho imparato negli anni a diffidare dalle ricette che sono sempre valide. Ciò che cerco di fare – e sottolineo cerco – è pormi in ascolto, incontrare a metà strada chi mi sta davanti. E partire dalle mie esperienze per allargare la prospettiva a ciò che va oltre me, questo perché non sono mai riuscita a occuparmi solo delle “mie cose”. Credo sia importante partire dalle proprie esperienze, ma altrettanto importante è imparare a utilizzarle come trampolino per guardare oltre».

Raccontami qualcosa riguardo la questione “intersessualità”. Quando l’hai scoperta? Ti reputi una persona intersex?

«Non mi reputo una persona intersex. Non sento il bisogno di problematizzare il mio sentirmi donna perché non credo che esista un solo modo di esserlo. Mi sembrerebbe strano specificare la mia personale maniera, esistono così tanti modi di essere donna quante sono le donne nel mondo. Ho un mio modo particolare di rappresentare la femminilità che, sono sicura, non è il modo più comune.

Mi sembrerebbe strano se qualcuno mi chiedesse di essere diversa e dover spiegare perché sono “come sono”. Per quanto concerne l’esteriorità del corpo femminile, viviamo in un mondo in cui le regole su come dovrebbe o non dovrebbe essere il nostro corpo provengono da ogni parte, ed è difficile sottrarcisi. E a volte, quando passeggi in centro e vedi le pubblicità, ti rendi conto che non sei propriamente rappresentata.

Forse quando ero più piccola, adolescente, questo poteva colpirmi di più. Credo che ne siano colpiti molti adolescenti. Crescendo, però, ho imparato a capire come funzionasse questo meccanismo per cercare di disinnescarlo. Dal mio punto di vista è stata una fortuna non somigliare a un modello.

Nella mia quotidianità ho sempre avuto amici molto gentili e affettuosi. So però che non è un atteggiamento comune. Mi capita di ascoltare discorsi che vogliono ingabbiare l’immagine femminile, ma anche quella maschile, in un modello unico da seguire. E questo mi dispiace. Perché mi sento toccata, perché altre persone più delicate di me vengono toccate, e poi guardare attraverso una lente deformata, ti fa deformare la visione del mondo. Quindi credo che il problema del pregiudizio riguardi sia chi lo subisce, ma anche chi giudica attraverso quel pregiudizio perché avrà sempre una visione distorta.

In ogni caso, io ho sempre cercato di mostrarmi come sono, senza troppe finzioni, almeno esteriori. Questo attuando la politica del “chi mi vuol bene, mi vuol bene comunque”. Non si può piacere a tutti.

Riguardo la mia vicenda, spiego: ho una caratteristica che mi porta a produrre quantità maggiori di un ormone che si chiama diidrotestosterone, una sorta di testosterone potenziato, responsabile dei caratteri sessuali maschili. Quando ero bambina, ovviamente non facevo analisi ormonali. Cominciata l’adolescenza, con le prime mestruazioni (in prima media) ho cominciato ad avere delle caratteristiche particolari ma di certo non così rare… ho cominciato a soffrire di acne, ad avere il ciclo irregolare e a sviluppare una peluria maggiore rispetto alla media delle donne e maggiore rispetto al mio “tipo”, ho i capelli e la carnagione chiari. Ma insomma, niente di così assurdo da destare particolari interrogativi.

Quando mi visitavano medici, ginecologi o dermatologi, mi dicevano soltanto: “È l’adolescenza, non puoi farci nulla”. Tutto questo è durato fino verso i 20 anni. Poi tutti i miei amici hanno iniziato ad avere ciclo regolarizzato o non avere più l’acne. Quindi sono tornata dal ginecologo per chiedere la pillola. Mi ero stancata del ciclo ballerino e dell’acne. Così ho iniziato a prendere la pillola: il ciclo si è regolarizzato ma l’acne è rimasta stabile. Mi avevano detto però che si trattava di acne ormonale, per questo era davvero particolare che l’acne non svanisse. Visto però che soffrivo pure di emicrania, ho preso la pillola solo per un anno e quindi non ho potuto testare a fondo la questione.

Poi verso i 22/23 anni ho avuto un problema che mi ha portato a un intervento chirurgico. Dopo questo intervento, non mi è venuto più il ciclo. All’inizio tutti giustificavano la mancanza di ciclo a causa dello shock post operatorio visto che si era trattato di un intervento invasivo. Ma, arrivata a 5 mesi, ho detto a mia madre che non mi sembrava normale.

Così sono tornata dal ginecologo che mi ha prescritto analisi più approfondite. E da lì è iniziato il grande caos per cui si capiva che avevo squilibri ormonali non attribuibili a ormoni femminili ma che dipendevano dal testosterone che, in quel momento, aveva dei valori altissimi. Quindi via alle ipotesi e alle analisi: ovaio policistico, niente. Ghiandole surrenali, niente. Ipofisi, niente.

A un certo punto ero molto demoralizzata. Il problema sussisteva, io e la mia famiglia stavamo spendendo un sacco di soldi in indagini e le diagnosi erano preoccupanti, si pensava ad esempio di tumore all’ipofisi a un certo punto.

Tutto questo è durato un anno. Non ne potevo più. Poi, per caso, sono entrata in contatto con una brava dottoressa, un’endocrinologa. Ma mi ero detta: cosa vado a fare? È l’ennesimo medico che mi farà fare le ennesime analisi che non diranno assolutamente niente di più di tutto ciò che io so già. Invece questo medico era davvero competente. Mi ha fatto fare un prelievo del sangue, quindi né invasivo, né costoso, e mi ha detto di stare tranquilla: “Non stai morendo, non c’è niente di grave. Hai questa condizione, non è così frequente e per questo gli altri colleghi non ci hanno pensato”.

All’inizio mi ha fatto fare una cura che avrebbe dovuto inibire il diidrotestosterone, soprattutto nei primi mesi visto che continuavo ad avere problemi per il ciclo. Così finalmente mi è andato via l’acne e mi si è stabilizzato il ciclo. Quindi sì, era quello il problema.

Questa dottoressa è stata davvero brava, non mi ha fatto stare in pena e non mi ha nemmeno dato l’idea del: “Sei malata”. Ora non prendo più la cura, il ciclo mi viene tutti i mesi, quindi sono riuscita a stabilizzare i livelli mentre l’acne continuo ad averla. I peli pure. Però ora so di cosa si tratta. La cosa che mi dava più fastidio, fino a qualche anno fa, era non capire che cosa avessi.

Con il tempo ho imparato. Non a farmela piacere ma almeno non mi dà più particolari problemi. Cerco di stare attenta e ho una particolare attenzione nella cura della pelle. Non è nulla di imbarazzante o che mi crea difficoltà».

Cosa pensi dei generi sessuali?

«Penso che ci sia una parte di oggettività negli eventi, e una parte di soggettività. La stessa cosa, vista da persone diverse, può avere risultati differenti. Penso che la mia educazione, gli ambienti che, per fortuna e per scelta mi sono trovata a frequentare, il modo in cui ho imparato a riflettere, mi abbiano sempre permesso di riuscire a guardare le cose da fuori. Questo mi ha fatto relativizzare alcune questioni che, su altri, avrebbero avuto un effetto “più grave”. Ovviamente, se io vivo in un sistema di valori molto rigido, ogni anomalia la percepirò come grave. Se vivo in un sistema di valori in cui tutto può essere messo in discussione, allora le mie anomalie non saranno che uno dei tanti elementi da mettere in discussione.

Penso che viviamo in un mondo in cui gli universali precedono i particolari, quindi abbiamo questa idea di donna standard, che ovviamente non corrisponde a nessuna donna. Ma tu, se vuoi essere una “vera donna”, ti devi adeguare a questa condizione.

Ma nessuna donna, nemmeno la più canonica, rientra perfettamente nell’astrazione. Conosco delle ragazze che sarebbero “da copertina” ma dicono che si vedono brutte o inadeguate. Quindi il problema non è di “come sei” ma di come ti percepisci

Credo che il genere vada ridiscusso, così come vanno ridiscusse una serie di categorie ormai obsolete».

Ad esempio?

«Pensiamo al ruolo della donna oggi, va rivisto. Quando usiamo la parola donna, indichiamo Beatrice della Divina Commedia e indichiamo me. Insomma serve rivedere il concetto, dobbiamo intendere con la parola donna qualcosa di diverso da ciò che intendeva Dante. Sicuramente c’è qualcosa che ci unisce, però c’è anche tanto che ci distingue».

Quindi non pensi che, ad oggi, si siano fatti passi avanti nella percezione della donna?

«Penso che ci siano dei cambiamenti. Quando aiutano le persone a vivere meglio sono sempre ben accetti. Ma ancora noto una grande difficoltà ad ammettere che bisogna “lasciare andare”. Per esempio, non penso che sia da bruciare l’immagine della donna mamma. Ma penso che oggi questa vada integrata con qualcos’altro. Perché emerge sempre di più un’istanza femminile che non vede nella maternità una priorità. Quindi va aggiornato questo concetto. Poi non significa che bisogna disconoscere la propria storia.

Penso che tanto della rivoluzione femminista parta dal background della donna: essere sempre stata un soggetto subalterno ha conferito alle donne un punto di vista diverso. Oggi però abbiamo degli strumenti che ci permettono di venire a conoscenza di tanti modi diversi di essere donna e non significa cancellare la “donna mamma”. Quindi potrà esserci ancora la ragazza che sente la vocazione per la vita domestica, quella che sente la vocazione per tutto ciò che non è vita domestica, quella felice per un matrimonio con i figli etc. Le combinazioni sono infinite».

Parlando invece di orientamento sessuale, come ti identifichi?

«Diciamo che vale lo stesso discorso di prima. Mi auguro solo che quante più persone possibili possano trovare una realizzazione nella relazione con gli altri. Poi, come questa relazione si esprime, non mi interessa. Mi preoccupano molto di più le dinamiche “perverse” in una coppia considerata “tradizionale”. Ma ancora oggi ci sono tante ragazze che vivono con ossessione il matrimonio (con un uomo) e la realizzazione familiare.

Questo mi fa tristezza. Questo imperativo per cui tu, arrivata a una certa età, se non hai raggiunto quegli obiettivi, sei una fallita. Ma, se una persona mi dice di essere felice in un determinato modo, qualsiasi esso sia, ed effettivamente è felice, allora qual è il problema? Non si può attribuire alcuna accezione morale alla questione, mentre l’orientamento sessuale è stato fortemente associato alla moralità.

Ecco, vista questa premessa, fatico a trovare interesse per la cosa in sé. Ma trovo molto interessante l’accanimento con cui la cosa viene valutata. L’omosessualità non mi genera alcun tipo di interesse ma noto che ancora è alto l’accanimento verso l’argomento.

Per quanto riguarda me, non mi sono mai definita in maniera statica. A campione posso dire che mi sono sempre piaciute di più le donne. Però ora sono sposata con un uomo. Quando ho iniziato la relazione con mio marito ero colpita da quanto mi piacesse stare con lui. Ero più piccola, quindi ancora mi facevo molte domande sulla mia identità. Quando abbiamo deciso di sposarci, mi domandavo se avrei perso qualcosa di me facendo questa scelta.

Poi mi sono resa conto di no. E sono fortunata. Ho incontrato una persona che mi rende felice, che mi accetta per ciò che sono, mi vuole bene, mi aiuta e mi sostiene… chi se ne frega se è un maschio o una femmina. Viviamo in un mondo in cui è sempre più difficile incontrarsi e sempre di più percepiamo le relazioni come un obbligo. Ho avuto la fortuna di incontrare una persona che mi fa stare bene, uomo o donna che sia.

Ovviamente quando ci siamo conosciuti ho raccontato a lui il mio modo di vedere le cose. E ci siamo trovati molto in sintonia. Ecco, capita che mio marito, con le mie amiche, si definisca “lesbica” (ride ndr.): “Se lei è bisex e tu sei etero, che coppia è la vostra?”. E così lui risponde: “Ma io sono lesbica!”.

Mi fa piacere parlarne perché penso che parlarne con tranquillità possa aiutare qualcuno. Però non posso certo dire che per me rappresenti un problema o che mi dia crucci.

Ciò che sono ha avuto influenza su di me perché mi ha permesso di avere un’altra prospettiva sulle cose. Se avessi avuto un orientamento sessuale più simile a ciò che ci dicono essere “normale”, alcune realtà non le avrei vissute direttamente.

Mi è successo di andare in giro mano nella mano con una ragazza ed essere fermata da delle persone. Ero più piccola e capivo di meno: a volte ci ridevo sopra, a volte pensavo che il mio interlocutore non stesse molto bene, o che ci stesse mancando di rispetto. Insomma, se certe cose non si vivono direttamente, non si capiscono.

Ecco, queste esperienze hanno integrato il mio punto di vista. Però quelle esperienze non determinano il mio punto di vista. Una cosa non esclude l’altra. Non mi sento di aver tradito i miei “ideali” scendendo a patti con un uomo. E il fatto che lui sia un uomo, dal mio punto di vista, è totalmente accidentale».

Quindi, non per mettere etichette ma… possiamo dire che ti definisci bisessuale?

«Sì, mi definisco bisessuale. E vorrei sfatare l’idea per la quale: “Allora ti piacciono tutti”. No, non è così. Prima di tutto perché ognuno di noi è selettivo a modo suo, e poi io ho sempre avuto dei criteri molto specifici per la scelta del partner. Quindi non è che ti piacciono tutti. Semplicemente ti rendi conto che l’elemento maschio/femmina non è rilevante. Anche se nel mio caso specifico, a campione, sono più attratta dalle donne.

Ma un conto è trovare attraente qualcuno, un altro è trovare in lui o lei quelle caratteristiche umane, morali, relazionali che fanno sì che tu possa impegnarti con questa persona. Perché ovviamente per sposare qualcuno non basta l’attrazione fisica».

Cosa vorresti ti chiedessero ma non ti chiedono mai?

«Mi fa piacere quando qualcuno mostra interesse nei miei confronti, però parlo di un interesse genuino, non morboso. Mi fa piacere quando c’è curiosità che può arricchire entrambi. Allora a quel punto cerco di spiegare anche le cose più strane. È bello essere sinceramente interessati agli altri. Quindi non ho una domanda specifica. Qualsiasi domanda animata da un sincero stato d’animo, per me va bene.

Cosa vorrei che non mi chiedessero… idem. Mi danno fastidio gli atteggiamenti tendenziosi nelle domande, quello sì. Sono convinta però che non si può parlare con chi non ti ascolta, a prescindere da quello che vogliamo dire. A volte si ha la tendenza ad interrogare gli altri come se ci si trovasse di fronte a una giuria. E quell’atteggiamento non lo posso tollerare. Non è possibile uscire dalla dicotomia fra torto e ragione? Io sono disposta a mostrarti il mio spaccato di mondo: non è né giusto, né sbagliato, né bello, né brutto. Quindi non devo dimostrare nulla.

Poi le gaffe le facciamo tutti: se qualcuno mi fa una domanda improponibile ma capisco che è in buona fede, mi ci faccio una risata e gli rispondo. Oppure no, dipende».

Cos’è per te la vita?

«Non so cosa sia la vita. Conosco solo la vita che vivo. Credo che ognuno di noi veda la vita in modo diverso. Probabilmente la vita è qualcosa di più della somma di tutti i parziali, e l’unico modo per avere una visione più globale è interessarci della vita altrui».

Concludiamo: la tua canzone preferita?

«Non ho una canzone preferita ma, visto il contesto della nostra intervista, ho selezionato la colonna sonora di Oceania, il film Disney: “How Far I’ll Go”. Vaiana ha sempre voluto essere una persona “giusta”, una brava figlia, una brava abitante della sua isola ma sente che qualcosa stona. Sente di non essere adeguata, di essere “diversa”. Ma alla fine è proprio lei a restituire il cuore all’isola».

Quindi… dove vuole andare Francesca?

«Non voglio andare da nessuna parte in particolare. Voglio costruirmi una strada che mi faccia sentire il più possibile a mio agio, che mi faccia andare verso persone e luoghi che mi arricchiscono. Vorrei guardarmi indietro e pensare: “Che bel percorso!”».

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